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direttore Paolo Pagliaro

FRANCESCA BERTUZZI:
IL THRILLER E' DENUNCIA

FRANCESCA BERTUZZI: <BR> IL THRILLER E' DENUNCIA

E’ una delle scrittrici italiane (e sceneggiatrici) più acclamate di thriller. Dal fulminante esordio de “Il Carnefice” (incoraggiato niente meno che Joe R. Lansdale) all’ultimo “La Star”, appena vincitore del Premio Gulcier: uno stile narrativo asciutto, con ironie taglienti, incalzante di colpi di scena e ritmi allucinatori. Capace di muoversi su un doppio livello di lettura al servizio di una impietosa analisi sociale, affrontando temi difficili quale la pedofilia, l’incesto, l’ossessione mediatica e la violenza sulle donne.

 

“Se il thriller affonda le radici nella società allora questa società sta vivendo un periodo delittuoso importante. E’ una società in cui la narrazione dell'odio e del rancore ha fatto saltare ogni argine personale, in cui non ci si vergogna più dire che si è razzisti, in cui a fare notizia non sono più campioni sportivi e rockstar ma persone comuni vittime di violenza, l’efferatezza di un assurdo quotidiano che entra in dei vortici mediatici che stravolge ogni realtà e condanna alla solitudine ed al rancore. Mentre peggiora sempre di più la visione della donna. Se si smetterà di vederla come una bambola, un oggetto quindi sopprimibile, forse avremo molti meno necrologi con la triste etichetta di femminicidio. E’ una riflessione che faccio fin dal mio primo romanzo e che ho approfondito con il mio ultimo, La Star, in cui mi sono chiesta cosa succederebbe se una delle tante donne scomparse, che poi si rivelano vittime di femminicidi efferati, tornasse tra di noi… I protagonisti di ogni thriller si trovano spinti al limite fra la vita e la morte e con essi il lettore arriva con loro su quel baratro. Ciò porta a guardare i grandi chiaroscuri dell'animo umano, la coscienza della finitezza, la forza della vita, in una tensione adrenalinica verso il superamento dei limiti che nella realtà, fortunatamente, non si vive ma che permette di entrare in contatto con il nostro essere più interiore”. In queste parole c’è tutto ciò che caratterizza l’originalità della produzione di Francesca Bertuzzi e la prova di come sia riduttivo, nel suo caso, chiamare il noir un genere letterario. I cinque libri finora firmati dalla scrittrice e sceneggiatrice romana (monteverdina doc) - dal fulminante esordio de “Il Carnefice” (nel 2011 record di cinque edizioni in un mese e 100mila copie vendute) all’ultimo “La Star”, tra i migliori thriller del 2024 – sfuggono, infatti, ad etichette definite. Raffinate trame e sottotrame – fitte di indizi - si muovono su un doppio livello di lettura al servizio di una impietosa analisi sociale, affrontando temi difficili quale la pedofilia, l’incesto, l’ossessione mediatica e ovviamente la violenza sulle donne (non a caso un suo racconto, “Dente per dente”, compare nel libro “Nessuna più” del 2013 a favore del Telefono Rosa).

Ecco allora che i ritmi mozzafiato ed i dialoghi serrati si alternano ad atmosfere liriche e rarefatte, le scene spietate, di cruda violenza si mescolano a poetiche tenerezze, l’investigazione incisiva conduce a verità inconfessate, gli improvvisi colpi di scena aprono laceranti tagli di luce su oscuri grovigli psichici. Uno stile narrativo asciutto, con ironie taglienti, incalzante di colpi di scena e ritmi allucinatori - affinato da una visione dell’“action” (tributo del mestiere attuale di sceneggiatrice) - e con un padre putativo molto importante: Joe R. Lansdale, lo scrittore statunitense creatore di un noir pulp, grottesco e irriverente capace di una implacabile satira sociale. “Era ed è il mio idolo – racconta -. E’ grazie a lui se ho deciso di dedicarmi alla scrittura de Il Carnefice, la cui genesi durava da tanto tempo. Ero riuscita a scrivergli e mi aveva risposto dandomi tanti consigli. E con questo incoraggiamento mi misi al lavoro. Avevo appena finito di lavorare sul set di ‘Vallanzasca’ di Michele Placido e mi presi un anno sabbatico…. In alcuni mesi nacque così il mio primo romanzo che divenne un bestseller con mia grande sorpresa. Quando venni invitata al Sugar Pulp Festival a Padova e seppi che Lansdale era tra gli ospiti fui emozionatissima e scongiurai mia sorella Valentina di accompagnarmi. Arrivammo due ore prima all’incontro con Lansdale per paura di perdermi la prima fila come se fosse un concerto dei Rolling Stones. E così seguimmo l’incontro con un altro scrittore invitato, Tim Willocks. Che ora è mio cognato e mi ha reso zia di una adorabile nipote di 10 anni!”.

