Cosa si nasconde dietro la morte del centrocampista del Vicenza Enzo Scaini, avvenuta nel gennaio 1983 a seguito di un banale intervento ai legamenti del ginocchio? In un libro-inchiesta dal titolo “Non ero Paolo Rossi” (Edizioni Eraclea), i giornalisti Giampiero De Andreis ed Emanuele Gatto ripercorrono i fatti che condussero al decesso del giocatore e a 35 anni di distanza svelano i retroscena di un caso che, dopo aver inizialmente occupato le prime pagine dei giornali, è lentamente finito nel dimenticatoio. In occasione della scomparsa del capitano della Fiorentina Davide Astori, la stampa ha menzionato numerosi casi simili avvenuti in passato, da Renato Curi a Giuliano Taccola, fino a Piermario Morosini e a Marc-Vivien Foé. Tuttavia, neanche in questa tragica circostanza il pianeta calcio si è ricordato di Enzo Scaini. Un caso giudiziario che, dopo cinque anni di indagini, fu archiviato nel 1988 con l’assoluzione di tutti gli imputati. Oggi, grazie al lavoro di De Andreis e Gatto, che attraverso testimonianze, perizie e atti del processo hanno ricostruito nei dettagli la vicenda, viene finalmente fatta chiarezza, tappando le falle di un’inchiesta giudiziaria carente e superficiale, incapace di rilevare evidenti incongruenze e contraddizioni. “Purtroppo Scaini non era Paolo Rossi”, ebbe a dire il presidente dell’Associazione italiana calciatori Sergio Campana, lamentando la scarsa attenzione che fu dedicata al caso. Il titolo dell’opera prende spunto proprio da questa frase pronunciata dallo storico numero uno del sindacato dei calciatori.
Allo sviluppo della vicenda nelle aule dei tribunali, il racconto alterna in un avvincente rimbalzo narrativo la storia personale e calcistica di Scaini, un giocatore particolarmente amato dai tifosi per il suo temperamento da combattente, per la violenza dei suoi tiri da fuori area, per la sua capacità di sradicare il pallone dai piedi degli avversari. Nato in Friuli e cresciuto calcisticamente nel Torino, Enzo Scaini ha militato in molte squadre nella sua carriera (Monza, Campobasso, Verona, Perugia e Vicenza le più importanti), come accadeva a molti calciatori prima che la fine del regime del “vincolo sportivo” rivoluzionasse il mondo del professionismo. Per mezzo di aneddoti e interviste inedite a numerosi protagonisti dell’epoca, il libro ricorda anche il calcio di quegli anni: quello che si seguiva attraverso la radio e le figurine Panini, in cui il presidente di una società era il padre-padrone dei suoi atleti e in cui ogni giocatore, se non aveva la fortuna di trovare posto in Serie A, finiva per girovagare di provincia in provincia con pochi soldi in tasca in attesa della grande occasione. È l’era di “Novantesimo minuto”, di “Scusa Ameri, scusa Ciotti”, del graduale ritorno degli stranieri e dei primi sponsor. Un calcio povero e ormai mitico, quasi dimenticato da quando l’inattesa vittoria degli azzurri ai mondiali di Spagna del 1982 attirò in Italia le stelle del calcio mondiale e i grandi capitali, mettendo il nostro campionato al centro dell’Europa.
