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direttore Paolo Pagliaro

Quando esisteva
il partito dei sindaci

Quando esisteva <br> il partito dei sindaci

di Paolo Pagliaro

(16 febbraio 2016) Alle ultime elezioni politiche ben 250 sindaci e oltre 1100 consiglieri comunali si sono candidati per diventare deputati o senatori. Segno eloquente di una disaffezione rispetto alla politica locale che non era immaginabile una ventina d’anni fa, quando la legge sull’elezione diretta favorì la nascita del cosiddetto "partito dei sindaci", l'unico partito che – complice Tangentopoli - in quegli anni sembrò contare davvero. I nomi erano quelli di Cacciari a Venezia, Illy a Trieste, Castellani a Torino, Bassolino a Napoli, Rutelli a Roma, Orlando a Palermo, Bianco a Catania, Di Cagno a Bari.

L'elezione diretta dei sindaci, nel 1993, aveva segnato lo spostamento degli equilibri di potere dal centro alla periferia. Adesso sta accadendo il contrario.

Il federalismo è archiviato, il decentramento è considerato fonte di sprechi e il sistema dei partiti è nella piena ed esclusiva disponibilità di quattro o cinque persone: Renzi, Salvini, Berlusconi, Grillo e/o Casaleggio. In più c’è la stretta della finanza pubblica, che colpisce soprattutto la periferia: l’anno scorso i Comuni hanno speso 6 miliardi e mezzo in meno, le amministrazioni centrali 40 in più. E poiché la gente usa meno la macchina sono crollati persino gli incassi derivanti dalle multe, meno 18% in cinque anni.

Osserva Ilvo Diamanti che i sindaci sono costretti a far fronte a domande e aspettative crescenti, ma con fondi e trasferimenti in continuo declino. Erano "attori" di governo e delle istituzioni. Oggi sono ridotti a "esattori" per conto dello Stato. Da qui la crisi delle vocazioni e la chiamata alle armi di prefetti, tecnici e city manager. Quanto saranno in grado di scaldare i cuori lo dirà tra qualche mese il numero degli astenuti.

(© 9Colonne - citare la fonte)