di Paolo Pagliaro
Discriminare significa trattare in modo diverso situazioni che sono sostanzialmente uguali. Questo atteggiamento è considerato incompatibile con i principi e i valori su cui si reggono le moderne democrazie e lo stesso progetto di Unione Europea. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione riprende e amplia l’articolo 3 della Costituzione Italiana e vieta – citiamo – “qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale, la nazionalità”.
In una preziosa antologia edita da Donzelli e intitolata “Calendario civile europeo” , curata da Angelo Bolaffi e Guido Crainz, alcuni dei diversi studiosi interpellati si interrogano sulla possibilità che questo principi, questa cultura intesa come incontro e confronto con l’altro, soccombano travolti dalle nuove inquietudini e dai nuovi dogmi identitari.
Guardandosi intorno si vede che la crisi iniziata nel 2008 ha alimentato nazionalismi e xenofobie, le identità nazionali hanno cominciato a riprendere il sopravvento e le sedi di decisione comune iniziano a smarrire l’interesse europeo. La democrazia illiberale mette in discussione le fondamenta stesse del progetto, la cultura dell’inclusione diventa disprezzabile buonismo, e la discriminazione diventa un diritto da rivendicare nelle piazze, dove la parola d’ordine è diventata: prima noi! E’ in corso una nuova battaglia di civiltà e il suo esito è tutt’altro che scontato.
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