Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

Sulle “Montagne russe”
con Raimondo Pinna

Libri
Ogni settimana uno scaffale diverso, ogni settimana sarà come entrare in una libreria virtuale per sfogliare un volume di cui si è sentito parlare o che incuriosisce. Lo "Speciale libri" illustra le novità delle principali case editrici nazionali e degli autori più amati, senza perdere di vista scrittori emergenti e realtà indipendenti. I generi spaziano dai saggi ai romanzi, dalle inchieste giornalistiche, alla storia e alle biografie.

Sulle “Montagne russe” <br> con Raimondo Pinna

RAIMONDO PINNA CI PORTA SULLE “MONTAGNE RUSSE”

Cercare di scoprire la direzione in cui procede questo mondo globalizzato, è un po’ come fare un giro sulle montagne russe. “Montagne russe” è il titolo del romanzo d’esordio di Raimondo Pinna, pubblicato da Transeuropa Edizioni, che ci proietta in una storia di facoltosissimi russi che hanno “colonizzato” la Versilia, in una Forte dei Marmi dove possono accadere cose strane. Come d’altra parte è costellata di cose strane la nostra contemporaneità. L’autore – architetto che vive tra Cagliari, Milano, il Cilento e Lucca, dove risiede da otto anni – ci racconta come un suo “collega” cagliaritano col pallino del teatro conosca una coppia – lui nel giro mafioso dell’alluminio, lei aspirante attrice – disponibile a comprargli per trentamila euro una commedia. A patto che scompaia il suo nome come autore. Dopo l’intesa iniziale, l’architetto diventa sempre più insofferente all’accordo, mentre il mafioso accresce la propria ferocia. Poi, durante una finta gita di piacere a Stazzema, il russo lo minaccia di morte: incredulo e testardo, l’architetto escogita un sistema di rimandi nel testo che sbugiardi gli impostori il giorno della “prima”, inviandone la chiave a un giornalista australiano esperto di teatro . . . Tra tragedia ed umorismo, Pinna (che non a caso per professione si occupa di pianificazione urbanistica . . . ) mette in luce le paure di quanti dopo aver speculato sulle meraviglie immobiliari del proprio Paese si sono ritrovati lo straniero in casa; modello agli occhi degli italiani del nichilista titanico contemporaneo, ammirato e detestato nello stesso tempo, che non crede in nulla pur conservando una fiducia totale in se stesso: “La prima regola per sopravvivere è cominciare il nuovo giorno come se fosse il primo. Senza alcun rimpianto. In ogni caso nessun rimorso”. Personaggi che hanno in sé l’ambiguità di Nozdrëv, figura de “Le anime morte” di Nikolaj Gogol (di cui un brano viene riportato in apertura di romanzo da Pinna) che secondo lo scrittore russo “per un pezzo ancora non si estinguerà. È ovunque fra noi e, forse, gira soltanto con un altro abito: ma la gente è superficiale e poco perspicace, e scambia un uomo con un altro abito per un altro uomo”. (Red)

