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Danza, antropologia, psicologia: Serena e i ‘ponti’ Italia-Francia

Danza, antropologia, psicologia: Serena e i ‘ponti’ Italia-Francia

“Sono figlia della generazione Erasmus, ho studiato a Siviglia, parlo quattro lingue, ho vissuto in Irlanda. Attraversare le frontiere per me è come non sentirle e non perché non le concepisca da un punto di vista storico e politico. Abbiamo creduto nell’Europa senza barriere, ma oggi sono preoccupata perché le vedo erigersi nuovamente”. Serena Tallarico è un’antropologa specializzata in antropologia medica e ricercatrice in psicologia. Dal 2010 vive in Francia. Le sue origini sono “eclettiche” come il suo percorso formativo: nata in Toscana in una comunità buddista, da padre calabrese e madre campana, è cresciuta in un ambiente dialettico che vede nella diversità culturale una ricchezza, un elemento di fascino e interesse. Laureata all’Università  La Sapienza, nel corso dei suoi studi ha coltivato un particolare interesse per le danze tradizionali del sud Italia: “Mi ha stupito scoprire che dietro le musiche tradizionali ci fossero dei veri e propri rituali, mondi, società, valori, e che le danze fossero un linguaggio”.

 

PARTIRE, UNA SCELTA DIFFICILE E DOVUTA

Parallelamente agli studi Serena matura un interesse per “il modo in cui lo sguardo antropologico possa essere al servizio dei sistemi sanitari pubblici”. Fa esperienza di mediazione religiosa e culturale e nel 2008 è parte attiva della consulta giovanile del pluralismo religioso e culturale. “Dopo questo impegno ho iniziato a lavorare al San Gallicano a Roma e all’Istituto Nazionale per le popolazioni migranti e malattie legate alla povertà. Da antropologa cercavo di ricostruire la storia di memorie di migrazione forzata dei richiedenti asilo, accompagnavo i medici e gli avvocati per cercare di comprendere le logiche soggiacenti il racconto dei migranti. Da lì è nata una frustrazione positiva rispetto a quello che per me doveva essere il ruolo dell’antropologo: volevo fare di più” spiega Serena a 9colonne. In questa fase la ricerca di una dimensione clinica nel campo antropologico e di una dimensione professionale qualificata conducono Serena oltre le frontiere nazionali: “È stato un crollo vedere che la società non mi aspettava, che continuava a propormi stage non retribuiti. Scopro casualmente il testo “Principii di etnopsicoanalisi” di Tobie Nathan e mi si apre un mondo nuovo sull’etnopsicoanalisi. L’autore insegnava a Parigi così decido di partire e specializzarmi ancora”. A Parigi studia e lavora come cameriera ma “inizio a soffrire della “doppia assenza” tipica degli immigrati: vivevo il problema dello sguardo degli altri nel non vedere riconosciuta la mia esperienza e rivendicavo il diritto di chiamarmi “immigrata”, un titolo che difficilmente viene riconosciuto a un europeo. Ma io mi sentivo tale: se avessi trovato un lavoro a Roma non sarei partita, sono stata costretta perché i miei talenti, la mia curiosità, i miei studi non erano riconosciuti”.

 

MARSIGLIA, UNA NUOVA MIA CASA

L’esperienza formativa e professionale parigina si rivela molto proficua. Nei sette anni dal 2010 al 2017 Serena colleziona molte esperienze lavorative, tra cui il tirocinio in psicopatologia all’Hôpital Avicenne a Bobigny, dove lavora facendo sintesi delle qualifiche di antropologa medica, psicologa ricercatrice transculturale, etnopsicologa. Antropologia e psicologia si fondono per “creare un dispositivo di presa in carico della sofferenza psichica di pazienti immigrati. La malattia non è soltanto il sintomo ma il modo in cui la società accetta di riconoscere il malato e prenderlo in carico. Per poter capire la sofferenza psichica di persone che vengono da altre culture occorre fare una critica culturale delle categorie diagnostiche psicopatologiche da applicare. Ci sono modi diversi di essere malati”. Nel frattempo seguendo la passione mai sopita per le danze dell’Italia meridionale inizia a organizzare viaggi antropologici in Campania, Puglia, Calabria, divenendo un punto di riferimento dell’Istituto Italiano di cultura a Marsiglia. E’ a Marsiglia infatti che nel 2017 si trasferisce e inizia a tenere, tra gli altri, atelier di mediazione culturale attraverso la danza. “Giunta a Marsiglia mi sono sentita a casa ma ho anche iniziato ad avere nostalgia dell’Italia, dove stava montando un’onda di nazionalismo e razzismo che mi faceva soffrire. Ho iniziato con maggior forza a costruire ponti tra l’Italia e la Francia, lavorando ora in entrambi i Paesi”. Oltre agli studi culturali delle danze del sud Italia nelle scuole francesi Serena ha iniziato a lavorare per un progetto a Camini, un piccolo centro in Calabria di 250 abitanti e 120 immigrati, un luogo che “vede l’immigrazione non come un problema ma come una ricchezza per poter rigenerare il territorio, non solo in senso demografico ma anche di energia, volontà, turismo”. E alla domanda “dov’è la tua casa, tra Italia e Francia?”, Serena non ha dubbi: “Ho sempre pensato che casa mia dovesse essere in una città con un porto. Per me casa è Marsiglia l’unica città – come diceva Jean-Claude Izzo – in cui ogni immigrato arriva, posa i bagagli e dice ‘sono marsigliese’”.

(PO / EDE – 22 mar)

Photo credits Oreste Montebello

(© 9Colonne - citare la fonte)