di Paolo Pagliaro
(6 novembre 2020) Anche a settanta od ottant’anni bisogna vivere al di sopra dei propri mezzi fisici, intellettuali, amorosi come se avessimo appena ereditato un’immensa fortuna, come se ci avessero assegnato un sussidio di anni supplementari. Questo è il consiglio che Pascal Bruckner, filosofo, romanziere e polemista francese, dà ai lettori di “Una breve eternità”, editore Ugo Guanda. E’ un trattato - non accademico - di filosofia della longevità rivolto a tutti coloro che sognano una nuova primavera alla fine dell’autunno e sperano di spingere l’inverno il più lontano possibile. Fanno bene, dice Bruckner, a patto che siano grati e di buon umore per i doni ricevuti dalla vita.
La generazione dei vecchi ha ampliato i suoi confini, visto che rispetto al Novecento abbiamo guadagnato trent’anni in speranza di vita. Ma oggi i vecchi sono sotto attacco, con un accanimento inedito. Non c’entra il virus, che come altre malattie colpisce loro più dei figli o dei nipoti. C’entrano il tono allusivo, quasi il sollievo da mors tua vita mea che accompagnano gli annunci sull’età dei deceduti per il covid.
67, 75, 80, 90: sono queste le uniche informazioni che le fonti forniscono sull’identità di chi ha perso la partita. Informazioni scarne, ma piene di sottintesi, che un politico ha reso espliciti affermando che gli anziani venuti a mancare, in fondo non erano indispensabili allo sforzo produttivo del Paese. Sull’utilità degli anziani è più convincente il pensiero che ci ha lasciato lo scrittore africano Amadou Hampâté Bâ, citato nel libro di Bruckner: «Quando muore un vecchio è come se una biblioteca bruciasse insieme a lui».
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