“LE POESIE PIU’ BELLE” DI VALENTINO ZEICHEN

“Presso tutti gli uomini”, dice Omero nell’Odissea, “i poeti godono della massima venerazione e di rispetto, perché la Musa ha insegnato loro il canto e ha cara la stirpe dei poeti”. Per quarant’anni Valentino Zeichen ha passeggiato per le vie romane consapevole che i poeti non erano più venerati come al tempo dei greci, ma che, se fosse stato vivo, Omero lo avrebbe celebrato come un grande. Moravia non a caso l’aveva riconosciuto come “un Marziale contemporaneo” e altri nel tempo hanno definito questa figura di poeta sui generis “un libertino minimale settecentesco” (Ferroni), “un Gozzano dopo la Scuola di Francoforte” (Pagliarani), un neoclassico beffardo, un dandy, un flâneur, un neo liberty, un hidalgo. Fazio editore pubblica ora “Le poesie più belle”. Oltre che grande poeta, Zeichen è stato un personaggio la cui vita e le cui opere sono già diventate leggenda insieme ai suoi sandali francescani e alla baracca dietro piazza del Popolo in cui, da austro-ungarico trasferitosi a Roma, ha vissuto nello “sdegnoso rifiuto di un qualsivoglia lavoro e con violenti attacchi alla civiltà dei consumi”, come ha avuto modo di scrivere Valerio Magrelli. Non è vero quello che spesso hanno sostenuto i critici, e cioè che la “ragione” fosse unicamente al centro dei suoi componimenti. Al contrario, Valentino Zeichen ha messo subito a nudo il “cuore” in una delle sue prime poesie: “Presumibilmente, / sembro un poeta di alta rappresentanza / sebbene la mia insufficienza cardiaca ha per virtù medica il libro Cuore”. E non è neanche vero che Zeichen fosse un antilirico. A riprova di ciò, basta leggere alcune sue poesie sulla madre, Evelina, e sulla fanciullezza passata a Fiume, per rendersi conto che nel suo caso l’etichetta di antilirico non ha alcun senso. Il problema di Zeichen è stato quello di essere un gigante in mezzo ai nani. Nel primo anniversario della morte, che il libro intende celebrare, va ricordato che questa notevole figura di poeta, che nei suoi versi importò anche temi difficili e raramente trattati come quelli riguardanti la geopolitica, la chimica e la scienza, sue grandi passioni, è sempre stata ignorata dai maggiori premi letterari. Fuor di polemica, con questo omaggio che intende raccogliere le sue poesie più belle, si vuole ricordare il poeta, l’amico e soprattutto un uomo che, con la sua coerenza intellettuale e il suo rigore, ha lasciato un segno indelebile nel mondo culturale italiano.

 

I PIRANDELLO. LA FAMIGLIA E L’EPOCA PER IMMAGINI

Nel centocinquantesimo anniversario della nascita, il volume “I Pirandello. La famiglia e l’epoca per immagini” (Teseo editore, 630 foto, 232 pagine) narra cronologicamente, in fascinosa sequenza, attraverso una straordinaria, completa, rara o, in gran parte, inedita raccolta di foto, la parabola esistenziale e artistica del grande agrigentino. E non solo. Un “romanzo iconografico”, sul filo della memoria, la storia di una delle più complesse e tormentate famiglie che ha ricoperto un ruolo di primo piano nella cultura internazionale fra Otto e Novecento, in cui le vicende private s’intrecciano con quelle di un’epoca per tanti aspetti perturbante che vive eccezionali fermenti innovativi. Un evocativo affresco di storia intellettuale e di documenti umani, che ci restituisce il colore del tempo di derobertiana memoria, molteplici e multiforme tessere di un variopinto mosaico, interrogabili da svariate prospettive, capaci di svelare aspetti e significati sempre nuovi. Attorno al protagonista principe, Luigi Pirandello, campeggia l’agrigentina famiglia d’origine, la moglie Antonietta Portolano, i figli, Stefano (anch’egli singolare drammaturgo e romanziere), Fausto (destinato a divenire uno dei maggiori pittori della Scuola Romana), Lietta (che sposerà un diplomatico cileno), la prediletta attrice Marta Abba, musa ispiratrice dell’ultima stagione teatrale. Dall’intimo nucleo di immagini familiari a quello degli innumerevoli scrittori che gli stanno attorno, scrittori (Martoglio, Rosso di San Secondo, Alvaro, Bontempelli), attori (Musco, Ruggeri, la Gramatica, i De Filippo), amici (Simoni, Salvini, Lopez, D’Amico), registi (L’Herbier, Pitöeff,  Reinhardt, Chenal), politici (Mussolini, Balbo, Starace, Pavolini), esponenti dell’intellighentia internazionale (Marconi, Einstein, Disney, Gershwin, Mamoulian, Crémieux). Spiccano anche i suggestivi ritratti di Luigi, frutto della maestria di grandi fotografi. Notevole il nucleo di immagini che documenta il Premio Nobel, gli innumerevoli viaggi per promuovere il suo teatro e per inseguire il sogno cinematografico americano. Un lungo, intenso, inquieto vagabondaggio per il mondo.

