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Il turismo italiano:
un capolavoro di globalizzazione inversa?

Il turismo italiano: <br> un capolavoro di globalizzazione inversa?

di Alberto Mattiacci*

Il futuro del turismo italiano si preannuncia promettente. È una buona notizia per gli italiani? Chi guida l’economia pensa di sì: il contributo diretto del turismo alla generazione di ricchezza vale - a seconda di come lo si conti- fra il 10 e il 15 % del Pil. C’è anche un contributo indiretto - arduo da misurare con esattezza (investimenti, lavoro, ecc.) - né va trascurato quello alle finanze pubbliche, nazionali e locali. In questa stima va messo anche il sostegno indiretto all’export. È noto che visitare l’Italia generi quella forte country brand equity su cui fanno leva molte produzioni Made in Italy, per: farsi conoscere (notorietà del Belpaese), identificarsi (tipicità dei prodotti), distinguersi (qualità della cultura italiana del fare) e farsi desiderare (apprezzamento dello stile e del modo di vivere italiani).  

È presumibile che l'Italia continuerà a essere uno dei più grandi attrattori turistici del mondo, grazie ai cosiddetti asset che può vantare: (i) patrimonio artistico-culturale; (ii) paesaggi naturali; (iii) cucina e vini; (iv) stile di vita; (v) diversità territoriali.  

Si tratta di asset non esclusivi - ci sono altri paesi dal ricco patrimonio artistico-culturale (es. Francia); altri con paesaggi naturali bellissimi (es. Botswana); altri ancora con cultura affascinante (es. Giappone). Pochissimi, se non nessuno, di questi, però, possiede questi asset tutti assieme, in tanta abbondanza, con una varietà straordinaria e raggiungibile percorrendo pochi chilometri.  

Il futuro roseo, poi, dipende anche il fatto che il turismo è la risposta a un’attitudine radicata nella cultura umana: la scoperta, il viaggio, l’evasione dal proprio quotidiano. L’uomo, insomma, ha sempre fatto turismo (e dunque, presumibilmente, sempre lo farà): dai romani (con i loro viaggi per visitare le città termali), ai pellegrinaggi religiosi del Medioevo, fino al Grand Tour.  

Va detto, infine, che le Istituzioni, nel bene (es. il progetto Turismo delle Radici) e nel meno bene (es. la discussa campagna Open to Meraviglia), sia a livello nazionale che locale, investono risorse nella promozione dell’Italia come meta, cercando anche (per quanto realizzabile) di destagionalizzare e distribuire i flussi degli arrivi. 

 “Nessun pasto, però, è gratuito” recita un vecchio adagio economico. E infatti le analisi che l’Eurispes conduce sul Belpaese mostrano che il turismo rischia di costarci caro. In particolare, per tre ragioni: (i) saturazione asimmetrica; (ii) uso predatorio; (iii) selettività.  

La prima è nota come overtourism: la concentrazione di enormi flussi in pochi luoghi, saturandoli e rendendo insostenibile (altro che Sostenibilità) l’impatto turistico sull’ambiente naturale, sociale e del tessuto economico locale. La seconda è lo squilibrio - sempre maggiore - fra il valore estratto e restituito alla comunità da parte degli operatori turistici privati (quasi sempre stranieri). Non di rado, infatti, questi utilizzano gli asset attrattori come bene comune, socializzandone gli oneri e privatizzando i ritorni -volentieri veicolandoli alla casamadre estera. La terza ombra è sociale: la domanda turistica potenziale dell’Italia è naturalmente planetaria. Come sempre accade quando l’offerta è rigida e la domanda crescente, è il prezzo a fungere da fattore selettivo dei flussi. Nel futuro una parte rilevante degli italiani non potrà più permettersi l’Italia.
In sostanza, il successo del turismo in Italia inizia a mostrarsi come una globalizzazione inversa: asset italiani goduti e valorizzati da soggetti non italiani, con i relativi oneri e diseconomie lasciati a noi.  

 

*Presidente Comitato Scientifico dell’Eurispes 

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