E’ nata così una famiglia assolutamente unica, che vive a Roma, nel cuore di Monteverde Vecchio. Lo scrittore britannico è l’autore di bestseller noir che lo hanno acclamato come il nuovo Stephen King e creatore di avvincenti romanzi storici con la saga di Mattias Tannhauser (arrivata al secondo atto di una trilogia ed iniziata con l’acclamato Religion) e Valentina Bertuzzi è regista di raffinati thriller psicologici acclamanti in festival internazionali. “Io e Valentina siamo tornate a vivere a Monteverde Vecchio dove siamo cresciute e abitiamo molto vicino. Per noi qui è casa in tutti i suoi cambiamenti ed in tutte le sue conferme. Siamo una famiglia gitana che però ha vagato sempre tra le stesse quattro vie. E’ il nostro paese dentro la città... Quando accompagno all’asilo mio figlio, che ha 4 anni, salutando il vicinato, gli altri genitori, sento ancora un senso di comunità ed è una bella sensazione, che riconcilia con la frenesia della città. Ed un caso curioso mi ha fatto tornare qui quando ho vissuto in un altro quartiere. Avevo preso al canile un piccolo cucciolo che era arrivato a pesare ben 70 chili (un incrocio tra un bullmastiff, labrador ed un pitbull!) e iniziai a cercare una casa col giardino. Vidi un’offerta e presi appuntamento. Con mia grande sorpresa l’indirizzo era sotto casa di mia madre! E tutte le nostre scelte di vita, io e Valentina, le abbiamo fatte insieme, e siamo grande cheerleader l'una dell’altra. Abbiamo avuto un comune imprinting per il genere del thriller grazie a nostra madre Carla Sambrotta, insegnante e scrittrice, che adorava Dario Argento oltre che ad amare così tanto la scrittura da farla diventare un mestiere. Poi ricordo che, ad 8 anni, mi avevano appena messo la tv in camera, l’accesi e vidi un uomo che guidava su strade innevate. Era tutto molto morbido ma accadde un incidente e rimasi col fiato sospeso fino ai titoli di coda. Era il film ‘Misery non deve morire’ dal romanzo di Stephen King. La paura finì quando pensai che ero al sicuro, nella mia casa, insieme a mia madre ed a Valentina. Ma quella emozione l’avevo vissuta in modo viscerale ed è quella che continuo a ricercare nei miei lavori”. Ossia trasmettere ciò che Alfred Hitchcock voleva dare ai suoi spettatori, “lo stesso piacere di chi si sveglia da un incubo”.

Oggi Francesca Bertuzzi è tra i nomi di punta della generazione di scrittrici - sua (è classe 1981) ma anche dell’ultimo trentennio - che ha indiscutibilmente dimostrato come gialli, thriller, noir e finanche il pulp e l’hard boiled, non siano affatto solo appannaggio degli uomini e che, anzi, la sensibilità femminile riesca a sondare con acume i meccanismi emozionali alla base del delitto a spingersi nei meandri del subconscio. Un lungo elenco che annovera nomi come Lorenza Ghinelli (coetanea con cui Bertuzzi, poco più che ventenne, si è formata alla Scuola Holden nella stessa classe di sceneggiatura), Marilù Oliva, Ilaria Tuti, Cristina Cassar Scalia, Barbara Baraldi, Sarah Savioli, Cristiana Astori, Alice Basso e anche Mariolina Venezia, Alessandra Carnevali, Grazia Varesani, Nicoletta Vallorani, Elena Stancanelli, Rosa Teruzzi, Elisabetta Bucciarelli, Gaja Cenciarelli, Sara Bilotti, Gabriella Genisi. E l’elenco potrebbe continuare ancora a lungo (citando anche la giallista monteverdina Annalisa Venditti) mostrando quanta strada sia stata fatta dai tempi di Carolina Invernizio e di Agatha Christie che Winston Churchill arrivò a definire (malamente) la donna che “dopo Lucrezia Borgia, è vissuta più a lungo a contatto col crimine”. 

