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LIBRI: LUIGI ROSSI RACCONTA "L'EMIGRAZIONE SEPOLTA" DI MONONGAH

LIBRI: LUIGI ROSSI RACCONTA

Roma, 23 set – In questi giorni arriva in libreria un’opera singolare. Segni caratteristici: titolo rosso sangue, un nome che ha in sé qualcosa di magico e maledetto, seguito da un punto esclamativo dello stesso colore. Sullo sfondo un mosaico di volti, gli occhi spalancati sulle occhiaie scure d’una miniera carbonifera esplosa, rozze bare, un cielo grigio, minatori che sembrano spettri. Volti e occhi di “gnomi” italiani del primo Novecento che si calavano nelle viscere del West Virginia e della Pennsylvania. In Illinois. Alabama, Colorado e Wyoming, Utah, Ohio e Kentucky. “Monongah!” è un volume che segue il cammino della speranza di alcune centinaia di emigranti dell’Italia centrale e meridionale, capitati sui monti Appalachi, terra ricca d’antracite e morte. Opera nata e sviluppatasi a partire dal 2003, prima come racconto pubblicato nel 2005, poi completata da elementi archivistici e storici che ne fanno uno dei ritratti più veri e toccanti dell’Altra Italia, quella che, superato l’Atlantico, si lasciò dietro per sempre la propria Patria. Il 6 dicembre 2007 ricorre il centenario del maggiore disastro minerario americano, forse il più grave in assoluto nella storia estrattiva, ricordato con il nome della località in cui esplosero contemporaneamente due pozzi carboniferi: Monongah, un centro minerario con circa 3000 abitanti e una numerosa colonia italiana. Il 5 dicembre 1907 le miniere nr. 6 e 8 erano rimaste chiuse, per via della festa congiunta di San Nicola e Santa Barbara. La Fairmont Coal Company, sussidiaria della Consolidation Coal Company, per risparmiare non mantenne in funzione il sistema di aerazione. L’esplosione, alle 10.30 del mattino, fu violentissima e avvertita a chilometri di distanza. Il 19 dicembre 1907 un’altra deflagrazione porterà morte e lutto a Darr, in Pennsylvania. Anche qui numerose le vittime italiane, tra le circa 400 che si contarono. L’elenco delle tragedie minerarie americane di quel periodo, simile a un martirologio, è una lista atroce e infinita. Ricordiamo i 22 morti di Bluefield (4 gennaio 1906); i 18 morti di Detroit (18 gennaio 1906); i 22 della miniera Parral (8 febbraio 1906); i 28 di Fayetteville (25 marzo 1906); i 28 di Pocahontas (3 ottobre 1906); i 12 di Buckhannon (20 gennaio 1907); gli 80 della miniera Sewart di Fayetteville (29 gennaio 1907). E, per l’Europa, il migliaio di Courrières (Francia settentrionale) del marzo 1906.  Secondo fonti attendibili, circa 1000 persone persero la vita nella sciagura di Monongah. Alle vittime ufficiali sono da aggiungere bambini, amici e aiutanti che ogni minatore “regolarmente assunto” portava con sé, senza l’obbligo di comunicarlo al datore di lavoro. Per via del cottimo e per un maggiore guadagno: in seguito si sarebbero divisi il salario. “Buddy system”, lo chiamavano. Il “sistema dell’amico o del compare”. Con le 362 vittime ufficiali, secondo il Monongah Mines Relief Committee, di nazionalità americana, tra le quali molte di colore, polacca, turca, slava o russa, ungherese, irlandese, lituana, scozzese, si rinvengono 171 italiani provenienti dal Molise, Puglia, Calabria, Abruzzo, Basilicata, Campania, Veneto. E un piemontese, originario di San Rocco di Premia: Vittore d’Andrea. I corpi ricuperati riposano sulla collinetta del “Calvario”. Degli attimi che seguirono quella tragedia restano moltissime fotografie, in bianconero o in un tenero seppia, scattate da fotografi che, immediatamente, le trasformarono in cartoline molto richieste che invasero l’America del disinganno. “Monongah!” segue la colonia di minatori italiani passo passo. Sull’Oceano, nelle gallerie e “al giorno”, grazie a diversi documenti rintracciati dall’autore nel Center for Migration Studies di New York e riferibili alla mano e alla penna di don Giuseppe d’Andrea, il sacerdote