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Un governo slabbrato
I nodi presto al pettine?

di Paolo Pombeni

L’iniziativa del vicepremier Salvini di convocare al Viminale 43 associazioni del mondo economico per presentare loro le iniziative che la Lega intende proporre per i prossimi mesi è qualcosa che va al di là di una scorrettezza istituzionale come l’ha definita il premier Conte. Ovviamente lo è, perché Salvini gestisce quella che potrebbe essere una in sé normale iniziativa di partito (tutti ne hanno sempre fatte di simili) trasportandola nell’ambiguità della sua posizione governativa e per di più facendola svolgere nella sede del suo ministero (il quale, fra il resto, non ha neppure competenze in materie economiche). Il motivo che lo ha spinto a muoversi in questo modo non è chiarissimo, a parte la sua incomprimibile passione per occupare sempre e comunque il centro della scena.

Si è detto che lo ha fatto per mettere in ombra il pasticcio dell’affaire Russia, ma non crediamo sia tanto ingenuo da pensare che una mossa del genere possa davvero riuscirgli, e infatti il dossier va avanti, viene comprensibilmente cavalcato dalle opposizioni e continua a tenere banco nei media. E’ più probabile che abbia voluto rimarcare la centralità sua e del suo partito come punto di riferimento per coloro che hanno a cuore lo sviluppo dell’economia italiana. In questo segue una linea che ha impostato da tempo: presentare la Lega come il partito del fare suggerendo che gli altri, Cinque Stelle in primis, sono partiti del no o almeno delle mille remore.
E’ proprio qui che però Salvini mette a rischio il suo obiettivo. Per riuscire ad essere efficace e credibile ha bisogno di due cose che gli mancano: un piano coerente e non fatto di interventi contraddittori; un governo coeso, capace di gestire la difficile contingenza internazionale e interna. Quanto a piano coerente le proposte della Lega lasciano molto a desiderare. Anche a prescindere dallo spazio che ha concesso a personaggi con proposte stravaganti (minibot, per non dire ventilata uscita dall’euro), mette insieme miti e interventi che non convincono: si va dall’eterno mantra sulla flat tax alla riproposizione di condoni fiscali tanto per fare cassa (con tanti saluti ai principi di legalità che vorrebbe ferrei in altri casi). Al tempo stesso il vicepremier dovrebbe sapere che per essere credibile il quadro economico deve poter esibire un governo in grado di governare e con una solida direzione. Ora è evidente a tutti che questa solidità non c’è, sia per le tensioni che ha con il suo alleato a Cinque Stelle, sia per l’operazione di delegittimazione che svolge nei confronti del presidente del Consiglio, ridotto al rango di chi deve inseguire i suoi vice.
Conte ha reagito, ma, diciamolo francamente, ha reagito tardi e male. Tardi perché è intervenuto quando l’incontro al Viminale si era tenuto, mentre avrebbe dovuto esplicitare le sue giuste riserve appena aveva avuto notizia che quell’incontro era stato convocato, cioè già giorni fa. Male, perché non ci si esprime su una questione seria come una scorrettezza istituzionale scendono nella piazza davanti a Palazzo Chigi per buttare lì quattro battute con i giornalisti convocati in gran fretta. Certo reagire come andava fatto con una nota ufficiale ed una richiesta previa a Salvini di astenersi dall’invasione dei campi altrui avrebbe significato mettere a rischio la tenuta del governo: ma certe cose o si fanno sul serio o sarebbe meglio lasciar perdere.
Può persino darsi che il vicepremier sperasse nell’eventualità dell’apertura di una crisi da parte di Conte. Certamente in questo caso sì che la faccenda russa sarebbe finita in secondo piano e avrebbe potuto andare alle elezioni presentandosi come vittima delle ambizioni altrui, tanto la maggioranza degli elettori non è che sia proprio in grado di cogliere la gravità delle scorrettezze istituzionali.
Va però notato che non tutto si può ridurre al tema di quanti voti si possono raccogliere in future elezioni. La politica è una dimensione complessa e i tavoli su cui occorre muoversi sono più d’uno. Tanto per cominciare c’è quello europeo. L’aver evitato per ora che si aprisse la procedura d’infrazione verso l’Italia non ha chiuso la partita: la Commissione mantiene i suoi poteri per monitorare la nostra situazione economica e noi non siamo al momento messi bene quanto a posizionarci nella UE. In questo campo l’attore in campo per noi è Conte e se lo si delegittima ci si indebolisce inevitabilmente.
Del resto, è difficile che il premier possa presentarsi come credibile se non riesce a tenere a bada i suoi due vice. Di Maio inevitabilmente è spinto a dover mostrare di poter tenere il confronto con Salvini, tanto più che non è che di suo raccolga successi: su Alitalia ha dovuto accettare la presenza di Atlantia dei Benetton, contro cui aveva tuonato; ha sulla schiena il discredito crescente della sindaca Raggi a Roma e le difficoltà della sindaca Appendino a Torino; nel suo movimento vede crescere le irrequietudini delle varie componenti.
In questo quadro la tenuta del governo è più che a rischio. Può anche darsi che alla fine, per la convenienza di tutti i suoi membri, si metta da parte il ricorso alla prova elettorale anticipata, ma resta il fatto che si andrà avanti con un esecutivo slabbrato, privo di una guida autorevole e continuamente vittima delle pulsioni per il palcoscenico che dominano nei suoi membri e che sono abbondantemente sostenute da un sistema di comunicazione pubblica che ormai fa parte del gioco nella lotta fra le diverse tribù politiche.

(da mentepolitica.it)

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