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America e Cina, ovvero
Hegel e la geopolitica

America e Cina, ovvero <br> Hegel e la geopolitica

di Giuseppe Perrotta

La filosofia, confusamente avvicinata al liceo, è presto uscita dal mio già scarso bagaglio culturale, lasciando però impresse alcune affermazioni basilari come “panta rei”, “cogito ergo sum” e “ciò che è reale è razionale”, che aiutano il mio cervello al confronto con le logiche del mondo esterno. E’ proprio alla potente affermazione di Hegel che devo far ricorso per non arrendermi di fronte alla sconvolgente evoluzione geopolitica che sembra talvolta uscire dalle logiche che, per quel che ho vissuto e per quel che ho studiato di storia, fanno ormai parte di me.
In queste logiche rientra pure il fatto che ci troviamo all’interno di uno dei momenti di svolta della storia, come la caduta dell’impero romano o la rivoluzione francese, o addirittura dell’evoluzione del genere umano, come la scoperta della ruota, della scrittura o del telegrafo. Ci rientrano anche tantissime cose che accadono, come l’incapacità degli stati europei di aggregarsi, che ricorda quella delle polis greche; il risveglio delle spinte egemoniche russe e turche, che richiamano zar e sultani; i conflitti interreligiosi islamici, simili alle guerre altrettanto sanguinose di qualche secolo fa fra protestanti e cattolici.
Ci sono però domande alle quali quel bagaglio culturale non sa rispondere e che sembrano essere propedeutiche alla comprensione di molte cose che stanno accadendo. Per esempio: come si concilia il trumpismo con la posizione geopolitica americana? Qual è il rapporto fra gli interessi reali della superpotenza occidentale con i revanscismi russo e turco? Qui mi soccorre Hegel: “Se quel che sta accadendo è realtà, la filosofia (il mio cervello in questo caso) ha il dovere di scoprirne la razionalità”.
Mi ha aiutato a riflettere un libro ”Lezioni Cinesi“ di Francesco Grillo, un economista formatosi nelle più avanzate scuole di pensiero occidentali, che oggi insegna in una università cinese e che vi consiglio di leggere. La sua è un’analisi critica del confronto fra l’America e la Cina che ha aperto nella mia mente uno spiraglio sulla razionalità di ciò che sta accadendo. Se dovessi materializzare quel che mi si è chiarito, ancora a livello di abbozzo, cosi come uno schizzo iniziale confuso di chi si proponesse di disegnare un oggetto, scriverei, senza alcuna pretesa di aver scoperto chissà che, quanto segue.
Di fronte alla epocale svolta ecologica e tecnologica il mondo si presenta diviso in due realtà: da un lato ci sono gli americani e i cinesi e dall’altro tutto il resto. Ciò che caratterizza i due imperi è che gli altri non hanno è la possibilità di studiare a fondo e sperimentare gli aspetti complessissimi di questa svolta per tentare di dominarla. Questa possibilità, oltre che all’ampiezza delle economie dei due imperi, è legata strettamente alla inattaccabilità delle fortezze  dalle quali entrambi sono protetti ed in cui siedono i loro pensatori e sperimentatori. Troppo forti militarmente gli americani e troppo vasto e strutturato l’impero cinese. In quei laboratori si affronta seriamente un futuro nel quale il potere sarà legato alle energie alternative, al lavoro robotico, alla capacità di gestione politica dei popoli diversa da quella attuale, ed al dominio degli spazi.
Su questi temi il resto del mondo è al medio evo. Gli europei hanno costruito a Bruxelles una sorta di corte di Bisanzio mentre in Asia, in Africa e nel sud America la gente è nelle mani di piccoli o grandi capitani di ventura ai quali non manca carisma, pelo sullo stomaco e smania di potere ma che confinano le fortune dei  popoli che li seguono nei limiti della propria esistenza. E’ un limite che riguarda anche Putin, ottimo  espansore della propria satrapia, ma  strozzatore  del futuro della Russia che avrebbe le dimensioni geografiche e le ricchezze per essere della partita ma che è posta al servizio degli interessi economici e della bulimia oligarchica appunto di un satrapo. I territori che questi avventurieri oggi si sforzano di dominare nei prossimi decenni saranno americani o cinesi.
La posizione cinese, sapientemente descritta nel libro che ho richiamato, rientra facilmente nella chiave di lettura che ho cercato di descrivere. Più complesso è comprendervi, sempre per dar retta ad Hegel, l’America di Trump. Per cercare di farlo bisogna separare da lui il potentato americano che nella propria fortezza sta studiando come dominare il futuro. A pensarci bene esso non è disturbato dall’avere alla Casa Bianca un capopopolo simile agli altri megalomani. I suoi traffici con Putin ed il suo probabilmente conseguente disimpegno da gestioni costosissime di realtà complesse aiuta a concentrare risorse sulla preparazione di un confronto futuro che sarà su temi ben diversi da quelli attuali. Nei tempi peraltro non troppo lunghi nei quali altre deterrenze la sostituiranno a quella atomica,  la fortezza America non è a rischio.
Ho fatto un po’ fatica ma un primo abbozzo di razionalità a quel che accade me lo sono dato. (red)

 

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