Roma, 10 gen - Meno sigarette, più carburante. Lo studio di alcuni ricercatori di Philadelphia potrebbe spianare la strada a una promettente applicazione futura del tabacco negli impianti per i biocarburanti. A fine dicembre sono stati infatti pubblicati su Plant Biotechnology Journal, la rivista scientifica che divulga le ultime scoperte nel settore delle biotecnologie vegetali e della loro applicazione in tutti i settori industriali, i risultati della ricerca della Thomas Jefferson University in grado di migliorare la produzione oleosa nelle foglie di tabacco. Finora, nella ricerca di risorse alternative per i biocarburanti, il tabacco è stato ampiamente trascurato in quanto destinato esclusivamente alla produzione di sigarette. Non tutti sanno che invece il tabacco è molto attraente come biocarburante, in quanto possiede i requisiti fondamentali per una produzione di elevata qualità, come ben poche altre piante. Esso può generare biocombustibile in maniera più efficiente rispetto alle altre colture: la maggior parte dell'olio, infatti, si trova in genere nei semi della pianta in una percentuale di circa il 40 per cento rispetto al peso secco. Inoltre, ha un potere calorifico superiore ai semi di piante che tradizionalmente sono usate a scopo energetico come il girasole, la colza o la soia e la sua combustione risulta molto meno inquinante grazie ad una bassissima presenza di zolfo. Tuttavia i test per l’utilizzo come combustibile per motori diesel evidenziano che il quantitativo di semenza abbastanza ridotto ne inficia la resa - circa 600 kg di semi per ettaro. Sulla base di questi presupposti i laboratori di biotecnologia della Jefferson University, sotto la guida di Vyacheslav Andrianov, professore assistente del Cancer Biology, hanno individuato il modo di modificare geneticamente le piante per far nascere foglie con una percentuale di olio più alta, arrivando in alcuni casi, ad un aumento della produzione di circa venti volte. Ciò è stato possibile attraverso due approcci di ingegneria metabolica: il gene acyltransferase diacilglicerolo (DGAT) e il cotiledone foglia 2 (LEC2). La pianta del tabacco tipica ha foglie che contengono dall’1,7 al 4% di olio al peso a secco; la modificazione genetica del DGAT ha portato a circa il 5,8% di olio al peso a secco nelle foglie, che è circa due volte la quantità di olio prodotta normalmente. La modifica LEC2 consente di regolare la maturazione delle sementi e lo stoccaggio di olio di semi, consentendo un accumulo di acidi grassi fino al 6,8 per cento in peso a secco. I ricercatori hanno poi in programma un’ulteriore sperimentazione per verificare l'aumento totale cumulativo della produzione in caso di modifiche in un unico impianto. Il tabacco modificato si presenta così in una interessante versione di “pianta energetica”, e potrebbe servire da modello anche per l’utilizzo di altri prodotti altamente energetici a biomassa per la produzione di biocarburanti. Se ogni ettaro di girasole produce 10 quintali di olio, con un ettaro di tabacco è possibile ottenere 20 quintali, il doppio. Ma, intervenendo geneticamente, si ottiene una pianta in grado di produrre fino ad una quarantina di quintali. Il che, in altre parole, significa poter ridurre la quota di terreno destinata a coltivazioni energetiche con una resa energetica molto elevata. Simili risultati potrebbero creare lo spazio sufficiente per affiancare al tabacco da fumo il tabacco per uso energetico: le piantagioni convertite alla produzione di biocarburante potrebbero generare grandi quantità di biomassa a prezzi molto competitivi e con alta efficienza, più di quasi tutte le altre produzioni agricole, senza alcun particolare impatto di tipo ambientale. (alg)
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