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Vittoria Colizza, la forza
di una donna nella lotta
al coronavirus

Ritratti
Una galleria giornalistica di ritratti femminili legati all'Unità d'Italia. Donne protagoniste nell'economia, nelle scienze, nella cultura, nello spettacolo, nelle istituzioni e nell'attualità. Ogni settimana due figure femminili rappresentative della storia politica e culturale italiana passata e presente.

Vittoria Colizza, la forza <br>di una donna nella lotta <br>al coronavirus

La scienziata Vittoria Colizza è stata per molti anni una donna che lavorava con passione nell’ombra. Ora, nella lotta al coronavirus, si è presa le luci dei riflettori. Nata a Roma nel 1978, dopo la laurea in Fisica alla Sapienza e un dottorato alla Sissa di Trieste, lavora all’università dell’Indiana, negli Stati Uniti, e anche alla ISI Foundation di Torino. Nel 2011 vince il concorso ed entra all’Inserm di Parigi, dove ancora oggi guida il laboratorio EPIcx che fa analisi di valutazione del rischio, mitigazione e controllo delle epidemie umane e animali, basandosi su approcci matematici e computazionali. “Ho dovuto passare un concorso molto difficile, incredibilmente selettivo ma è quello che cercavo – ha raccontato in un’intervista – Io sono una fisica teorica di formazione, ma lavoro da sempre in ambienti multidisciplinari tra matematici, immunologi, virologi e anche policy-makers. Faccio parte di una task force che si chiama reacting che punta a rispondere in modo rapido e efficace a emergenze epidemiche”.

Un ruolo di vero prestigio, in un campo di ricerca ancora prettamente maschile. “Penso che sia molto difficile identificare con precisione il sesso come l'unica causa dietro i tempi difficili – aveva commentato – Nella mia esperienza, quando si sono verificate queste situazioni, ho spesso avuto l'impressione che fosse una combinazione di fattori che ha portato le altre persone ad avere pregiudizi. E probabilmente il fattore che pesava di più nel mio caso non era il sesso ma l'età, vale a dire essere troppo giovani rispetto alle aspettative e quindi considerati incompetenti. Sia le donne che gli uomini hanno fatto questo tipo di false assunzioni”. I dati sull’istruzione e la diversità riportati dall'American Physical Society affermano che il 22% delle licenze sono state ottenute da donne nel 2001 negli Stati Uniti. “È l’anno in cui mi sono laureata. Tuttavia, la mia esperienza nel dipartimento di fisica dell'Università Sapienza di Roma, in Italia, è stata dell'1%...”. Molti i premi conseguiti, dal “Young talent award” ricevuto nel 2010 dal Ministero delle Politiche giovanili, fino “Telethon-Farmindustria Award” nel 2017. Lei però non si sente un cervello in fuga: “Dopo gli Usa sono tornata a Torino, all'Isi, ed è proprio lì che ho vinto la borsa Starting Grant del Consiglio europeo per la ricerca. Sono molto grata all'Italia”. Un pezzettino del suo Paese natale è sempre con lei, infatti sono moltissimi i connazionali che lavorano all’interno del laboratorio parigino. “Lo chiamano ‘il laboratorio degli italiani’ perché la maggior parte dei giovani che lavorano con me vengono dal nostro Paese. Dobbiamo esserne orgogliosi: sono bravissimi e sanno mettersi in gioco – ha spiegato Colizza – Ma parlare di fuga di cervelli è un non senso nell'ambito scientifico. È un'idea che sembra sottintendere che sarebbe giusto restare, non muoversi, quando invece viaggiare, avere esperienze professionali all'estero, è fondamentale”.

Da gennaio il suo team è attivo nello studio del Covid-19. “Abbiamo pubblicato già tre ricerche sul Coronavirus: l’ultima è sui casi importati e non identificati – ha spiegato – Abbiamo tracciato i primi 300 casi confermati nel mondo fuori dalla Cina, includendo sia quelli importati, sia i clusters (cioè i focolai) che ciascuno di essi ha generato (alcuni non ne hanno generati). Abbiamo ricostruito tutti i passaggi, dal viaggio ai primi sintomi, all’ammissione in ospedale, al test. Sulla base dei clusters nei quali non si è trovato il ‘paziente zero’, con un modello statistico abbiamo stimato che su 10 casi importati in un Paese in media 6 non vengono identificati. La maggior parte dei casi importati supera dunque la sorveglianza del sistema sanitario. Questo risultato ci dice che bisogna aspettarsi l’emergenza di catene di trasmissione locale che si sviluppano in silenzio, proprio perché non si trova il paziente zero. Esattamente quello che è successo in Italia. I risultati delle nostre ricerche li condividiamo con le autorità sanitarie e poi vanno subito online sul sito del nostro istituto, senza aspettare la pubblicazione sulle ricerche scientifiche. Tutti devono sapere”. Per rilassarsi dalle pesanti giornate passate in prima linea, pochi sono gli svaghi che la ricercatrice italiana si concede. “In tempi normali alle 7 del mattino faccio spinning o yoga – ha raccontato – La giornata continua in modo convulso, tra conference call e meeting di aggiornamento con studiosi di tutto il mondo e l’Organizzazione mondiale della sanità. Si lavora fino a tardi. Prima di crollare, verso le 2, guardo una puntata di The Morning Show, oppure l’ultima stagione di House of Cards”. Una vita certamente impegnativa ma piena di soddisfazioni personali. “Uno degli aspetti che hanno svolto un ruolo chiave nelle mie scelte è stata proprio la libertà di poter fare le mie scelte, indipendentemente dal sesso o dall'età. Se dovessi dare consigli a un giovane ricercatore, sarebbe continuare a lottare per mantenere tale libertà”. (mag)

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