Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

Brescia: 100 capolavori
da Hayez a Boldini

Mostre
Le grandi mostre in programma in Italia e quelle che hanno l'Italia, attraverso i suoi grandi artisti, come protagonista nel mondo. Lo "Speciale mostre" è un viaggio tra capolavori, opere d'avanguardia e sperimentali, pittura e scultura, memoria e identità, storia e filosofia, un tributo all'arte e ai suoi protagonisti e un modo per scoprire quanto di buono fanno le istituzioni nazionali e locali per il nostro patrimonio culturale e di creatività.

BRESCIA: DA HAYEZ A BOLDINI, 100 CAPOLAVORI PER UN SECOLO

L’esposizione “ Da Hayez a Boldini. Anime e volti della pittura italiana dell’Ottocento”, fino all’11 giugno a Brescia, a Palazzo Martinengo, racconta la straordinaria stagione artistica italiana del XIX secolo, attraverso 100 capolavori dei maggiori esponenti del neoclassicismo, del romanticismo, della scapigliatura, dei macchiaioli e del divisionismo, da Canova ad Appiani, da Hayez a Cremona, da Fattori a Inganni, da Segantini a De Nittis, da Zandomeneghi fino a Boldini.  Il percorso espositivo si apre con Amore e Psiche, capolavoro di Antonio Canova, che incarna i canoni dell’estetica neoclassica. Attorno alla scultura ruoteranno alcune delle tele più rappresentative di autori neoclassici tra cui Andrea Appiani, pittore prediletto da Napoleone, capace di evocare la sublime grazia raffaellesca nella splendida tela Venere allaccia il cinto a Giunone. Quindi, la sezione dedicata al romanticismo vede come assoluto protagonista Francesco Hayez di cui viene presentata la Maria Stuarda sale al patibolo, capolavoro di tre metri per due, che giunge eccezionalmente a Brescia. Accanto ad altre opere di Hayez esposti dipinti dei principali autori romantici come Giuseppe Molteni, Enrico Scuri, Giacomo Trecourt, Carlo Arienti e Giuseppe Carnovali detto il Piccio, la cui pittura anticipò gli esiti dei maestri della Scapigliatura alla quale è dedicata una sala dove spiccano le tele di Tranquillo Cremona, Daniele Ranzoni e Mosè Bianchi. Mentre a Milano si affermavano gli scapigliati, a Firenze, negli stessi anni, si faceva largo un gruppo di giovani e agguerriti artisti che, per reagire alla stanca pittura insegnata nelle accademie, diede vita al movimento dei macchiaioli capitanato da Giovanni Fattori, Silvestro Lega e Telemaco Signorini, qui presenti con alcune delle loro opere più famose. Di Giovanni Segantini, padre nobile del divisionismo, è esposto il capolavoro Alpe di maggio proveniente da una prestigiosa raccolta privata, eseguito a Savognino nella primavera del 1891, quando l'artista era impegnato a ritrarre animali con la speranza di conquistare “l’azzurro del cielo, il verde tenero dei pascoli, le superbe catene dei monti”. La mostra si chiude con la rievocazione del frizzante clima culturale parigino della Belle Époque che si respirava nei teatri, nei caffè e lungo i boulevard della capitale francese, dove vissero e lavorarono maestri del calibro di Vittorio Matteo Corcos, Antonio Mancini, Federico Zandomeneghi, Giuseppe De Nittis e Giovanni Boldini.  

 

BRESCIA: ZAVATTINI E GAVIOLI, LA “DISNEY” ITALIANA

Il Musil - Museo dell’Industria e del Lavoro di Brescia attinge al fondo della Gamma Film per riportare alla luce due importanti progetti di film d’animazione degli anni Sessanta, Buongiorno Italia e La lunga calza verde, basati sulla sceneggiatura di Cesare Zavattini e la direzione di Roberto Gavioli, per offrire al visitatore una mostra esclusiva, fino al 18 giugno. Nella Milano degli anni Cinquanta il pubblicitario Dino Villani, amico di Zavattini con il quale lanciò il concorso “5000 lire per un sorriso” da cui prese origine Miss Italia, si rese complice dell’incontro tra lo sceneggiatore e Roberto Gavioli. In un’Italia che stava cambiando e aprendosi alla modernità, Zavattini e Gavioli, con un gruppo di giovani disegnatori talentuosi della Gamma Film, cominciarono a lavorare allo storyboard. Nell’idea di Zavattini, prolifico scrittore di soggetti cinematografici e in costante contatto con il mondo del cinema romano, scambiando lunghe telefonate con Vittorio De Sica alle prese con la lavorazione del film La ciociara, pensa ad un cartone animato a lungometraggio che ha per tema 24 ore italiane con i caratteri più tipici del Paese, alternando elogi, critiche e ironie. Ma si era alle soglie del centenario dell’Unità e nel 1960 da Sandro Pallavicini (della casa di produzione Incom) giunse la proposta di lavorare su un progetto irrinunciabile dedicato alla celebrazione dell’Unità d’Italia. Accantonato Buongiorno Italia, Gavioli e Zavattini pensarono ad un nuovo mediometraggio sull’epopea risorgimentale: La lunga calza verde.

