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direttore Paolo Pagliaro

Alla scoperta dei musei dell’emigrazione, “archivi” della memoria

“L’Italia è una Repubblica fondata sull’emigrazione” sostiene lo storico Toni Ricciardi. E non potrebbe essere altrimenti. Quella italiana è anche una storia di partenze, un “viaggio” iniziato subito dopo l’Unificazione, intorno al 1876 e non ancora concluso, che finora conta circa 30 milioni di espatri. Non si è sempre trattato di un addio definitivo, i ritorni ci sono stati: c’era chi tornava per godersi la fortuna accumulata all’estero e chi invece era costretto a rientrare perché di fortuna non ne aveva avuta, e poi c’era chi non tornava più. Di tutti loro abbiamo una testimonianza, fotografie, documenti di viaggio, le classiche valigie di cartone, tutte cose che ci ricordano che una volta gli stranieri eravamo noi. Un patrimonio storico culturale che merita di essere protetto e tramandato, anche e soprattutto a beneficio dei 60 milioni circa di italo discendenti sparsi per il mondo, che l’emigrazione italiana ha generato. Potenziali turisti delle radici in cerca della storia della propria famiglia, curiosi di conoscerne la vita prima del viaggio e le motivazioni alla sua base. Questa la mission raccolta e sviluppata dai numerosi musei dell’emigrazione nati in tutta Italia. Nonostante la pandemia e le chiusure degli ultimi mesi, molte strutture sono riuscite, infatti, a riorganizzarsi e permettere comunque la fruizione del materiale storico a loro disposizione, spesso reinventando il concetto stesso di museo, da semplice visita educativa ad esperienza “dal vivo”, grazie anche all’uso ormai necessario dei supporti digitali. Come il MIM Belluno, il Museo Interattivo delle Migrazioni, ospitato nella sede dell’Associazione Bellunesi nel Mondo, che nelle tre sale in cui mostra il passato di migranti italiani in forma multimediale, alle videointerviste, fotografie e pannelli affianca un nuovo percorso virtuale. Con l’aiuto di uno smartphone, degli auricolari e un cardboard, un visore per la realtà virtuale, messo a disposizione dal museo, ci si può immergere in prima persona nella vita dei minatori.


L’interazione è ormai l’elemento cardine di questi tipi di percorso. Il Museo Nazionale dell’Emigrazione Italiana (MEI), ora in allestimento in attesa dell’inaugurazione di gennaio 2022, che sarà ospitato all’interno della Commenda di San Giovanni di Prè a Genova avrà come obiettivo la fruizione del Museo senza alcun contatto fisico con i supporti tecnici. L’interazione, che avverrà semplicemente avvicinando lo smartphone, accompagnerà i visitatori lungo tutto il museo: dalla spiegazione dei fenomeni migratori ai luoghi di destinazione, in Italia e all’estero. La vera novità sarà costituita da “Il Labirinto”, momento in cui il visitatore potrà sperimentare la migrazione vera e propria, dal colloquio con un ufficiale dell’immigrazione a Ellis Island all’incontro con un proprietario di case e un maestro di scuola. Un modo per realizzare “di persona” la difficoltà dell’esperienza migratoria e poterla infine condividere sui social, con un messaggio o un selfie alla fine della visita. Musei in cui si racconta la storia di un’altra Italia, quella di chi partiva con entusiasmo verso il Nuovo Mondo e quella di chi invece lasciava indietro tutto ciò che aveva di più caro, in fuga dalla miseria. Una storia antica, ma forse non troppo. (Cad – 7 ott)

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