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direttore Paolo Pagliaro

Franco Arminio e gli esercizi di Paesologia

Libri
Ogni settimana uno scaffale diverso, ogni settimana sarà come entrare in una libreria virtuale per sfogliare un volume di cui si è sentito parlare o che incuriosisce. Lo "Speciale libri" illustra le novità delle principali case editrici nazionali e degli autori più amati, senza perdere di vista scrittori emergenti e realtà indipendenti. I generi spaziano dai saggi ai romanzi, dalle inchieste giornalistiche, alla storia e alle biografie.

Franco Arminio e gli esercizi di Paesologia

Porta il tuo paese in testa come si porta l’immagine dell’amata. Esci, vai nella piazza tua o di un paese vicino, vai nella piazza degli altri, mai ti mancherà una bella vista. Va di moda assegnare le bandiere ai luoghi. C’è chi assegna la bandiera blu alle migliori località di mare e chi quella arancione ai paesi più belli. Franco Arminio in “Vento forte tra Lacedonia e Candela. Esercizi di paesologia” (Laterza) assegna la bandiera bianca ai paesi più sperduti e affranti, i paesi della resa, quelli sulla soglia dell’estinzione. Ce ne sono tanti e sono i meno visitati. Non hanno il museo della civiltà contadina, non hanno il negozio che vende i prodotti tipici, non hanno la brochure che illustra le bellezze del posto, non hanno il medico tutti i giorni e la farmacia è aperta solo per qualche ora. Sono i paesi in cui si sente l’assenza di chi se n’è andato e quella di chi non è mai venuto. Non hanno neppure stranezze particolari: non fanno processioni coi serpenti, non fanno la festa degli ammogliati, non hanno dato i natali a una famosa cantante o a un politico o a un calciatore. Non hanno neppure particolari arretratezze, hanno l’acqua calda in tutte le case, hanno le macchine e il televisore, tutti hanno di che mangiare e un tetto dove dormire. In questi paesi della bandiera bianca ci sono i lampioni, ci sono i marciapiedi, c’è sicuramente almeno un bar e un piccolo negozio di alimentari, c’è un sindaco e una piazza, c’è qualche bambino, ci sono molti anziani, ci sono case nuove e case un po’ più vecchie. Arminio è nato e vive a Bisaccia, nell’Irpinia d’Oriente. Ha pubblicato una ventina di libri, tra cui Terracarne (Mondadori), Cartoline dai morti (Nottetempo), Geografia commossa dell’Italia interna (Bruno Mondadori), Cedi la strada agli alberi (Chiarelettere) e Resteranno i canti (Bompiani). Si occupa anche di documentari e fotografia. Come paesologo scrive da anni sui giornali e in Rete a difesa dei piccoli paesi. Attualmente è il referente tecnico del Progetto Pilota della Montagna Materana nell’ambito della Strategia Nazionale per le Aree Interne. Ha ideato e porta avanti La casa della paesologia a Trevico e il festival “La luna e i calanchi” ad Aliano.

