Cresce, cambia e si conferma uno strumento prezioso per il potere d’acquisto di chi lavora: il welfare aziendale continua la sua evoluzione, guadagnando centralità nelle politiche di benessere delle imprese italiane. È quanto emerge dall’ultima edizione dell’Osservatorio Welfare di Edenred Italia, società leader nel settore degli employee benefit, che ha analizzato i comportamenti di oltre 5.000 aziende clienti e 770.000 beneficiari.
Nel 2024, le imprese italiane hanno erogato in media circa 1.000 euro a dipendente sotto forma di credito welfare, con un incremento del 10% rispetto ai 910 euro dell’anno precedente. Contestualmente è cresciuto anche il tasso di utilizzo da parte dei lavoratori, che raggiunge quasi il 90%, segno tangibile della crescente rilevanza del welfare come leva per sostenere il reddito e la qualità della vita dei dipendenti.
Spinti dalla Legge di Bilancio, che ha innalzato la soglia di esenzione fiscale da 258,23 a 1.000 euro (2.000 per chi ha figli a carico) fino al 2027, i fringe benefit - tra cui rientrano buoni acquisto, buoni carburante, rimborsi per affitti e bollette domestiche – rappresentano oggi la principale voce di spesa all’interno del credito welfare: per la prima volta, hanno superato la metà del credito welfare complessivo che le aziende mettono a disposizione dei propri dipendenti, arrivando a coprire il 52% del totale. Le voci di spesa a seguire sono area ricreativa (23%), istruzione (13,5%), previdenza integrativa (5,6%) e assistenza sanitaria (3,2%). Chiudono la classifica mobilità (1,5%) e assistenza familiare (0,9%).
«Il welfare aziendale è ormai una componente essenziale del benessere, anche economico, di chi lavora – commenta Fabrizio Ruggiero, Amministratore Delegato di Edenred Italia – Sommando buoni pasto e fringe benefit, un’azienda può mettere a disposizione fino a circa 2.700 euro esentasse per ciascun dipendente. Per chi ha un reddito tra i 25 e i 50 mila euro, è l’equivalente di una o due mensilità nette aggiuntive».
L’utilizzo del credito welfare varia in base all’età del beneficiario. Il ricorso ai fringe benefit oscilla tra il 65% dei beneficiari under 30 e il 48% di chi ha oltre 60 anni. I rimborsi in istruzione sono fruiti in misura maggiore dalla fascia d’età compresa tra i 40 e i 59 anni, mentre l’erogazione di credito in previdenza integrativa cresce con l’avvicinarsi dell’età pensionabile, passando dal 3% dei giovani under 30 al 13% della spesa complessiva per i dipendenti oltre i 60 anni di età. Il ricorso ai servizi dell’area ricreativa, invece, sale al 29% tra la popolazione entro i 39 anni, restando tuttavia una solida voce di spesa, in media attorno al 20%, per gli over 40.
«Il welfare aziendale è sempre più costruito a misura di persona – prosegue Ruggiero – Gli HR manager diventano architetti del benessere organizzativo, chiamati ad ascoltare e anticipare bisogni che cambiano, soprattutto nelle nuove generazioni. Ma c’è un ostacolo: la complessità normativa, che frena l’adozione di strumenti di welfare da parte delle piccole imprese (appena il 2%). Serve una semplificazione e un aggiornamento degli strumenti più diffusi, come il buono pasto, la cui soglia esentasse è ferma a 8 euro come stabilito da una norma del 2020. Nell’attuale contesto socio-economico, segnato da inflazione e rincari, è il momento di rivedere questa soglia per rafforzare il potere d’acquisto di 3,5 milioni di lavoratori». (18 lug – red)
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