Il recente gravissimo episodio accaduto alla stazione Lambrate di Milano, dove un poliziotto delle Volanti è stato accoltellato da uno straniero irregolare e con alcuni gravi precedenti di polizia ( e già destinatario di ben tre provvedimenti di espulsione mai eseguiti) ed una seconda aggressione, sempre a Milano, agli agenti della polizia ferroviaria da parte di un egiziano, rimasto poi ferito da un colpo di pistola sparato da uno dei poliziotti, ci dà lo spunto per tornare sul tema della sicurezza e degli stranieri irregolari sul territorio nazionale.
Intanto, come ha voluto sottolineare il sottosegretario all’interno Molteni, traendo spunto dalle dichiarazioni del sindaco di Milano Sala che ha fatto riferimento alla insicurezza della città attribuendo la responsabilità al Governo ( non solo l’attuale), il ripristino della piena agibilità del Cpr di via Corelli e la costruzione, in tempi brevi, di un secondo Cpr, potrebbero garantire migliori condizioni di sicurezza nel capoluogo lombardo. Ma i rimpatri degli stranieri nei paesi di origine non sono operazioni semplici e presuppongono accordi vigenti di riammissione con tali paesi, spesso refrattari a riprendere connazionali problematici per l’ordine pubblico. Così, da anni ormai, i decreti di espulsione restano semplicemente dei “pezzi di carta”. Solo una percentuale non superiore al 50% degli stranieri transitati nei Cpr ( una legge del 2017, si proponeva l’obiettivo, mai raggiunto per la contrarietà di politici e amministratori locali, di costruire un Cpr in ogni regione) è stata effettivamente rimpatriata e la restante è tornata nel vasto ambito di coloro che vivono di espedienti, girovagando nelle strade o trovando impiego nella criminalità, perlopiù nello spaccio di droghe.
Il problema degli stranieri irregolari e richiedenti asilo ha dato origine a diverse soluzioni in Italia e in altri Stati europei ed extraeuropei, che in molti casi prevedono la cosiddetta detenzione amministrativa ossia una limitazione della libertà personale che scaturisce da un provvedimento amministrativo. Il fenomeno sta cambiando se si pensa alle procedure previste per la delocalizzazione in Albania secondo accordi tra il governo italiano e quello albanese - in virtù del Protocollo per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria firmato il 6 novembre 2023 – con la creazione di strutture in aree demaniali albanesi ( una presso il porto di Shengin e una nell’entroterra, nei pressi di Gjader), per le procedure di ingresso dei migranti, per l’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e per il rimpatrio di coloro che non hanno diritto all’ingresso e alla permanenza nel territorio italiano ( strutture equiparate agli hotspot italiani). In tali centri dovrebbero essere trasferiti migranti soccorsi solo da navi delle autorità italiane in zone situate all’esterno del mare territoriale italiano o di altri Stati dell’UE. Dubbi vengono avanzati sulla compatibilità di tali procedure con le norme di Diritto internazionale pubblico e dell’Unione europea ed in particolare sul rispetto del principio fondamentale di non-refoulement.
Il costo stimato per la costruzione dei due centri in Albania è di circa 900 milioni euro ai quali dovranno aggiungersi gli onerosi costi di gestione; si pensi, ad esempio, alle spese da sostenere per la missione all’estero di un adeguato nucleo di poliziotti italiani per assicurare l’ordine pubblico e la sicurezza all’interno delle strutture, alla presenza di medici, infermieri, psicologi, mediatori culturali. I tempi di trattenimento nei Cpr in Italia hanno subito negli anni modifiche e, da ultimo, con la legge n.162 del 2023, sono stati aumentati complessivamente a 18 mesi invece dei 90 giorni più 45 giorni della disciplina previgente. Situazioni particolarmente angoscianti in tema di detenzione amministrativa si rilevano in alcuni paesi come il Canada dove addirittura non esiste un limite massimo alla durata del trattenimento analogamente a quanto avviene in Australia e in Giappone. Tra le esperienze sulla delocalizzazione della detenzione amministrativa va segnalata quella prevista dall’accordo dell’aprile 2022 tra il Regno Unito e Ruanda che prevede il trasferimento in loco degli stranieri giunti clandestinamente nel territorio del Regno Unito e lo stesso trattamento riservato ai richiedenti asilo.
Nel giugno dello stesso anno, tuttavia, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato l’illegittimità dell’accordo e nel novembre 2023 la stessa valutazione ha fatto la Corte suprema inglese. Ciò non ha impedito al governo britannico di firmare nel dicembre 2023 un nuovo trattato con il Ruanda che reintroduce la possibilità di inviare gli irregolari e i richiedenti asilo in quel paese considerato luogo sicuro (punto giustamente contestato da organizzazioni umanitarie che sono forse le uniche ad occuparsi della loro tragedia).