L’INFELICE RELIGIONE DEL CAPITALISMO
È possibile oggi parlare ancora di capitalismo? E cos’è e come è cambiato il capitalismo di oggi rispetto a quello delle origini? Lo spiega in un saggio che riflette sulla nuova natura dell'economia del nostro tempo Luigino Bruni, provando a dire come quella che è l'ideologia manageriale eserciti una manipolazione di valori quali stima, riconoscimento, comunità. E di come li svilisca. Al contrario, l’economista della Lumsa di Roma propone organizzazioni economiche sensibili ai valori della persona, capaci di trasformare il mercato in laboratorio di virtù etiche e civili. Lo fa nel libro “Il capitalismo infelice. Vita umana e religione del profitto” (Giunti, 2018, 176 pagine, 16 euro). Nel suo saggio vi è un passaggio nel quale Bruni ricorda come Mircea Eliade, antropologo romeno, nel saggio “Il sacro e il profano”, scriveva che “l’uomo moderno ha desacralizzato il suo mondo e ha deciso di vivere un’esistenza profana. Basterà constatare il fatto che la desacralizzazione caratterizza l’esperienza totale dell’uomo non religioso delle società moderne”. Ma l’autore usa questo passaggio per dimostrare che “se Eliade fosse vissuto oggi, molto probabilmente non avrebbe scritto questa frase, perché si sarebbe accorto che il capitalismo del XXI secolo sta risacralizzando il mondo, sebbene in un modo tutto nuovo e diverso dal mondo sacro di cui parlava Eliade. E, quasi certamente, la neo-sacralizzazione del nostro tempo, Eliade e i suoi colleghi del Novecento, l’avrebbero chiamata neo-idolatria”. In questo nuovo contesto, per Bruni il lavoro si è trasformato nel mezzo per aumentare un consumo di beni materiali che vengono idolatrati, riducendo l’uomo a puro consumatore. Ciò che diventa prevalente è la narrazione del marketing, in un ragionamento che porta lo studioso a parlare di una falsa teologia meritocratica che finisce per colpevolizzare povertà e poveri e cancellare il valore della misericordia a vantaggio di un errato concetto meritocratico. Questa religione capitalistica per Bruni ha pervaso politica, scuola, impresa e relazioni sociali. Dunque richiama le parole che all’inizio dell’Ottocento scriveva Claude-Henri de Saint-Simon, quando immaginava una “religione degli imprenditori, dei capitalisti e della scienza” e auspicava che “ogni consiglio farà costruire un tempio che ospiterà un mausoleo in onore di Newton… Ogni fedele che risiede a meno di un giorno di cammino dal tempio scenderà una volta all’anno nel mausoleo di Newton. […] Nei dintorni del tempio saranno costruiti laboratori, officine, e un collegio. Ogni lusso sarà riservato al tempio . . . ”. E osserva, quindi, che la religione di Saint-Simon, universale e laica, con i sacerdoti che erano gli scienziati, gli ingegneri, gli industriali, più che una utopia, come l’aveva descritta Marx, si può dire, osservando cosa è diventato oggi quel capitalismo, si sia rivelata una profezia.
LE BABELE DELLA GLOBALIZZAZIONE
Salvatore Santangelo, giornalista e docente universitario, esperto di politica internazionale e di storia del Novecento, ha pubblicato il libro “Babel. Dai dazi di Trump alla Guerra in Siria: ascesa e declino di un mondo globale” (Castelvecchi, 2018, 144 pagine, 17,5 euro). In limine al suo libro compare un verso della Medea di Seneca: “Sono venuti meno tutti i confini, il mondo è diventato percorribile, nascono nuove città”. Il verso gli serve per sviluppare la sua tesi sulla globalizzazione, cioè quella secondo la quale “nella storia dell’uomo ci siano delle alternanze tra momenti di apertura e momenti di chiusura: dunque, non esiste ‘la globalizzazione’, ma esistono ‘le globalizzazioni’. Ce ne sono state tante, e ognuna ha avuto termine con un momento di ritiro e di chiusura: noi non sappiamo quale sarà lo sbocco di questa ultima globalizzazione perché in campo c’è una variabile nuova, la tecnologia, che così massiccia, pervasiva e violenta non c’era mai stata precedentemente”. Ecco, dunque, che lo sforzo di Santangelo in questo studio non va nella direzione di definire o spiegare la globalizzazione, ma di organizzare e sistematizzare piuttosto i diversi filoni di studio che hanno provato a farlo. Nell’articolare il suo pensiero Santangelo individua nella globalizzazione la tendenza alla frammentazione, che si palesa con la necessità diffusa, in un contesto globale (o imperiale) che tende a uniformare e sradicare, del ritorno alla radice, alla riscoperta delle identità particolari. Quindi l’effetto e lo sbocco in futuro potrà essere duplice: si potrebbe arrivare a un unico mercato planetario fatto di un zona di libero scambio coincidente con il mondo oppure, in alternativa, a un contesto globale nel quale i grandi blocchi continentali tenteranno un ruolo da regolatori e mediatori della globalizzazione, con l’intenzione di garantire ed esaltare le specificità, le diversità, le radici, i diversi stili di vita e culture. Tutto ciò passa nel libro attraverso una lente che mette a fuoco la poderosa crescita economica cinese, le guerre in Libia, Afghanistan, Siria e Iraq, le questioni africane e quelle religiose, le migrazioni di massa, l’insufficienza e impotenza delle istituzioni nazionali e internazionali e delle pratiche multilaterali. Ma, soprattutto, le veloci trasformazioni tecnologiche che, in un contesto di internazionalizzazione dei mercati e di tempeste finanziarie, rappresentano l’acceleratore più efficace della globalizzazione come la stiamo vivendo oggi. Il libro, quindi, finisce per essere lo strumento che individua e descrive sintomi ed effetti della crisi del mondo globale, individuando quella che, a giudizio dell’autore e di diversi fenomeni populistici, dovrebbe essere la nuova linea di differenza e scontro politico alternativo alla dialettica Destra-Sinistra, cioè lo scontro alto contro basso, centro contro periferie.
