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direttore Paolo Pagliaro

Vite che sono la tua
di Paolo di Paolo

Libri
Ogni settimana uno scaffale diverso, ogni settimana sarà come entrare in una libreria virtuale per sfogliare un volume di cui si è sentito parlare o che incuriosisce. Lo "Speciale libri" illustra le novità delle principali case editrici nazionali e degli autori più amati, senza perdere di vista scrittori emergenti e realtà indipendenti. I generi spaziano dai saggi ai romanzi, dalle inchieste giornalistiche, alla storia e alle biografie.

Vite che sono la tua <br> di Paolo di Paolo

“VITE CHE SONO LA TUA” DI PAOLO DI PAOLO

“Tom era come me. Io ero Tom. E per la prima volta mi sembrava di esistere anche fuori di me, da qualche altra parte. Mi pareva che Twain sapesse qualcosa degli interminabili pomeriggi di vacanza, delle battaglie per gioco fra cugini, di certi assalti, di certi azzardi. Il bello era questo: ritrovare in una storia altrui la mia”. A volte, da un romanzo, riporti anche solo una frase. Un’intuizione. Una cosa che ignoravi. A volte, anche solo una visione o un gesto. Altre volte, una storia che somiglia alla tua. Da Tom Sawyer al giovane Holden, da Jane Eyre a Raskòl’nikov e ai personaggi di Roth, la magia dei grandi libri, guide strane, insolite, spiazzanti: tutto questo in “Vite che sono la tua. Il bello dei romanzi in 27 storie” di Paolo Di Paolo (Laterza). Leggendo possiamo vivere il non ancora vissuto e il mai vivibile, dichiararci a qualcuno con un coraggio mai avuto, percepire un dolore che somiglia al nostro o solo sapere che esiste. Perché la letteratura ci racconta. La sorpresa del crescere, le sfide, la scoperta del desiderio, l’amore, le ambizioni, le illusioni – magari perdute; la voglia di andare lontano o di tornare a casa; la paura di invecchiare e tutte le paure, ma anche tutte le speranze.

IL “MANIFESTO DELLA POESIA OLISTICA" DI ALESSANDRO S. DALL’OGLIO

Parole leggere come fili. Per tesserne solo una: armonia. Su di un telaio retto dalla solida geometria di una poetica trascendente e sensuale. Con la sapienza del sottile artigiano del verso, Alessandro S. Dall’Oglio, con le sue “Poesie olistiche” – che sono state presentate alla Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria di Roma - cesella un lungo percorso esperienziale nel campo delle discipline orientali, “preso e lavorato di fino”. E, forte di una “spiritualità laica, libera e consapevole”, fa immergere il lettore nella viva carne lessicale del suo “Manifesto filosofico e letterario per la Poesia olistica”. E da questo “spazio rituale” di contrasti e di rimandi semantici, “concavi e convessi”, allofonie, ossimori, nel “cercare il disordine nell’ordine”, “vuoti grevi come silenzi”, si giunge all’estremo punto, che porta a compimento il percorso di ricerca interiore della Poesia olistica: il gettarsi nell’origine archetipica del simbolo e del mito (“Prendi tutte le forme in cui mutabile ti trasformi, e fluidamente virtuale ti diffondi”). Una poesia “dorata come la croce di Ankh, contro lieve piuma di Maat”, scolpita nel “bronzo dei nostri sensi”, attraversata da schegge di “pietra o cristallo” e solidamente posta sulla radice taoista di Yin e Yang e sulla tantrica fusione dello shivaismo (“verso i fianchi dove fondono l’oro”), in un fascinoso “oso e non oso”, un “sentire radice di mare”, un “risuonare sommerso dall’acqua” finché, con purezza vitale, il tocco di una “calda rugiada”, conduce fino al “contatto monolitico dell’Oltre”. Alessandro S. Dall’Oglio, con levità e precisione, ripensamenti e scuotimenti, cedimenti (“voglio torpore) e vitali pulsioni (“rendimi affamato delle tue stesse voglie”), ma anche inviti sferzanti (“sol pochi accettano illuminazione, preferendo sminuir ogni illusione, bollando affrettati, bocciando rapidi”, “odio e disprezzo chi non ti intravede”) conduce il lettore in un percorso vertiginoso e caleidoscopico nei sentieri dell’anima. Un “dolce morire” che supera i limiti di una vita “intarsiata dal cemento”, coperta di “ruggine infinita” e da “pietra scalfita dal tempo”, per ritrovarsi, con gioia di “campane a vento”, ad abbandonarsi allo “splendore di nuovi sgomenti”, “vettori dell’energia universale, come tempesta di Terra e Fuoco”.  Un libro che non tralascia l'immanente, ma che si rivela pian piano trascendente e metafisico come "un cielo che apre tutte le sue nuvole, di quaderno eterno”. (Poesie olistiche - Alessandro S. Dall’Oglio - Edizioni Ensemble, postfazione di Corrado Veneziano, pagg. 88, euro 12).