Le donne del crimine create da Francesca Bertuzzi sono fuori dagli schemi, forti quanto più mostrano le loro fragilità, dolcemente complesse, disincantate, intense, imprevedibili, contorte, tormentate da un passato che ne soffoca il futuro. “Scardinano lo stereotipo della ragazza bamboleggiante dando un'alternativa di femminilità più realistica. Ed è interessante considerare che oggi proprio le donne siano il target di riferimento del true crime ma anche il più crudo slasher. Quasi cercassero una rivalsa sulle frustrazioni del quotidiano…”. Ecco allora Danny nella torbida durezza di un paese abruzzese ne “Il Carnefice” (2011), Giuditta nella fosca Torino de “Il Sacrilegio” (2012), le quattro adolescenti de “La Belva” nelle atmosfere fiabesche delle Dolomiti (2013), Anna e Arancia lungo il metafisico mare di Vasto in “Fammi male” (2018) e Benedetta ed Arianna nella bellezza solitaria dell’isola d’Elba ne “La Star”, l’ultimo romanzo, di un anno fa, appena vincitore del Premio Gulcier (che arricchisce il palmares dell’autrice che annovera il premio Letteratura e Cinema Roberto Rossellini per Il Carnefice ed il premio Lucia Prioreschi del festival Serravalle Noir per La Belva). Una implacabile denuncia dei perversi meccanismi del reality show e della società dell’apparire. “Noi che abbiamo vissuto il passaggio dall’analogico all'iper-digitale notiamo la differenza fra il reale e l’irreale ma anche a noi può sfuggire di mano questa coscienza, diventare preda degli algoritmi quando si nutrono di rabbia, odio, giustizialismo e della dittatura del like. Ricordiamo cosa successe nel primo caso di viralità di un video, nel 2013, sugli ultimi momenti di vita di una ragazza, al Cecil Hotel di Los Angeles. Si scambiarono i suoi movimenti strani, causa di una crisi paranoide della ragazza (che morì nascondendosi in una cisterna di acqua), per segnali di terrore per un presunto assassino. I media misero alla gogna un ragazzo che era stato ospite dell'hotel un anno prima, un musicista heavy metal, tanto da spingerlo sull’orlo del suicidio. E protagonista del mio romanzo non a caso è una giornalista, che ben conosce questo meccanismo mediatico e lo stesso senso di isolamento claustrofobico che ammanta La Star viene vissuto su di un’isola, l’Elba (dove peraltro l’ho scritto nel corso di un inverno). Un infinito irreale ma che sembra reale, quello del web, quello che noi viviamo nelle nostre stanze, con i nostri tablet, si scontra con un finito che sembra irreale, quello di un’isola che cade nel silenzio quando si svuota dai turisti. Una metafora naturale dell’innaturalezza”.

Ne “La Star” la trama si dipana intorno a due cugine ma in tutti i romanzi di Francesca Bertuzzi spesso la protagonista femminile ha un forte legame con la sua antagonista, potenziando così l’esplorazione del femmineo come mistero, enigma, passione. D’altronde la sua scrittura ha più volte concorso ai lavori cinematografici della sorella Valentina, anch’essa sceneggiatrice (come i pluripremiati cortometraggi mistery “Corporate” del 2013 e “Delitto naturale” del 2019, la web serie “Ghost Cam” del 2016, distribuita negli Usa e che ha portato le due sorelle in finale, nel 2017, al Biennale College Cinema International a Venezia, esperienza che ha concorso alla genesi del thriller psicologico che Valentina Bertuzzi girerà in autunno). “Per me è un grande vantaggio lavorare con mia sorella perché il nostro immaginario è molto affine. I nostri sono sempre grandi brainstorming sugli script e con lei non vale quello che diceva Orio Caldiron sugli sceneggiatori che sarebbero degli eterni frustrati perché la loro idea non viene mai completamente realizzata dal regista. Ultimamente ho rivisto ‘Delitto naturale’, in una delle lezioni che tengo per i corsi di sceneggiatura (dall’Università La Sapienza e Tuscia alla Accademia delle Arti e Nuove tecnologie, ndr). Da sceneggiatrice non mi sarei mai potuta immaginare quegli occhi giganteschi delle bambine, quel senso di magia e meraviglia, da favola nera”. E ci sono ora degli altri occhi che chiamano la scrittrice romana. Sono quelli di Arianna. “Alla fine de La Star non avevo risolto tutto quello che abitava il suo mondo. La storia, ad un certo punto, doveva iniziare a galoppare dietro agli eventi e non ho più potuto concentrarmi sul suo irrisolto e chiudere con il suo passato. Chissà che questo non significhi che Arianna sia destinata a tornare e magari a diventare una eroina investigatrice per il piccolo schermo!”. (28 mag – red)

 

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