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direttore Paolo Pagliaro

Piketty racconta
l'uguaglianza tradita

Libri
Ogni settimana uno scaffale diverso, ogni settimana sarà come entrare in una libreria virtuale per sfogliare un volume di cui si è sentito parlare o che incuriosisce. Lo "Speciale libri" illustra le novità delle principali case editrici nazionali e degli autori più amati, senza perdere di vista scrittori emergenti e realtà indipendenti. I generi spaziano dai saggi ai romanzi, dalle inchieste giornalistiche, alla storia e alle biografie.

Piketty racconta <br> l'uguaglianza tradita

PIKETTY E LE PROMESSE DELL’UGUAGLIANZA TRADITA

Nelle società moderne il costo per beni e servizi pubblici ricade sempre di più sui contribuenti medi che vedono, pian piano (e ultimamente nemmeno tanto piano) ridurre le proprie capacità di sostenere quest’onere e ridurre il proprio potere di acquisto e il proprio status. Una situazione che finisce per incidere sul progresso e l’innovazione delle società, sulla qualità della vita e sull’efficienza e qualità degli stessi servizi pubblici. Proprio in conseguenza di tutto ciò si allarga la forbice delle disuguaglianze globali, all’interno di singoli territori di uno stesso stato e nella società tutta, allargando a dismisura la forbice tra i pochi (sempre meno) ricchi e i tanti (sempre di più) poveri. Per alcuni studiosi solo un evento straordinario potrebbe capovolgere la tendenza. Intanto Russia, Cina e diversi paesi in via di sviluppo si attrezzano con il controllo dei capitali e pene severe, anche nei confronti di importanti oligarchi. Paesi più attenti ai diritti umani e alle libertà economiche, attraverso lo stato di diritto, per stingere questa forbice dovrebbero, come sosteneva anni fa Thomas Piketty, introdurre una tassa globale sui grandi patrimoni e con l’introduzione di un sistema di tassazione fortemente progressivo. Risultato che potrebbe essere conseguito se Unione Europea e Stati Uniti collaborassero molto strettamente, visto che da soli rappresentano quasi il 25% della produzione mondiale. Ma siccome le scelte in queste materie sono prerogativa dei singoli stati, negli Usa arriva alla presidenza un “marziano” come Trump e in Europa si registra l’affermazione di varie forme di nazionalismo, il cammino sulla strada indicata da Piketty qualche anno fa si va facendo sempre più arduo. Così l’economista francese torna oggi, con “Le promesse tradite” (Castelvecchi, 2018, 48 pagine, 5 euro) e in modo agile e veloce, proprio sui punti salienti della sua teoria: “la fallita rivendicazione d’uguaglianza proclamata a gran voce dalla Rivoluzione Francese, le conseguenze della Rivoluzione Industriale, il travagliato XX secolo e poi, ancora, la crisi finanziaria del 2008 e il fallimento del progetto Europa”. Insomma, in sole 48 pagine il racconto di un cammino lungo tre secoli di storia politica ed economica. In questo procedere incerto e “traditore” di premesse e aspettative dell’umanità dalla Rivoluzione francese a oggi, la domanda che pone Piketty è: “la promessa democratica maturata in modo convulso nel corso del Novecento è in grado di mettere il capitalismo e il diritto alla proprietà privata al servizio dell’interesse pubblico? Quella promessa, oggi, è ancora valida?”. Sembrerebbe una domanda retorica, ma il direttore dell’École des hautes études en sciences sociales di Parigi in questo libretto inserisce gli elementi che metteranno il lettore di fronte a una risposta tutt’altro che banale. (Ema)

 

LE MIGRAZIONI MEDITERRANEE TRA STORIA E CONTEMPORANEITA’