“PER OGNI PERSONA INCONTRATA” DI FRANCESCA DE SAPIO

Il libro di Francesca De Sapio “Per ogni persona incontrata”, edito da  D'Oro Collection, racconta un viaggio che attraversa mezzo secolo di storia, vissuto tra l’Italia e gli Stati Uniti, due paesi messi a confronto nella loro bellezza e nel loro orrore. L’affresco di una famiglia allargata, dal 1945 a oggi. Genitori, nonni, ex mogli, sorelle, nuove matrigne, cugini acquisiti e amici. Come vissero e morirono alcuni di loro di alcol, droga, aids, facendosi piccole guerre, mentre finivano ed esplodevano nuove guerre più grandi nel mondo. La Manhattan degli anni Cinquanta. L’inizio della sua vita da attrice a Dallas, subito dopo la morte di Kennedy. Gli ultimi anni gloriosi dell’Actors Studio. Lee Strasberg, ispirazione e sostegno per più di dieci anni. Le domeniche passate nella sua casa, pomeriggi illuminati da lampade antiche vicino al pianoforte bianco di Marilyn Monroe e un’immensa quantità di libri. Il dono di un’arte e di una strada di disciplina artistica e umana. L’incontro di lavoro e d’amore con Al Pacino, che durò dodici anni di separazioni e ricongiunzioni. L’amicizia con Robert De Niro, Harvey Keitel, Shelley Winters, Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni, Roberto Benigni, Gérard Depardieu, Sophia Loren, Marco Ferreri, Francis Ford Coppola e tanti altri, famosi e non famosi, vincenti e perdenti. Il mondo di Hollywood, il Sessantotto, la vita sui set cinematografici, tentando di conciliare carriera, poesia, ricerca e coscienza sociale. Dopo il rancore e il dolore, la scoperta di un altro tipo di eredità lasciatale da ogni persona incontrata. Lunedì 11 dicembre alle 19.30 al Cinema Quattro Fontane (Via delle Quattro Fontane, 23) a Roma, il libro verrà presentato in anteprima nazionale. Interverranno all’incontro l’autrice Francesca De Sapio, Claudio Vicentini (Professore Emerito Università "L'Orientale" di Napoli) e Sandra Cecchi, (Giornalista Rai). Diversi attori, tra cui  Karen Di Porto, Silvia Gallerano, Marina Rocco, Lavinia Savignoni, Gioia Spaziani, leggeranno alcuni passi del testo.