 

SECONDO CHIARA LALLI "SIAMO TUTTI MANUEL FANTONI"

“Quando abbiamo cominciato a sentirci tanto importanti da meritare un memoir?” Questa è la domanda cui Chiara Lalli cerca di rispondere con un pamphlet convincente e ironico. Nel paese che ha dato i natali a un personaggio cult come Manuel Fantoni, il narcisismo e la mitomania sono diventati la cifra della contemporaneità. Dal mantra del “sii te stesso” fino alle diagnosi di narcisismo patologico, in “Non avrai altro Dio all’infuori di te. Siamo tutti Manuel Fantoni” (Fandango, introduzione di Carlo Verdone) Lalli traccia le linee principali della nostra tendenza ad amarci tantissimo. Si raccontano le gesta di giornalisti mitomani e cialtroni (ma bravissimi, come Stephen Glass e Jayson Blair), gli impostori intellettuali, la fatica di essere figli al tempo dei social network infestati da genitori ossessionati, il glorioso inganno di Lance Armstrong fino al recidivo Anthony Weiner. Si smaschera la mitomania degli haters, gli odiatori di professione; il culto della personalità di medici e psichiatri (uno fra tutti il guru psichiatrico Massimo Fagioli morto recentemente); si impara a difendersi dall’assurda pretesa di par condicio nei dibattiti scientifici fino al racconto esilarante dell’attrice Barbara Livi cui la gente chiedeva consigli medici perché il suo personaggio in una fiction era una dottoressa. Chiara Lalli è bioeticista e giornalista. Tra i suoi libri: Libertà procreativa (2004) e Dilemmi della bioetica (2007), Liguori; Buoni genitori. Storie di mamme e papà gay (2009), C’è chi dice no. Dalla leva all’aborto. Come cambia l’obiezione di coscienza (2011), Secondo le mie forze e il mio giudizio. Chi decide sul fine vita. Morire nel mondo contemporaneo (2014), Il Saggiatore; A. La verità, vi prego, sull’aborto (2013), All you can eat. Atlante alimentare illustrato (2015) e Tutti pazzi per il gender (2016), Fandango Libri. Con Gilberto Corbellini ha scritto Cavie? Sperimentazione e diritti animali (il Mulino, 2016) e Bioetica per perplessi. Una guida ragionata (Mondadori, 2016).

 

ANDARE PER LE ABBAZIE CISTERCENSI CON CARLO TOSCO

Nato in Borgogna all’inizio del XII secolo l’ordine cistercense ha promosso la fondazione di numerose abbazie in tutta l’Europa cristiana. Nel nostro paese ha trovato un terreno privilegiato, che ha favorito la costruzione di complessi monastici di grande bellezza, annoverati fra i vertici dell’arte e dell’architettura medievali. Ma ai cistercensi dobbiamo anche una grande opera di valorizzazione del paesaggio così come lo sviluppo e la bonifica di molti territori. Dal Piemonte alla Sicilia l’itinerario tocca i maggiori centri cistercensi in Italia: il primo, a Tiglieto vicino a Ovada, e molti altri fra cui Chiaravalle Milanese, San Galgano, Chiaravalle di Fiastra, San Martino al Cimino, per finire con l’abbazia palermitana di Santo Spirito. …la “piccola storia” delle abbazie s’intreccia sovente con la “grande storia” dei sovrani, dei papi, delle battaglie politiche e religiose che hanno segnato l’Italia medievale. Per il Mulino Carlo Tosco ha scritto “Andare per le abbazie cistercensi”. L’autore insegna Storia dell’architettura al Politecnico di Torino. Con il Mulino ha pubblicato anche “Il paesaggio come storia” (2007), “I beni culturali” (2014) e “L’architettura medievale in Italia. 600-1200” (2016).

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