A partire dal 2001, e anche come conseguenza degli attentati alle Torre gemelle negli Usa e della diffusione su scala globale del terrorismo di matrice islamica, in Italia si è intensificata la produzione di libri sul mediterraneismo e i suoi molteplici aspetti. Spesso dietro queste pubblicazioni c’è un attento lavoro di ricerca, un bisogno di comprensione della storia di questa cruciale regione del Pianeta, delle sue popolazioni e culture, percepite come possibile chiave per leggere la contemporaneità e costruire una convivenza pacifica. Il suo contributo lo dà anche Alessandro Vanoli, storico e scrittore, già docente presso le università di Bologna e Milano e in università americane ed europee che ha dedicato diversi saggi alla storia del Mediterraneo, con particolare riferimento alla penetrazione islamica in Italia e in Spagna. Ultimamente con “Migrazioni mediterranee. Un mare in cui si è riflesso il mondo” (Castelvecchi, 2017, 48 pagine, 5 euro), affronta i temi della navigazione, dello scambio, delle migrazioni, per lui considerate le stelle polari che lo guidano nel viaggio lungo le rive del Mediterraneo. Attraverso il richiamo a grandi popolazioni antiche, al buio destino degli schiavi cristiani o musulmani, alle contemporanee migrazioni di massa, il libretto di Vanoli ferma sulla carta una chiara fotografia della complessità umana e storico-politica che caratterizza da sempre il Mediterraneo, inserendosi a pieno titolo in quel filone di pubblicazioni sul mediterraneismo che, nonostante tutti gli sforzi editoriali, sono ancora e malauguratamente troppo poco letti dal pubblico di massa. La storia che Vanoli racconta, con temi e linguaggio seducente, dalle rotte verso Oriente e le deportazioni militari, all’incontro e scontro fra religioni, chiarisce come la storia abbia reso il Mediterraneo un unicum della storia umana, un naturale crocevia di culture, popoli e lingue che non può essere cambiato da alcuna volontà ostinata a non prendere atto di quanto avvenuto nei millenni passati. Un libro, quindi, che permette al lettore di capire come il presente e la globalizzazione non possono che continuare a costruire, almeno nel Mediterraneo, un destino comune. (Ema)

 

GIOVANNI FILORAMO RACCONTA LE RELIGIONI

Nella straordinaria varietà di miti, simboli, forme, riti e valori in cui nelle diverse culture storiche trova espressione il sentimento religioso, il nucleo fondamentale è sempre lo stesso: il rapporto dell’uomo con il cosmo e con le sue forze potenti, misteriose e ingovernabili. Che si tratti di aborigeni, di nativi americani, di sumeri, cinesi, di cultura hindu, o di antichi greci, del credo mazdeo, di ebraismo, cristianesimo o islam, la visione religiosa del mondo garantisce ai credenti un punto di vista unitario sulla realtà, una bussola per orientarsi tra il bene e il male. Mentre alcune visioni hanno al loro centro il problema del rapporto con una natura selvaggia e minacciosa, altre insegnano all’uomo a vivere in armonia con il cosmo che lo circonda, lo ha creato e lo nutre. In altre ancora, ordinatrice del cosmo è una figura di sovrano divinamente ispirato. Tra VIII e VII secolo a.C. si fa strada una visione religiosa nuova: il monoteismo. Il divino non si manifesta più nella natura, non ha tratti antropomorfi, ma trascende radicalmente l’uomo. Con il Cristianesimo la concezione del Dio incarnato opera una svolta antropologica destinata a segnare la storia del pensiero occidentale. È di tutto questo che parla il libro di Giovanni Filoramo, “Il grande racconto delle religioni” (Il Mulino): dell’eterno, inesausto bisogno umano di realizzare la pienezza dell’essere attraverso il sacro. Giovanni Filoramo è professore emerito di Storia del cristianesimo dell’Università di Torino. Fra i suoi libri ricordiamo “Il sacro e il potere. Il caso cristiano” (Einaudi, 2009), “La croce e il potere. I cristiani da martiri a persecutori” (Laterza, 2011) e, per il Mulino, “Ipotesi Dio. Il divino come idea necessaria” (2016).