A TAVOLA COI RE: LA CUCINA AI TEMPI DI LUIGI XIV E LUIGI XV

Cosa si mangiava, come si mangiava. Chi forniva e cosa riforniva. Chi e dove si cucinava. L’esercito di servizio nei suoi vari gradi. Le stanze da pranzo, l’architettura e il mobilio. L’ordine delle portate. La buona educazione. I primi, moderni, libri sull’arte di mangiar bene. Con il movimento dei fatti significativi, delle circostanze storiche, e con la riproposizione delle ricette d’allora possibili da eseguire oggi, “A tavola coi re. La cucina ai tempi di Luigi XIV e Luigi XV” di Francesca Sgorbati Bosi (Sellerio) racconta come nasce la grande cucina francese nell’epoca di Luigi XIV e della sua corte; e come poi, durante il regno di Luigi XV, essa si ponga al centro della cultura, dell’arte e della letteratura, come si caratterizzi quale elemento di identità nazionale, come diventi modello implicito di costumi e moralità. “In quel secolo, in Francia si parla, si scrive e si discute di cucina come mai era accaduto prima. Gli chef rivendicano la dignità della loro professione e i loro ricettari sono preceduti da introduzioni di intellettuali di vaglia. Del cibo si parla, si arriva a trascendere la sua natura materiale per considerarlo espressione di un sistema politico apertamente criticato e si propongono diete alternative a quella tradizionale. Come oggi”. Dicendo di come cominci l’età nuova nei cibi, “A tavola coi re” descrive la frattura che indirizza ai nostri anni. La cucina si laicizza, si secolarizza, cioè si sottrae ai numi tutelari che l’avevano orientata fino a quel momento, ovvero la medicina e la religione. A tavola non governa più il medico e il prete, ma il gusto. Il buon gusto nel mangiare sfocia in una forma di disciplinamento collettivo: anche ai buoni borghesi si riconosce, già nei ricettari e nei numerosissimi libri di cucina pubblicati, il diritto di mangiare bene. Cambia la gerarchia degli alimenti. Spezie giunte da lontano, animali pittoreschi e rari, lo zuccheroso e l’acidulo, cedono il primato ad alimenti prima disprezzati, ai cibi più domestici. S’impone la frutta a fine pasto. C’è un mondo diverso fuori e la teoria e la pratica culinaria ne vogliono essere lo specchio. Così in queste pagine prende forma una rappresentazione della società del tempo, in tutta la vivacità della grande trasformazione della modernità, ma a guardarla dalle cucine dei palazzi.

THE NOBEL LECTURE DI BOB DYLAN

Come per Omero e Saffo, in Dylan la musica si fa poesia. O viceversa. È questa in sintesi la motivazione con cui l’Accademia di Svezia annuncia il 13 ottobre 2016 il conferimento del Premio Nobel per la Letteratura al cantautore più amato del mondo. Il resto è storia nota: Dylan non va a ritirare il premio a causa di impegni presi in precedenza, la sua lettera di ringraziamento viene letta dall’ambasciatrice degli Stati Uniti in Svezia, Patti Smith esegue A Hard Rain’s A-Gonna Fall e si commuove. Intanto l’eterno dibattito si riaccende: una canzone può essere letteratura? Nelle  pagine di “The Nobel Lecture” (Feltrinelli), che contengono la lettera di ringraziamento e il discorso tenuto all’Accademia di Svezia durante una cerimonia privata, non si trovano le risposte di Dylan a questa domanda, ma c’è il suo rapporto con quello che ha letto e quello che ha ascoltato, con le storie che ha amato, con i linguaggi che lo hanno nutrito. Perché se è vero che “mai una volta ho avuto il tempo di chiedermi se le mie canzoni sono letteratura”, è anche vero che le pagine dei libri ti danno “un modo di guardare la vita, una comprensione della natura umana e un metro con il quale misurare le cose”. È così che, nel suo modo di guardare la vita, ci sono Omero e Buddy Holly, Moby Dick e Niente di nuovo sul fronte occidentale. E soprattutto ci sono incontri e ricordi, perché “le canzoni sono vive nella terra dei vivi” e Dylan, come Omero, invoca la Musa chiedendole semplicemente di cantare, attraverso la sua bocca, una storia. Nel suo discorso per il Nobel Dylan non parla solo del rapporto tra letteratura e musica, ma del rapporto tra letteratura e vita. “Quando ero giovane, era il mio eroe. Senza le parole e la musica di Dylan, probabilmente non sarei diventato uno scrittore”: parola di Kazuo Ishiguro, Premio Nobel per la Letteratura 2017.

(© 9Colonne - citare la fonte)