Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

Firenze: Niobe e
“Il mito ritrovato”

Mostre
Le grandi mostre in programma in Italia e quelle che hanno l'Italia, attraverso i suoi grandi artisti, come protagonista nel mondo. Lo "Speciale mostre" è un viaggio tra capolavori, opere d'avanguardia e sperimentali, pittura e scultura, memoria e identità, storia e filosofia, un tributo all'arte e ai suoi protagonisti e un modo per scoprire quanto di buono fanno le istituzioni nazionali e locali per il nostro patrimonio culturale e di creatività.

Una delle sale più amate degli Uffizi, quella della Niobe, trova nuova vita e diventa argomento di confronti stilistici tra sculture nella mostra “Il mito ritrovato”, fino al 15 marzo. I Niobidi dagli Horti Lamiani e dalla villa di Valerio Messalla Corvino a confronto, con i recenti ritrovamenti di altre statue dello stesso soggetto, vicino a Ciampino, alle porte di Roma. Nel 2013, esattamente 430 anni dopo il ritrovamento delle 13 statue del gruppo dei Niobidi non lontano da San Giovanni in Laterano, sette sculture raffiguranti lo stesso mito sono state rinvenute nei resti di quella che, con ogni probabilità, fu la villa di Valerio Messalla Corvino, posta nei pressi dell’attuale Ciampino. Le statue, che ornavano il perimetro di vasche, ripropongono il già ben noto legame fra questo soggetto e la decorazione di grandiosi ninfei, come era appunto quello degli Horti Lamiani, al cui interno furono trovate nel 1583 le sculture oggi agli Uffizi. L’eccezionale possibilità di porre a confronto i marmi di Ciampino con quelli appartenuti all’antica collezione medicea illustrerà uno dei temi portanti della propaganda augustea, il mito di Niobe punita, e la sua ripresa nell’arredo di Horti e Ville del patriziato. La moderna ricerca archeologica consentirà così di fare luce e chiarezza su una scoperta di oltre quattro secoli fa, mentre i marmi fiorentini completeranno la serie di Ciampino con tipi e modelli statuari lì assenti, restituendo, nel loro insieme, un’eco della caleidoscopica ricchezza scultorea dei luoghi di piacere della Roma imperiale.

FIRENZE: DA ARETINO AI SOFFITTI-CIELO DEL RINASCIMENTO
Un centinaio tra dipinti, sculture, oggetti di arte applicata, arazzi, miniature e libri a stampa - fino al 3 marzo, nella Aula Magliabechiana, della Galleria degli Uffizi di Firenze - ricostruiscono il mondo di un grande intellettuale del Cinquecento, Pietro Aretino (1492-1556). Esposte opere celeberrime, da Sebastiano del Piombo a Tiziano, oltre a manoscritti e oggetti prestati da musei di tutto il mondo, che segnano l’affermazione della cosiddetta “Maniera moderna” nell’arte. La mostra “I Cieli in una stanza. Soffitti lignei a Firenze e a Roma nel Rinascimento”, fino all’8 marzo, nella Sala Detti e Sala del Camino, illustra i soffitti lignei a cassettoni, chiamati “cieli” nel Rinascimento. Elementi costruttivi e ornamentali dello spazio interno, i soffitti sono un compendio di tecnica, di arte e di rappresentazione simbolica, che attualizza la cultura antica, nella rifondazione che tra Quattro e Cinquecento interessa chiese e palazzi a Firenze e a Roma. Esposti disegni in gran parte provenienti dalla raccolta degli Uffizi, che illustrano prototipi antichi, dalla Domus Aurea al tempio di Bacco a Roma; progetti dei Sangallo, di Vasari e bottega, di Michelangelo, di Zucchi, di Maderno e altri; le monumentali capriate portanti. Arricchiranno la mostra dipinti, incisioni, modelli e autentici lacunari rinascimentali. Dispositivi interattivi mostreranno soffitti lignei di Roma e Firenze, scelti tra i più belli e importanti.