"NON VI LASCERÒ ORFANI" DI DARIA BIGNARDI DIVENTA AUDIOLIBRO
A dieci anni esatti dalla prima pubblicazione, il successo di “Non vi lascerò orfani” (Mondadori, 2009) prosegue e si rinnova: l’esordio letterario di Daria Bignardi è ora in libreria nella collana Absolute Oscar di Mondadori, che raccoglie i romanzi e i saggi più importanti degli autori più amati, mentre “Non vi lascerò orfani” è disponibile anche in versione audiolibro su Audible, la app di Amazon leader nella produzione e distribuzione di audiolibri, serie audio e podcast originali, letto direttamente dalla voce dell’autrice. Tradotto in diversi paesi e molto premiato (Premio Elsa Morante tra gli altri), Non vi lascerò orfani ha venduto 200 mila copie ed è entrato nelle antologie scolastiche: un memoir ironico e affettuoso che, come scriveva Goffredo Fofi sull’Internazionale “è un modo di fare pace con una presenza determinante venuta a mancare, in una chiave affettiva in cui il come eravamo si intreccia continuamente con il come siamo”. Tra memoria, ansia e divertimento, Non vi lascerò orfani continua così a dialogare con un pubblico sempre più fedele e appassionato, che dieci anni dopo non smette di emozionarsi scoprendo sempre qualcosa di nuovo e diverso tra le righe, e punta ad entrare nel cuore di nuovi e giovani ascoltatori. Per festeggiare i dieci anni dalla pubblicazione di quello che è ormai un piccolo classico della letteratura, venerdì 25 gennaio Daria Bignardi porta a Milano, al centro sociale di produzione artistica mare culturale urbano, La coscienza dell’ansia, uno spettacolo in cui le parole si muovono nello spazio idealmente delimitato tra il libro d’esordio e il più recente “Storia della mia ansia” (Mondadori, 2018). Racconti inediti si alternano a letture di brani significativi per l’autrice, tratti dai libri che ne hanno accompagnato la formazione: Conversazione in Sicilia di Elio Vittorini e, soprattutto, La coscienza di Zeno, capolavoro di Italo Svevo. A dialogare musicalmente con Daria Bignardi la cantautrice e attrice di teatro FLO, una delle personalità più interessanti ed eclettiche del panorama musicale italiano degli ultimi anni, con il polistrumentista Michele Maione.
“LE GUARIGIONI” DI KIM ROSSI STUART
Un padre dal carattere volubile e un bambino silenzioso lasciano la città per aprire un maneggio tra il fango e la solitudine della campagna; uno scrittore cerca ripetutamente di innamorarsi davvero, per capire ogni volta di volere tutt’altro e in tutt’altro modo; un piccolo e morigerato imprenditore viene travolto dall’arrivo di una donna tanto appassionata quanto ingestibile; una moglie scettica, indipendente e sicura di sé sospetta di essere stata scelta per una rivelazione mistica; un prete ribelle combatte contro la pressoché totale scomparsa del Male nel mondo. Curiosi, burberi, inafferrabili, irrisolti e romantici, oppure fragili, buffi, egoisti e testardi, i personaggi raccontati da Kim Rossi Stuart in “Le Guarigioni” (La nave di Teseo) si muovono nelle loro storie con l’andamento irregolare e imprevedibile di una vita che sposta i cartelli e confonde le direzioni, per irriderli e confonderli ogni volta. Uomini (e donne) che combattono contro gli eventi e le loro stesse idiosincrasie, per provare a trovare, se non le risposte, almeno le domande giuste da porsi, in una ricerca di sé e di ciò che potrebbe esserci altrove, che, come un filo comune ma ben dissimulato, raccoglie assieme questi cinque racconti: microcosmi di amore, lotta, impazzimenti e visioni. Kim Rossi Stuart (Roma, 31 ottobre 1969) è un attore e regista italiano. Ha recitato in numerosi film, tra cui i più noti sono “Al di là delle nuvole”, “Pinocchio”, “Le chiavi di casa”, “Romanzo criminale”, “Piano, solo”, “Questione di cuore”, “Vallanzasca - Gli angeli del male” e “Anni felici”. Nel 2005 esordisce alla regia con il film “Anche libero va bene”, di cui è anche sceneggiatore e interprete. Nel corso della sua carriera ha vinto un David di Donatello, tre Nastri d’argento, due Globi d’oro, tre Ciak d’oro e tre Premi Flaiano.
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