 

STORIA MONDIALE DELLA SICILIA

“La Sicilia è la chiave di ogni cosa. Trovarsi di persona nel centro prodigioso cui convergono tanti raggi della storia del mondo non è cosa da poco” scriveva Goethe. Al centro del Mediterraneo, dalla più remota antichità, l’isola  si è trovata ad essere cerniera tra popoli, culture, religioni ed economie. Greci, fenici, romani, arabi, bizantini, normanni, francesi, spagnoli, austriaci l’hanno abitata nei secoli, governata, custodita o devastata, lasciando ogni volta a sedimentare relazioni, incontri e scontri. Un’isola, certamente, ma tutto meno che una terra ‘isolata’ o chiusa nel suo orgoglio insulare. Piuttosto un vero e proprio caleidoscopio che ritroviamo nei suoi peculiari ‘caratteri originali’: la molteplicità dei popoli, la ricchezza delle città, la varietà di riti e cibi. Un cammino lungo 7 mila anni, un racconto in 114 tappe per capire quanto di ‘mondiale’ ci sia in Sicilia e quanto di Sicilia nel mondo. A raccontarlo è  Giuseppe Barone in “Storia mondiale della Sicilia”, in collaborazione con Alessia Facineroso, Sebastiano Angelo Granata e Chiara Maria Pulvirenti (Laterza). Nel 4500 avanti Cristo a Lipari già si producevano bicchieri in vetro vulcanico, esportati in tutto il Mediterraneo. Fin da questa prima traccia, agli albori della storia umana, la Sicilia si presenta sulla scena mondiale come un luogo in cui convergono e da cui si irraggiano popoli, culture, politiche, merci. Provoca quasi un senso di vertigine guardare la profondità della sua storia, la ricchezza, la complessità e la varietà di questi sedimenti millenari. Questo libro prova a entrarci dentro scegliendo eventi decisivi, personaggi noti e meno noti, libri, merci, cibi. Rovesciando mappe precostituite e portando al centro ciò che fino ad ora si era lasciato al margine, costruisce un percorso guidato da una chiave di lettura originale e innovativa. Il risultato è un’opera che provoca, spiazza e sorprende. Un lavoro collettivo che allarga lo sguardo e lo sincronizza con le grandi questioni del nostro tempo. Barone è professore ordinario di Storia contemporanea presso l’Università di Catania. Dirige la rivista “Archivio Storico per la Sicilia Orientale” ed è presidente dell’IMES Sicilia. Tra le sue pubblicazioni: Mezzogiorno e modernizzazione (Einaudi 1986); Egemonie urbane e potere locale (1882-1913) in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità ad oggi. La Sicilia (Einaudi 1987); L’oro di Busacca (Sellerio 1998); Zolfo. Economia e società della Sicilia industriale (Bonanno 2002); La sfida globale. Vecchie e nuove potenze dal colonialismo alla ‘grande guerra’ (1870-1920) (Bonanno 2010); Gli lblei e la Grande Guerra (Cliopress 2015).

 

L’ULTIMO SBARCO IN INGHILTERRA CONTRO ENRICO VIII

“Il 24 luglio le galee degli Strozzi erano in vista di St. Andrews. Gli scozzesi non erano stati informati dell’arrivo degli italiani e i due piccoli lancioni inglesi che pattugliavano la costa furono colti di sorpresa e costretti a rifugiarsi sotto il castello”. Filippo Strozzi, l’uomo più ricco d’Italia, è avviato verso un malinconico tramonto mentre il re di Francia si è invaghito di Diana di Poitiers, di vent’anni più vecchia di lui. Contemporaneamente un’invisibile e inafferrabile multinazionale del crimine usa il terrore e la corruzione per controllare l’economia e le finanze di un mondo dominato dalla moneta unica. E contro costoro si battono, senza esclusione di colpi, un pugno di marinai, banchieri e crittografi italiani d’ogni regione, tutti uniti in nome della sopravvivenza. In “L’ultimo sbarco in Inghilterra. Le galee dei Medici e degli Strozzi contro Enrico VIII. 1543-1551” (Laterza)  Cernuschi racconta la crisi economica, finanziaria e navale che sconvolse l’Europa nel XVI secolo. Una vera e propria guerra mondiale dimenticata conclusa con la conquista, a cannonate e a spada tratta, di un antico castello scozzese, teatro di orribili delitti, congiure e tradimenti. Cernuschi (Bologna 1960) vive e lavora a Pavia. Studioso di storia navale, scrive sulla “Rivista Marittima” ed è regular contributor dell’inglese “Warship”, della statunitense “Naval War College Review” e della rivista francese “Los!”. Con Mursia ha pubblicato: Gran pavese (Premio Marincovich 2012), “Ultra”. La fine di un mito (2014) e Gli italiani dell’Invincibile Armata (2016).

 

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