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Un prezzo troppo alto
per il nuovo Nazareno

di Maurizio Griffo

Stando ad alcune notizie filtrate sulla stampa, pare che Berlusconi sia intenzionato a ricontrattare un nuovo patto del Nazareno con Renzi. Per inquadrare questa notizia è bene ricapitolare succintamente le puntate precedenti. Nel gennaio del 2014 il patto del Nazareno, sottoscritto su impulso di Matteo Renzi, ridava un ruolo politico a Berlusconi, togliendolo dall’isolamento in cui era finito dopo la decadenza da senatore, il ritiro della fiducia al governo Letta e la scissione nel partito. Il patto non era un accordo programmatico definito, ma un’intesa di massima sul modo di procedere in futuro. Su tutte le questioni importanti il nuovo segretario del Pd si impegnava a concordare le misure fondamentali con Forza Italia. Il "Nazareno", insomma, dava vita a una sorta di partnership con Renzi in merito alle riforme necessarie per  risistemare il sistema politico e per aiutare l’Italia fuori dalla crisi economica. Certo la partnership era asimmetrica, al leader di Forza Italia spettava un ruolo di garante e non di promotore. Tuttavia essa assicurava comunque uno spazio politico significativo, e questo per due ragioni. In primo luogo dava al centro destra quella piena legittimazione da parte del centro sinistra che era sempre mancata. Inoltre rafforzava l’assetto bipolare e, in prospettiva, bipartitico del sistema politico.

Nell’inverno scorso Berlusconi, probabilmente perché impressionato dai successi elettorali della Lega e pensando di riguadagnare consenso in vista delle prossime elezioni regionali parziali, ha rotto il patto. L’operazione non è riuscita. La nuova legge elettorale, che FI aveva votato in senato, è passata comunque alla camera senza modifiche; inoltre le elezioni regionali non sono andate bene, confermando la perdita di consensi per Forza Italia.

Adesso rispunta l’idea di un nuovo patto con Renzi. In termini generali, questo atteggiamento ondivago denota l’accentuarsi di una tendenza che è sempre stata il tallone d’Achille di Berlusconi. Cioè pensare la politica in termini di limitati orizzonti elettorali, senza riguardo per considerazioni di più ampio respiro. La consapevolezza, cioè, che riforme importanti possono anche valere una perdita di consenso nel breve periodo. Ad ogni modo, la decisione di rinnovare un’intesa con Renzi pare, a prima vista, una buona notizia. La notizia si rivela assai meno buona, però, quando si apprendono le richieste in base a cui andrebbe rinegoziata l’intesa. Modificare la legge elettorale assegnando il premio di maggioranza alla coalizione e non al partito più forte; modificare la riforma del bicameralismo reintroducendo l’elettività del nuovo senato.

Si tratta di due punti qualificanti della nuova legge elettorale e della riforma costituzionale in itinere. Il premio di maggioranza al partito e non alla coalizione rafforza la democrazia dell’alternanza, favorendo le aggregazioni su base programmatica, scoraggiando, al tempo stesso, la frammentazione trasformistica e/o le derive demagogiche. Nello specifico, poi, accettare il premio al maggior partito significa che il centro destra non si rassegna alla leadership della Lega sfidandola sul terreno in cui il partito di Salvini è più debole: quello di una seria e aggiornata cultura di governo. Quanto alla elezione indiretta del Senato, non è difficile capire che si tratta di una conditio sine qua non per subordinarlo alla camera dei deputati. Un organo legittimato dal voto popolare sarebbe portato naturalmente a pretendere pari dignità nel processo legislativo e nell’indirizzo politico. In altri termini, riformare il senato lasciandolo elettivo significa non riformarlo. In conclusione, un patto del Nazareno rinnovato su queste basi accentuerebbe ulteriormente la crisi del nostro sistema politico.

(da www.mentepolitica.it)

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