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direttore Paolo Pagliaro

Le sfide degli italiani a Manchester tra virus e lontananza

Le sfide degli italiani a Manchester tra virus e lontananza

Michela, Cesare, Pierpaolo, Irene. Sono solo alcuni dei tanti italiani che vivono oggi a Manchester, città che ospita circa cinquantamila connazionali. Molti l’hanno scelta per lavoro e lì ora hanno casa e famiglia. Le radici però sono in Italia ed è in Italia che tornano spesso con la mente: specie in questo periodo difficile legato alla pandemia. Le lo loro sfide più gradi? Gestire la paura, vivere la solitudine, la lontananza dai loro cari. A 9colonne gli italiani a Manchester hanno raccontato le loro storie, la loro quotidianità e i piccoli e grandi ostacoli che hanno dovuto affrontare a causa del Coronavirus. Riuscendo qualche volta anche a trovare un lato positivo.

 

MICHELA, LA SENIOR RADIOGRAPHER CHE SI SENTE “DIVISA” Tra loro c’è Michela che ha 28 anni e lavora in un ospedale come senior radiographer (tecnico di radiologia). Dopo l’università ha scelto di trasferirsi in Inghilterra, dove vive ormai da tre anni e mezzo.  A 9colonne descrive la prima fase della pandemia come un momento di enorme incertezza. “Come è andata a marzo? Male, malissimo!” dice Michela, aggiungendo di aver vissuto momenti di reale depressione, della quale non aveva mai sofferto in precedenza. “Sono molto legata alla mia famiglia e prima riuscivo di tanto in tanto a tornare a casa. Con l’inizio della pandemia non più. Mi sono trovata bloccata qui da sola all’improvviso”. Michela racconta che il personale del suo ospedale, inizialmente, non era stato dotato dei dispositivi di protezione adatti: “Abbiamo lavorato senza mascherine per tantissimo tempo. All’inizio c’era una paura generalizzata, ci sentivamo poco protetti. Poi ci si fa l’abitudine. Anche adesso abbiamo paura. Ricordo scene di persone in terapia intensiva: ti chiamavano perché serviva una RX, arrivavi di corsa ma magari il paziente era già morto nel frattempo”.  Nonostante tutto, la giovane italiana riesce a trovare almeno un lato positivo: andare al lavoro ogni giorno, quando tutti gli altri dovevano restare in casa, le ha permesso di mantenere una certa normalità e di sviluppare un senso di coesione con i colleghi più forte che in passato. Vivere all’estero da sola è, per Michela, la sfida più grande.  “Sentirmi divisa dalla mia famiglia come da un muro”: questo il suo più grande dispiacere. 

CESARE, IL RICERCATORE CHE PENSA AL NONNO: NON VOGLIO RAPPRESENTARE UN RISCHIO  Cesare, 28 anni, è un ricercatore universitario in matematica. Si è trasferito a Manchester quattro anni e mezzo fa, per frequentare il dottorato. Ha completato il percorso di studi la scorsa estate, discutendo la sua tesi su Zoom. Svolge il suo lavoro appoggiandosi a fondi di ricerca che in questo momento difficile, purtroppo, scarseggiano. Oggi lamenta l’assenza di supporto e, soprattutto, di posizioni lavorative aperte su cui puntare una volta scaduto il suo contratto: “Manca un contatto professionale diretto con gli altri colleghi”, racconta a 9colonne, un “contato” che rappresenterebbe un importante stimolo in un lavoro come il suo.  Cesare lavora come in tanti, da casa, e questo è “un privilegio che non tutti possono avere”. Aggiunge che ciò, però, a lungo andare porta ad una “pesante monotonia”. Il giovane ricercatore ha scelto di non tornare in Italia per le festività natalizie, “per evitare di poter rappresentare un rischio per i parenti più anziani e deboli”. Malgrado tutto, anche lui qualcosa di buono – in questo periodo di pandemia -  l’ha trovato: “Vivere da solo all’estero azzera il rischio di poter essere veicolo di contagio per i propri affetti. In questo modo nemmeno si può avere la tentazione di far visita a qualcuno”. Afferma che non solo la lontananza non rappresenta per lui motivo di tristezza, ma che, addirittura, preferisce vivere così: che suo nonno si ammali a causa sua sarebbe qualcosa che non si perdonerebbe mai.

