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Lo sport paralimpico
conquista Trento

Lo sport paralimpico <br> conquista Trento

Sentendo parlare le grandi protagoniste dello sport paralimpico azzurro al Festival dello Sport di Trento ci si accorge subito della loro dote: rendere normale le imprese eccezionali. All’Auditorium Santa Chiara nell’incontro “Tre come loro” ci sono Francesca Porcellato, Martina Caironi e Bebe Vio: le loro parole conquistano la sala, così come la loro personalità e il loro incredibile esempio. La Porcellato, la più grande atleta in carrozzina, alla sua terza vita sportiva (atletica, sci, handbike), è la prima a raccontare la sua storia: “La prima volta che mi sono seduta su questa carrozzina ho capito che volevo farla correre veloce, sentire il vento tra i capelli. E lì ho iniziato a sognare di fare l’atleta”. Un sogno, ammette lei stessa, “che si è realizzato nel migliore dei modi, anche più di quello che pensavo”. Lo stesso sogno di Martina Caironi, prima donna amputata a scendere sotto i 15 secondi nella corsa: “L’amputazione è stata nel 2007 e nel 2010 avevo già la protesi da corsa. L’impatto è stato all’inizio curioso, perché atleta non si diventa in un giorno. In due anni ho dovuto imparare a correre. Il processo di ‘atletizzazione’ è avvenuto gradualmente ma l’impatto col mondo paralimpico è stato bellissimo, perché mi ha fatto sentire normale, aiutandomi anche a livello psicologico e facendomi conoscere altre disabilità”. Martina ammette che la funzionalità della protesi è stata fondamentale per le sue imprese: “Tutti hanno diritto ad avere una protesi funzionale e bella come la mia ma SSN passa solo quelle basiche”, spiega la Caironi. Vulcanica, come sempre, Bebe Vio, la schermitrice paralimpica più famosa del mondo, che ricorda l’Olimpiade del 2016 con la squadra di fioretto: “Era stato un periodo davvero tosto quello prima delle Olimpiadi. Andammo a Rio e nessuno ci dava una lira, ma siamo una grande squadra, unita e ci troviamo bene fra di noi. Facciamo ogni cosa per la persona che viene dopo di te in pedana, viviamo insieme facciamo vacanze insieme e questo ci unisce molto”. Il dato “ironico” è che subito dopo l’operazione nella quale le sono stati amputati gli arti, le era stato detto che avrebbe chiuso con la scherma: “Ho avuto la fortuna di avere una squadra pazzesca che mi ha sempre aiutato. In ospedale mia mamma mi incoraggiava nel tornare in pedana. Mi dissero di lasciar perdere, ma mio papà e i tecnici si inventarono una protesi per fare scherma”. E bisogna ammettere che funziona... (Lam)

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