Roma, 30 set - “L’illusione di Dio”, “Trattato di ateologia”, “Corso accelerato di ateismo”: se questa è davvero, come spesso si sostiene, l’epoca del ritorno delle religioni, allora qualcuno dovrebbe avvertire le librerie, che ostinatamente continuano ad esporre titoli come quelli citati. E se invece, contrariamente alle sbrigative diagnosi di molti analisti, si fosse piuttosto di fronte ad un “ritorno degli atei”, come sosteneva già Antonio Carioti in un articolo apparso sul Corriere della Sera nel dicembre del 2006? O forse revival religioso e nuovo ateismo fanno parte di un unico orizzonte culturale in cui “tutto si tiene”? Sia come sia, l’editoria italiana sembra di recente invasa da volumi che si pongono in maniera critica verso il ruolo sociale della religione o contro i suoi stessi contenuti di natura teologica, dottrinale e filosofica. Nella classifica dei venticinque libri più venduti questa settimana dall’importante portale di vendite on line www.internetbookshop.it figurano ben tre saggi di impostazione ateo-razionalistica. In diciassettesima posizione troviamo ad esempio il volume del noto scienziato Richard Dawkins intitolato “L' illusione di Dio. Le ragioni per non credere”, (Mondadori). Dawkins, noto per la sua visione dell’evoluzione basata sulla nozione dell’“egoismo del gene”, sostiene una tesi semplice: Dio non esiste e la fede in esso è illogica, sbagliata e potenzialmente mortale. Agli occhi del divulgatore scientifico britannico ogni religione condivide l’errore fondamentale dell’illusoria credenza nell’esistenza di Dio, e, con essa, la pericolosa sicurezza di conoscere una verità indiscutibile perché basata su un fondamento metafisico. Poche posizioni più in basso nella classifica di Ibs troviamo invece il saggio di Piergiorgio Odifreddi lapidariamente intitolato “Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici)”, (Longanesi). Il matematico e storico della scienza ribalta la tesi di Benedetto Croce, che nel 1944 dava alle stampe il suo “Perché non possiamo non dirci cristiani”, e lo fa attingendo direttamente alle sacre scritture. Più politico-sociale è invece il discorso portato avanti da Christopher Hitchens nel suo “Dio non è grande. Come la religione avvelena ogni cosa” (Einaudi), in cui partendo dall’attualità politica e dallo “scontro di civiltà” in atto si conclude che la religione non genera che oscurantismo, superstizione, intolleranza, senso di colpa e terrore verso la sessualità. Ma nelle librerie si trovano anche “Rompere l’incantesimo” di Daniel Dennett (Raffaello Cortina), che inquadra la religione in una inedita chiave “evoluzionistica”, il “Trattato di ateologia” di Michel Onfray (Fazi), che indaga la “fisica della metafisica” ispirandosi a Bataille, e “Lo spirito dell’ateismo” di André Comte-Sponville (Ponte alle Grazie), che intende illustrare i lineamenti di una “spiritualità senza Dio”. Più “pedagogica” l’impostazione del saggio di Antonio López-Campillo e Ignacio Ferreras, che pubblicano con Castelvecchi un “Corso accelerato di ateismo”. L’ateismo, sostengono gli autori, non sostituisce un pregiudizio ad un altro né istituisce una contro-chiesa, ma si basa piuttosto su un pensiero critico, mai fondamentalista e sempre aperto alla discussione. Un approccio diverso è invece quello adottato da un interessante saggio uscito nel 2006 (“Babbo Natale, Gesù adulto. In cosa crede chi crede?”, Bompiani), in cui il filosofo torinese Maurizio Ferraris, dimostra come molti sedicenti credenti non conoscano neppure l’Abc del catechismo della fede che dicono di praticare e che, anzi, in termini teologici la maggior parte di loro sia piuttosto marcionita, monofisita, manichea, nestoriana, ortodossa, protestante o... musulmana. Il cristianesimo – è la tesi del libro - diviene quindi un contenitore neutro in cui ognuno finisce per versare le proprie personali opinioni e idiosincrasie, a prescindere da ogni vincolo dottrinale. Ma quando una religione si fa semplice buon senso spicciolo forse dell’ateismo non c’è già più bisogno.
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