di Paolo Pagliaro
(14 febbraio 2017) Ogni Paese ha il diritto di scegliere la propria politica tributaria. Ma quando il Lussemburgo offre accordi fiscali su misura alle multinazionali, quando le Isole Vergini britanniche autorizzano chi ricicla denaro sporco a creare società anonime per pochi spiccioli, quando la Svizzera nasconde nelle proprie casseforti la ricchezza delle elite corrotte, questi Paesi stanno derubando altre nazioni. E mentre loro guadagnano, noi perdiamo. Perché alla fine, per compensare le tasse evase, è necessaria una maggiore pressione fiscale sulle famiglie oneste, spesso della classe media, negli Stati Uniti come in Italia. I paradisi fiscali – che custodiscono capitali per almeno 7.200 miliardi euro - sono una delle cause delle crisi economiche, finanziare e democratiche.
In un libro uscito in 17 paesi e pubblicato in Italia da Add Editore, con il titolo “La ricchezza nascosta delle nazioni”, l’economista francese Gabriel Zucman ricostruisce la storia dei paradisi fiscali e lancia una proposta condivisa da Thomas Piketty, che firma la prefazione: si tratta di creare un catasto mondiale dei patrimoni finanziari, in cui registrare i proprietari di ogni azione e obbligazione. Questo catasto fungerebbe da deposito titoli, sarebbe coordinato dagli Stati e dalle organizzazioni internazionali, e consentirebbe alle amministrazioni fiscali nazionali di combattere con più efficacia contro l’evasione. In realtà i depositi centrali titoli esistono già, il problema è che sono privati, non trasmettono i loro dati agli Stati ma tendono anzi a beneficiare dell’evasione fiscale e dell’opacità finanziaria. Con un catasto condiviso la globalizzazione mostrerebbe il suo volto migliore, e aiuterebbe chi deve subirla.