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direttore Paolo Pagliaro

Non chiamatelo
spionaggio

Non chiamatelo <br> spionaggio

di Paolo Pagliaro

(3 maggio 2018) Con lo sfaldamento di molti stati si frantuma anche il monopolio dell’uso della forza  ed è su questo che riflette  Alberto Manenti, il direttore dell’Agenzia Informazione e Sicurezza Esterna intervistato da  Paolo Salvatori nelle ultime pagine del suo saggio sulla metamorfosi dei servizi segreti. Il libro è pubblicato dalle edizioni La Lepre con un titolo in cui la parola “Spie”  è seguita da un punto interrogativo,  a suggerire la necessità di una rivisitazione etica oltre che linguistica di quell’antico mestiere.
Osserva Manenti che nel mondo le aree di crisi  sono diventate l’ arena di una pletora di nuovi attori. Sono capi di bande armate mascherati da leader politici, trafficanti organizzatisi come rappresentanza di gruppi etnici o tribali, avventurieri in cerca di facili fortune, che  spesso dispongono di più credito all’estero che di forze reali sul terreno.  Questo marasma – che al lettore anche sommariamente informato  pare una fotografia della Libia – non può che lasciare interdetta la diplomazia tradizionale, nata in un concerto ordinato di Stati, con un codice di comportamento condiviso discendente da consuetudini e prassi sperimentate.
Anche l’altro strumento tradizionale della politica internazionale, quello militare, è spesso rimasto spiazzato dal cambiamento. Il conflitto non è più animato da eserciti che si affrontano simmetricamente: mettere piede nei nuovi teatri di guerra significa confrontarsi con una situazione nella quale solo a fatica è possibile distinguere il nemico dall’amico.
Secondo il capo dell’Aise, per queste ragioni  e queste asimmetrie   le attività di intelligence hanno un ruolo sempre più decisivo nella risoluzione dei conflitti, arrivando dove non arrivano diplomazia e guerra.  Chiamarlo spionaggio sta diventando molto riduttivo.

 

 

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