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La criminalità organizzata
e l’economia legale

La criminalità organizzata <br>e l’economia legale

Piero Innocenti

Non è il potenziale di violenza l’effetto più devastante dell’attività della delinquenza organizzata, così come negli organismi viventi non è la febbre l’aspetto più insidioso di una malattia, che si può curare. Quando,invece, subdolamente, il male agisce senza che ci siano sintomi evidenti, ce ne accorgiamo troppo tardi ed è molto più difficile sconfiggerlo e riacquistare la salute perduta. La criminalità organizzata, in particolare quella mafiosa, è capace di agire in questo modo e di minare, indisturbata, le basi stesse del vivere sociale. Essa si insinua nei punti più deboli dell’organismo statale, attraverso la corruzione dei funzionari dei vari settori e livelli, approfittando di quelle zone grigie di illegalità e di scarso controllo che esistono in tutte le società, sfruttando le fratture che persistono nel tessuto sociale, persino nei paesi più avanzati.

E’ un discorso valido anche sul piano dei rapporti internazionali, tra Stati ricchi e poveri, con la grande criminalità che rischia di comprometterne seriamente il futuro. E’ un assunto che troviamo sviluppato con ben altra precisione e rigore scientifico nelle tesi, per esempio, dell’economista Guido M. Rey nel libro scritto, molti anni fa, con Ada Becchi “L’economia criminale” (Ed.Laterza, Bari 1994). Senza pretendere di ridurre a sintesi il tema complesso e articolato, riferiamo, di seguito, alcune delle autorevoli argomentazioni che mettono ben in luce l’incidenza negativa del crimine organizzato sullo sviluppo dell’economia legale. L’espansione delle attività criminali appare in stretto rapporto con la crescita del reddito e della ricchezza nei paesi in via di sviluppo, ammette Rey. Una tale situazione storica porta con sé sia un aumento dei reati di “tipo redistributivo” (furti, rapine, truffe, ecc.), sia un allargamento della platea che esprime la domanda di beni o servizi illeciti (dalla droga al gioco d’azzardo)”. Si apre, cioè, un nuovo mercato consumistico per i traffici illegali.
Gli scompensi sociali creati dall’innesto dei nuovi modelli capitalistici sulle vecchie strutture sociali, spesso di tipo patriarcale o feudale o tribale, favoriscono il sorgere di fenomeni criminali complessi. Questo sarebbe accaduto nel Mezzogiorno d’Italia ma anche in certi paesi dell’Asia. In altre parole, le fratture storiche e sociali determinate dallo “sviluppo ritardato” sarebbero un terreno fertile per l’insorgere delle organizzazioni criminali. L’ipotesi è piuttosto convincente e riesce anche spiegare le contraddizioni presenti in queste strutture, tra rituali e comportamenti relativamente primitivi da una parte, e risorse e capacità imprenditoriali sofisticate dall’altra. Le organizzazioni sviluppatesi nell’ambito di quei contesti si sono poi inserite nei mercati illegali degli Stati più avanzati. Esemplare il caso degli USA verso i quali convergono i traffici clandestini e le filiali di una miriade di gruppi criminali operanti nei paesi dell’America Latina, dell’Asia, dell’Africa.
Rey enumera e descrive i costi per la collettività determinati dall’economia criminale: effetti negativi derivanti dall’uso dei beni illeciti (si pensi, per esempio, ai danni sulla salute indotti dalle droghe); perdite di reddito da parte dello Stato a causa dell’esercizio del contrabbando e per finanziare le attività di contrasto; perdite del consumatore perché i beni illeciti vengono venduti a prezzi superiori a quelli di mercato; seguono poi i danni indotti dalla penetrazione criminale nelle attività legali con le alterazioni imprevedibili e incontrollabili delle dinamiche di funzionamento del mercato; danni che non sono facilmente quantificabili. Ad esempio, per realizzare coperture o riciclaggio, la c.o. mantiene in vita aziende non redditizie e sottopone ad estorsione sistematica le imprese legali, imponendo loro dei costi aggiuntivi che non possono non ripercuotersi sui consumatori stessi. Anche quando, attraverso il riciclaggio, entra con propri capitali nell’ambito legale, la mafia è un fattore di forte inquinamento. Essa crea effetti di squilibrio sul mercato finanziario, producendo inflazione incontrollata; induce tutto il sistema bancario e quello borsistico a contravvenire alle regole; entra massicciamente sul mercato degli investimenti e dell’imprenditoria senza rispettare i principi di una concorrenza leale, spiazzando quella sana. Usa, infatti, la corruzione e la violenza. Essa penetra preferibilmente in quelli che sono definiti i mercati protetti, cioè regolati dall’intervento pubblico nell’economia. Tipico l’esempio del settore degli appalti e delle commesse.
La conclusione è che, in ogni caso, l’economia criminale ostacola lo sviluppo perché costituisce “una falla nell’economia legale: una quota delle risorse è sottratta alla produzione legale e alimenta un circuito alternativo (...) essa prima di tutto tenderà a consolidare le modalità non ottimali di funzionamento dei mercati legali. Il risultato è un circolo vizioso che spinge sempre più l’economia in mani criminali”. E’ quello che sta accadendo, da anni, anche nel nostro paese in un clima di disattenzione disarmante.

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