ETNOGRAFIA VISIVA NELLE COMUNITA’ RURALI SICILIANE

L’opposizione ipotizzata fra tradizioni orali e scritte, che prevale in antropologia, è ingannevole: in primis perché tende ad annullare l’orale nel contrario dello scritto, e non ne comprende il modo di funzionare specifico; in secondo luogo perché non contempla la possibilità che, tra gli estremi dell’orale puro e dello scritto puro, esistano molte situazioni intermedie. Paradossalmente oggi, nella nostra società così impregnata di immagini, l’oralità è ritornata ad assumere un ruolo centrale proprio per la produzione e la comprensione del codice visivo. Questa “oralità dell’immagine” è connaturata nei nostri comportamenti quotidiani e per questo motivo risulta difficile individuarla e analizzarla. In “Oralità dell’immagine. Etnografia visiva nelle comunità rurali siciliane” (Sellerio) Rosario Perricone propone un profondo rinnovamento, tanto dell’“oggetto” fotografia quanto dello sguardo antropologico su di essa. Un volume ricco di fotografie realizzate tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento che ritraggono individui, gruppi o momenti cerimoniali e rispecchiano la “concezione del mondo e della vita” propria di quella società contadina. Ci si rivolgeva al fotografo per certificare i momenti fondamentali della vita, dalla nascita alla morte, affidandogli il compito di suggellare la gioia degli eventi lieti o di colmare lo strazio della lontananza e della separazione. È grazie alla narrazione di questi ricordi, integrati ad altre fonti documentali, che questo corpus di immagini può essere valutato secondo una moderna prospettiva storicoantropologica. È nella loro «storia di vita», nel loro passare da una generazione all’altra, da un certo tipo di rappresentazione di relazioni a un altro, che queste fotografie rivelano in pieno il loro essere un particolare tipo di “oggetto biografico” capace di sollecitare narrazioni attraverso il ricordo dei suoi possessori. Trascorsi gli uomini che ritraggono, le fotografie continuano a rievocarne le storie: l’inevitabile scolorire delle immagini si stempera allora nella vitalità delle voci che ne ripercorrono le vicende. Perricone insegna Antropologia culturale e Museologia nell’Accademia delle Belle Arti di Palermo. È Presidente dell’Associazione per la conservazione delle tradizioni popolari e Direttore del Museo internazionale delle marionette «Antonio Pasqualino» di Palermo. Ha scritto tra l’altro: Il volto del tempo. La ritrattistica nelle culture popolari (Calamonaci 2000), I ricordi figurati: «foto di famiglia» in Sicilia (Torino 2006), Death and Rebirth: Images of Death in Sicily (Londra 2016).

EDNA O'BRIEN, “UN FEROCE DICEMBRE”

A Cloontha passato e presente, mito e ricordi si mischiano senza soluzione. Michael Bugler vi è tornato deciso a far fruttare i terreni dei suoi avi. Ha vissuto in Australia per anni come uno straniero e adesso tutto ciò che vuole è lavorare la sua terra. Joseph Brennan, il suo vicino, non ha mai lasciato il paese in cui è nato. Nonostante un'iniziale amicizia, Brennan vede Bugler come una minaccia: non gli piacciono le sue innovazioni, il suo atteggiamento di sfida. Soprattutto, non può dimenticare che una volta le loro famiglie erano nemiche. Sua sorella Breege, invece, ne è attratta. Quel giovane forestiero le sembra incarnare quanto è mancato finora nella sua vita - novità, spregiudicatezza, il coraggio di cambiare - e se ne innamora. E quando Bugler pretende di riavere un appezzamento sfruttato dai Brennan, le tensioni covate troppo a lungo non possono che deflagrare. Questa la trama di “Un feroce dicembre” di Edna O'Brien (in uscita a fine agosto per Einaudi, traduzione italiana a cura di Giovanna Granato). Edna O'Brien (Tuamgraney, Irlanda, 1930) è una delle più importanti autrici viventi. Ha pubblicato romanzi, saggi, testi teatrali e raccolte di racconti, fra i quali Ragazze di campagna, La luce della sera, La ragazza dagli occhi verdi. Nel 2011 le è stato conferito il prestigioso Frank O'Connor Short Story Award. Per Einaudi Stile Libero ha pubblicato Oggetto d'amore (2016), un'antologia dei suoi migliori racconti e Tante piccole sedie rosse (2017 e 2018).