 

MILANO: KEITH HARING E I SUOI MAESTRI

Due anni di preparazione. Centodieci opere, molte di dimensioni monumentali, alcune delle quali inedite o mai esposte in Italia. Sessantuno prestatori. L’esposizione “About art. L'Umanesimo urbano di Keith Haring”, fino al 18 giugno a Palazzo Reale di Milano, ruota attorno a un nuovo assunto critico: la lettura retrospettiva dell’opera di Haring - espressione di una controcultura socialmente e politicamente impegnata su temi propri del suo e del nostro tempo: droga, razzismo, Aids, minaccia nucleare, alienazione giovanile, discriminazione delle minoranze, arroganza del potere - non è corretta se non è vista anche alla luce della storia delle arti che egli ha collocato al centro del suo lavoro, assimilandola fino a integrarla esplicitamente nei suoi dipinti e costruendo in questo modo la parte più significativa della sua ricerca estetica. Le opere dell’artista americano scomparso prematuramente 27 anni fa si affiancano a quelle di autori di epoche diverse, a cui Haring – icona di artista-attivista globale - si è ispirato e che ha reinterpretato con il suo stile unico e inconfondibile, in una sintesi narrativa di archetipi della tradizione classica, di arte tribale ed etnografica, di immaginario gotico o di cartoonism, di linguaggi del suo secolo e di escursioni nel futuro con l’impiego del computer in alcune sue ultime sperimentazioni. Tra queste, s’incontrano quelle realizzate da Jackson Pollock, Jean Dubuffet, Paul Klee per il Novecento, ma anche i calchi della Colonna Traiana, le maschere delle culture del Pacifico, i dipinti del Rinascimento italiano e altre.

VICENZA: IL VOLTO DI PALLADIO

Del più conosciuto architetto degli ultimi cinque secoli non esiste un ritratto cinquecentesco. O meglio, sappiamo da Vasari che ne sono esistiti almeno due: un primo ad opera del pittore veronese Orlando Flacco ed un secondo, attribuito a Tintoretto, che compare in un inventario del 1599. Di entrambi però si sono perse le tracce. Per questo gli inglesi nel Settecento si sono inventati una faccia di Palladio. Compare all’inizio della prima traduzione in inglese de I Quattro Libri dell’Architettura, pubblicata a Londra dall’italiano espatriato Giacomo Leoni fra il 1715 e il 1720. Ma l’Andrea Palladio “inglese” compare vestito alla moda del Settecento e, nonostante Leoni dichiari l’incisione basata su un ritratto di Paolo Veronese, è chiaramente un’invenzione. Pochi anni più tardi gli italiani rispondono con un ritratto diverso, pubblicato sulla guida al Teatro Olimpico del 1733. L’autore dice di averlo copiato da un ritratto presente alla Rotonda, ma è il ritratto giusto? Non lo sappiamo perché l’originale fino ad oggi era introvabile. Ma allora, la faccia di Palladio che siamo abituati a vedere è vera o falsa? Per la prima volta al Palladio Museum di Vicenza, fino al 4 giugno, la mostra “Andrea Palladio. Il mistero del volto” tenta di ricostruire tutta la complicata storia del volto del mitico architetto, esito di una accanita ricerca scientifica che si snoda lungo cinque secoli fra dipinti falsificati, equivoci e cantonate. E non mancano  colpi di scena, alla luce di nuove scoperte negli Stati Uniti e in Russia.  Il curatore Guido Beltramini conduce il visitatore nei meandri di una storia che si è fatta leggenda, tra falsificazioni, equivoci e colpi di scena. Giungendo ad una verità che riporta ad Erasmo da Rotterdam.

 

 

BOLOGNA: TRA I MISTERI DELLE STELI VILLANOVIANE

I cippi e le stele antropomorfe villanoviane, spesso finemente decorate, pietre dalla sagoma inconfondibile (un rettangolo sormontato da un disco), sono una peculiarità di Bologna e del suo territorio. Fino all'11 giugno il Muv - Museo Della Civilta’ Villanoviana di Villanova di Castenaso, nel Bolognese, ospita la mostra "La Stele delle Spade e le altre" dedicata ai primi esempi di queste sculture prodotte in Etruria padana tra la fine dell’VIII secolo a.C. e i primi decenni del VI sec. a.C. Accanto alla cosiddetta Stele delle Spade, rinvenuta 10 anni fa nel sepolcreto di Marano di Castenaso e punta di diamante del Muv, sono esposti manufatti con raffinate sculture a rilievo. Le decorazioni di queste stele riprendono motivi come la sfinge, l'albero della vita o il signore degli animali che, pur derivando da modelli dell'Etruria meridionale, sono anche direttamente influenzati da rapporti con artisti del Vicino Oriente. Non a caso la strepitosa stele scelta come testimonial della mostra (quella rinvenuta a Saletto di Bentivoglio nel territorio di San Giorgio di Piano, datata alla metà del VII secolo a.C.) è decorata sul disco da una sfinge e sul corpo da capri rampanti ai lati dell'albero della vita. Il risultato è una suggestiva mostra archeologica che racchiude in un’unica sala reperti delle collezioni stabili del Museo della Civiltà Villanoviana e del Museo Civico Archeologico di Bologna e altri provenienti dai depositi della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Bologna.

(© 9Colonne - citare la fonte)