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direttore Paolo Pagliaro

CALL CENTER, IPOTESI
CONTRATTO UNICO

CALL CENTER, IPOTESI <BR> CONTRATTO UNICO

Rivedere il sistema degli incentivi statali ai call center “che spesso sono suscettibili di produrre un effetto ‘spiazzamento’ che mette in difficoltà le aziende più solide e strutturate” a vantaggio di realtà imprenditoriali effimere e transitorie, con gravi ricadute occupazionali”. Prevedere, come già fatto dalla legge di stabilità 2015, una deduzione dal costo del lavoro dall’imponibile Irap per un settore così ‘labour intensive’. Definire precise regole procedurali di confronto sindacale per la gestione delle crisi conseguenti a cambi di appalto “che possa condurre a configurare clausole sociali per la salvaguardia della posizione dei lavoratori”. Vietare gli incentivi per le aziende che delocalizzano all’estero. Ma soprattutto, “verificare la possibilità di pervenire a un unico contratto collettivo nazionale del lavoratori di call center”. Sono le proposte elaborate nel documento finale della Commissione Lavoro della Camera, al termine dell’indagine conoscitiva sul lavoro nei call center, i cui risultati sono stati illustrati oggi a Montecitorio. Soluzioni “che il governo approva e di cui terrà conto”, come assicura il sottosegretario al Lavoro Teresa Bellanova, e come conferma anche il suo omologo del ministero dello Sviluppo economico, Claudio De Vincenti, per il quale “è importante che il Jobs Act aiuti a gestire al meglio le tutele dei lavoratori nei processi di riconversione e spostamento sul mercato, e credo che quello dei call center sia un settore che ha un forte bisogno di tutele, perché il sacrosanto svilupparsi delle libera concorrenza porta conseguenze che vanno affrontate”. Conseguenze come quelle dettate dal citerio del massimo ribasso nell’aggiudicazione degli appalti, giudicati dalla commissione “una vera cancrena per il sistema degli appalti, dove il costo economico è quasi esclusivamente il costo del lavoro” in un settore in nato per offrire il cosiddetto “lavoro di passaggio” per i giovani e trasformatosi via via anche in impiego stabile. Basti pensare che, secondo i dati Istat contenuti nel documento, solo il 39% degli attualmente impiegato ha meno di trent’anni e che oltre due terzi possiede un diploma e più di un quinto la laurea. In tutto sono 82 mila i lavoratori dei call center, e ben il 70% non è assunto a tempo indeterminato. Una situazione che fa parlare Michele Azzola (Cgil) di “probemi che non hanno paragone in nessun altro paese europeo, neanche la Grecia”. (Sis – 31 mar)

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