SANDRO FRIZZIERO, CONFESSIONI DI UN NEET

Con l’acronimo Neet (Not in Education, Employment or Training) si comprendono i giovani che non studiano, non lavorano né sono impegnati in attività di formazione. Il protagonista di “Confessioni di un neet” di Sandro Frizziero (Fazi) vive a Chioggia, in casa dei genitori o meglio in una stanza della casa dalla quale esce solo spinto dai bisogni fisiologici, dalle ramanzine del padre o dalla pasta al forno della madre. Il grosso della giornata lo passa tra letto e computer in compagnia di Asia e Nina, due gatte oltremodo schiette, che non si astengono da aspre critiche nei confronti del loro “padrone”. Il nostro NEET si autodefinisce “rivoluzionario”: non vuole un lavoro, che gli appare tanto alienante quanto carico d’illusioni per chi lo ottiene, e non vuole neanche una relazione che, insieme all’amore, considera unicamente fonte di ipocrisie oltre che di inutili responsabilità. Questo giovane uomo trasuda misantropia e disprezzo nei confronti dell’intera società, che ritiene malata nel suo bisogno di finti bisogni. La sua unica finestra sul mondo è Facebook, in cui, come crede, un NEET intelligente può destreggiarsi ingannando abilmente gli altri, vittime della loro stessa ignoranza e protesi unicamente al soddisfacimento di desideri creati a tavolino da qualche multinazionale californiana. Un libro che si ribella ai luoghi comuni imperanti attraverso l’atteggiamento del protagonista, personaggio originale e folle quanto basato su comportamenti pericolosamente diffusi. Una disamina sicura e intelligente della modernità nei suoi meccanismi malati per una satira feroce della società contemporanea. Un modo nuovo di narrare, per una storia paradossale e venata di profonda ironia, da parte di un giovane esordiente dalla penna incredibilmente matura. “Io, dentro la mia stanza, ho creato un mondo senza diritto, senza storia, senza tempo, dove il sovrano assoluto sono io. Un regno dall’economia semplice, consistente solo nelle calorie che brucio e nei byte che scarico, un regno di dodici metri quadrati dove il sole della Rete non tramonta mai”.

MAURIZIO MAGGIANI RACCONTA L’AMORE

Nel suo ultimo romanzo edito da Feltrinelli (in uscita ad agosto) Maurizio Maggiani racconta “L’amore”. “È notte, ci sono due sposi.” Inizia così, dalla notte, il racconto della giornata di uno sposo, che in ventiquattr’ore ripercorre i suoi amori, tenendo però sempre fermo – come punto di partenza e di arrivo – l’ultimo, quello incontrato in età matura. È alla sua sposa che la sera racconta un “fatterello”, e a lei piace che quel fatterello riguardi uno dei suoi amori passati, la “delicata materia di ciò che è già stato”. Quando si fa mattino, la sposa esce di casa per andare a insegnare e lui, rimasto solo – il suo mestiere è scrivere articoli di giornale e comprare minerale di zinco sui mercati mondiali –, non smette di ricordare e di chiedersi: “Dove ho imparato a dire ti amo?”. Mentre lavora, si occupa dell’orto, cucina, inforca la bicicletta, le ore della giornata scorrono, viene il pomeriggio e cala la sera, torna la notte, riemergono dal passato, con struggimento, con dolore, con dolcezza, la “Mari marina marosa figlia del pesciaiolo”, la Padoan con la sua coda di cavallo, la Patri e la luxemburghiana Chiaretta, i cui fatterelli tanto piacciono alla sposa, e poi Ida la Bislunga. È attraverso di loro che lo sposo ripercorre il suo lungo “allenamento a dire ti amo ti amo ti amo” in questa giornata che sembra qualunque, e si scopre invece particolare. Quanto più scende nel dettaglio, tanto più Maggiani riesce nel miracolo di raccontare l’amore universale, nei gesti, nelle parole, nelle abitudini, nei turbamenti, scrivendo un romanzo intimo, mentre sullo sfondo nondimeno passano, attraverso la musica, il lavoro, gli oggetti, i valori, i nostri ultimi cinquant’anni. Un romanzo cantabile come una canzone. “Ma quanto dolore amata mia per arrivare fin qui, e sono zoppo e quasi cieco per quanta strada ho fatto, per tutto quello che ho visto sulla strada. E quanta gioia, quanta allegria, e quanti decenni di sconsideratezza. Sì, anche questo è un fatto, i due sposi si amano senza peccato alcuno, e tutti i loro baci e tutto questo dirsi amato e amata è senza malizia e senza smanceria, è detto e fatto con candore”.

(© 9Colonne - citare la fonte)