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direttore Paolo Pagliaro

Scienza e tecnica mai così popolari

di Paolo Pagliaro

In questo momento nel mondo miliardi di persone attendono da medici, virologi, epidemiologi una parola che spieghi o che conforti. Decine di governi affidano le decisioni più delicate al responso dei loro consulenti  tecnici, relegando se stessi a un ruolo notarile.  Grazie al coronavirus, siamo tornati a fidarci della scienza.
Molti però hanno nostalgia delle vecchie gerarchie. C’è chi pensa, in particolare, che il primato debba tornare presto alla politica, richiesta che nei millenni ha  trovato sempre sensibili i filosofi e naturalmente i politici, oggi incuranti del fatto che la politica sia sempre più spesso ridotta a uno sterile gioco di potere. Altri sperano invece che la svolta venga confermata e che il mondo, se vuole progredire, trovi il coraggio di affidarsi sempre più spesso alla tecnica e alla scienza, smettendo di diffidarne.
La pensa così lo storico Aldo Schiavone, che osserva le città deserte - da Parigi a Wuhan, da New York ad Auckland -  i protocolli condivisi, l’adozione universale degli stessi comportamenti, la collaborazione tenace fra gli scienziati di tutti i Paesi, e conclude che questo spettacolo mai visto non ci parla solo del contagio.  Ci parla anche dell’invincibile aspetto comunitario e solidale dell’uomo, che l’oggettività della scienza e della tecnica consente finalmente di far emergere in tutta la sua evidenza.
In un libro che il Mulino distribuisce oggi con il titolo “Progresso”, Schiavone  sostiene che anche nella congiuntura coronavirus, la scienza e la tecnica sono apparse nitidamente come le custodi dell’umano, le garanti della sua esistenza. Schiavone confida che questo uso benigno della tecnica, questa riconciliazione tra il popolo e la scienza, possano   sopravvivere alla pandemia, insieme alla voglia e alla capacità di immaginare il futuro.

 

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