scalabriniano che operò nel centro minerario appalachiano per una decina d’anni, fratello di Vittore d’Andrea. Il sindaco del comune di Premia, Elio Martinetti, scrive nella presentazione del volume: “Il centenario del dramma di Monongah ci offre il modo di ricordare questi nostri due concittadini, insieme alla comunità italiana e alle sue vittime. Senza dimenticare tutti coloro che, sul finire del 1800 e nei primi decenni del 1900, abbandonarono la Valle Antigorio per i Paesi transoceanici. Abbiamo scelto di ricordarli con un’opera di narrativa, basata su elementi storici, corredata da diverso materiale fotografico. Pagine che coinvolgeranno, non solo emotivamente, chi si avvicina a Monongah ricordando idealmente tanti nostri concittadini emigrati Oltreoceano”. Luigi Rossi, grazie alla narrativa, ci permette quasi di rivivere a Monongah. Partecipare a momenti dedicati alla religione e all’organizzazione sindacale, all’apprendimento della lingua americana o alla nascita della banda musicale Giuseppe Verdi, perché su Monongah si sparsero musica e suoni prodotti da una banda musicale tutta italiana. Ai dolori e gioie di questa comunità, come alle speranze e illusioni. Tra le pagine si rinvengono rimandi a quegli italo-americani che credevano nei movimenti sindacali, nell’unione e nella riscossa sociale. Accenni a un’Italia che prende coscienza di sé al di là dell’Oceano: incontri, giornali, scioperi. Come quello di Lawrence (1912) o a Ludlow (1914), dove i miliziani spararono sugli scioperanti, uccidendo anche donne e bambini. Un movimento che donerà figure come Sacco e Vanzetti e che è alle radici dell’America dei diritti e dell’uguaglianza, del pacifismo e della libertà. Nell’epilogo di “Monongah!” il giovane narratore, originario di San Giovanni in Fiore, rimanda a chi colse la tragedia dell’emigrazione come un momento di riscatto e rinascita. Dove la “nuova lingua” è la chiave per una “nuova vita” in un “Nuovo Mondo”. Luigi Rossi, storico della presenza italica e italiana nell’area di lingua e cultura tedesca, non è nuovo a simili operazioni letterarie, incuneate tra storia e narrativa, e che abbracciano le vicende della presenza latina, italica e italiana nell’area della Magna. Nel 1992 pubblicò “J.B.T., verosimile vita di Johannes Baptista Traglio”, un peltraio dell’Alta Valsesia che lavorò e visse nella seconda metà del 1800 a Colonia e in Vestfalia, e nel 1995 apparve “J.P.F. – Aqua mirabilis”, dove prendeva forma la figura del vigezzino Johann Paul de Feminis e la creazione e successo della futura Acqua di Colonia. Tra queste due opere, interventi di carattere sociologico e storico, come “L’Operaio Italiano”, monografia sull’omonimo periodico in lingua italiana stampato dai Liberi Sindacati Tedeschi ad Amburgo tra il 1898 e il 1914, e “Ci conosciamo da tanto”, cd-rom in italiano e tedesco che racconta l’avventura latina, italica e italiana nell’area di lingua e cultura tedesca. “Monongah!” si può considerare il completamento d’una trilogia che vede l’emigrazione dal Piemonte orientale riversarsi in Europa e nelle Americhe. In questo suo ultimo lavoro, patrocinato dal Consiglio regionale del Piemonte, dalla Provincia del Verbano–Cusio–Ossola e dal Comune di Premia, l’emigrazione proveniente dall’Italia settentrionale si amalgama Oltreoceano con quella dell’Italia meridionale, quasi a formare – al di fuori dei confini nazionali – un’altra nazione. Luigi Rossi ricorda che “le vittime di Monongah appartengono alla generazione dei dago, guinea, wop, chianti  che generò, allattò e crebbe personaggi come Pietro Di Donato, Pascal D’Angelo e John Fante. E chi, con un cognome italico simile a un marchio, si troverà a vivere e operare in letteratura, cinema, teatro, imprenditoria, politica, altiforni, tratte ferroviarie, cantieri edili. Vivendo con dignità e orgoglio in quel Nuovo Mondo che sostituiva per sempre una Patria matrigna”. (Cog)

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