PIERPAOLO, L’INVESTIGATORE  “RESILIENTE” Pierpaolo ha 37 anni e lavora come Investigatore anti-frode. Ha scelto di trasferirsi in Inghilterra quasi sei anni fa. Fortunatamente, con la pandemia il suo lavoro non ha subito grandi cambiamenti: anche prima lavorava spesso da casa, dato che il team di cui fa parte è sparso in tutta l’Inghilterra. Fino ad ora ha vissuto questo periodo in maniera positiva, anche perché non si sente solo: vive assieme al suo compagno, che lavorava come psicologo in ospedale ma che dall’inizio della pandemia svolge la professione da casa. Questo- racconta a 9colonne - gli consente di risparmiare almeno sull’abbonamento ai mezzi di trasporto, perciò, afferma Pierpaolo, “la pandemia ha addirittura giovato loro da un punto di vista strettamente economico”. Si definisce “una persona resiliente”, con un’ottima capacità di adeguarsi e far sì che i repentini cambiamenti non siano motivo di sconforto. Ha cominciato solo ultimamente, con le nuove ondate di contagi, ad accusare il peso di questa situazione. “Si inizia a sentire adesso l’assenza di prossimità con la gente – racconta Pierpaolo -  Quello che prima poteva darci fastidio ora un po’ ci manca, ma si riesce ad andare avanti. Della socialità ne sento mancanza, ma non è un problema. Un po’ di malinconia e basta” afferma Pierpaolo. Essere un italiano in Regno Unito durante una pandemia non appesantisce ulteriormente il modo in cui vive tutto questo: ha già affrontato in passato la malattia e la scomparsa di persone care e questo gli ha permesso di fare i conti con momenti difficili ben prima dell’arrivo del Coronavirus. 

IRENE TRA VIDEO CHIAMATE E MESSAGGI SOGNA LA PASQUA IN ITALIA  Infine c’è Irene, che ha 41 anni e lavora presso un NHS Clinical Commissioning Group.  Da 22 anni  vive in Inghilterra, un Paese che amava e frequentava già da tempo e che le ha permesso di studiare quello che desiderava con più libertà. Lavorando in ambito sanitario, la pandemia non ha rappresentato per lei una sfida a livello economico: “Ho sempre lavorato, e anche tanto”, afferma. Lo stesso non si può dire di suo marito, proprietario di un’attività che si occupa di eventi musicali e sportivi, che invece sono stati sospesi. Irene ha potuto lavorare da casa, tornando di tanto in tanto in ufficio. “Psicologicamente sono abbastanza tranquilla, dopo un po’ ci si abitua. I primi mesi sono stati i più duri perché i bambini non andavano a scuola, ma sono fortunata dato che mio marito, prima di mettersi in proprio, aveva preso la qualifica da insegnante. Si è occupato lui di fare homeschooling ai bambini mentre io lavoravo” racconta a 9colonne. Anche vivendo in Inghilterra da molti anni, la lontananza forzata dall’Italia si fa sentire. Al tutto si aggiunge la recentissima uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, altro motivo di tensione. “Essendo qui da tanto per me è un po’ più facile, forse. Quando mi sono trasferita nel ’98 non erano molto diffusi i cellulari, non esistevano gli smartphone o le videochiamate” afferma Irene, quasi a dire che il peggio è passato visto che “oggi non  mancano i mezzi per comunicare a distanza”. “Ho già prenotato i biglietti per Pasqua” confessa Irene che aggiunge che questa, forse, è stata “una mossa un po’ troppo ottimista”.  Ma c’è bisogno anche di un po’  di ottimismo nella vita. Ora come non mai. (8 gen -PO /BIG ITALY /  Gil/ Aro)

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