ROMA: MONUMENTALE ROBERT MORRIS
La mostra “Robert Morris. Monumentum 2015 – 2018”, fino all’1 marzo alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, è la prima dedicata a questo maestro dell’arte contemporanea dopo la sua morte, avvenuta nel novembre 2018, e remde visibili opere mai esposte prima in Europa, dando forma a quella che era stata la volontà dello stesso Morris di presentarle proprio presso la Galleria Nazionale nella forma ora scelta. Spicca la grandiosità dei gruppi scultorei appartenenti alle due serie Moltingsexoskeletonsshrouds, opere realizzate in tela belga bagnata in una particolare resina e apposta su modelli per ottenerne la forma, e Boustrophedons, opere in fibra di carbonio, che racchiudono l’estrema riflessione dell’artista sulla morte, consegnata a sculture dall’impatto visivo e emotivo straordinario. Una mostra che getta nuova luce sul lavoro legato all’ultima stagione dell’artista, un’estrema ricerca avviata da quesiti di carattere esistenziale che si riverbera sulle possibilità tecniche con cui ha esplorato il corpo in movimento nella scultura, nel contesto di un confronto personale con grandi artisti del passato, sentiti come ultimi e fondamentali riferimenti.

VICENZA: I TAHITIANI DI GAUGUIN
Il ciclo di iniziative espositive realizzate per festeggiare i 20 anni dall’apertura delle Gallerie d’Italia - Palazzo Leoni Montanari, sede museale di Intesa Sanpaolo a Vicenza, si conclude con la presentazione, fino all’8 marzo 2020, dell’opera di Paul Gauguin “Eiahaohipa (Non fanno nulla. Tahitiani in una stanza)”, proveniente dal Museo Statale di Belle Arti Puškin di Mosca. L’opera è stata eseguita da Gauguin nel 1896, quando, rientrato da poco dalla Francia a Tahiti, si trova a fronteggiare uno stato di indigenza economica, gravi problemi di salute, e un conseguente sconforto psichico. Il titolo usuale, Tahitiani in una stanza, non restituisce il senso dell’iscrizione Eiahaohipa in lingua maori che compare nel dipinto e che allude piuttosto all’indolenza o libertà dal lavoro delle due figure ritratte. La coppia incarna la condizione utopica di un armonico stato di natura, di una libertà di essere e agire secondo le proprie inclinazioni. Sullo sfondo si staglia la figurina di un osservatore, sostanzialmente estraneo alla scena: è presumibile che si tratti dell’artista stesso, preceduto, sulla soglia della stanza, dal suo cane, una comparsa ricorrente di tanti altri dipinti di quegli anni. Nel 1891 Gauguin era salpato per la prima volta per la Polinesia, da una parte attratto dall’alterità di scenari esotici, dall’altro, interessato a rigenerare i linguaggi pittorici tradizionali grazie al contatto con una cultura ritenuta ‘primitiva’, vergine e autentica. Il pressoché unanime rigetto incontrato a Parigi dalle opere eseguite nel primo soggiorno, fra 1891 e 1893, lo induce ora a un distacco radicale dalla madrepatria. Tahiti acquisisce definitivamente una dimensione immaginaria, si configura come l’altrove di un paradiso immune dalle costrizioni della civiltà occidentale, con le sue logiche di falso progresso, dominio e sfruttamento.

REGGIO EMILIA: IL MISTERIOSO RITRATTO DEL CORREGGIO
Fino all’8 marzo i Chiostri di San Pietro a Reggio Emilia accolgono uno dei capolavori del Rinascimento: il Ritratto di giovane donna di Antonio Allegri detto il Correggio (c.1489-1534), il più importante ritratto eseguito dal pittore. L’opera, eccezionale prestito dal Museo Ermitage di San Pietroburgo, giunge in una delle terre d’elezione dell’artista reggiano, a cinque secoli dalla sua esecuzione, attorno al 1520, grazie a un accordo firmato dalla città di Reggio Emilia e dalla Fondazione Palazzo Magnani con l’istituzione russa. Il capolavoro del genio del Rinascimento viene ospitato in un contesto architettonico d’eccezione, frutto dell’impronta di un altro artista rinascimentale assoluto, quale fu Giulio Romano. Nulla si sa della committenza e delle successive vicende collezionistiche del quadro: la sua prima apparizione moderna è nella raccolta del principe Jusupov nella Russia dei primi anni del Novecento. Circa un secolo fa, gli studiosi si accorsero di uno degli aspetti più singolari del dipinto, ovvero della scritta che corre lungo il bordo della tazza d’oro nelle mani della ragazza: una citazione dell’Odissea di Omero che testimonia quanto il committente appartenesse a un contesto culturale di alto livello, appassionato prima di tutto di letteratura classica. Unitamente al dipinto sarà esposta una pregiata edizione del 1524 dell’Odissea di Omero, grazie al prestito concesso dalla Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia, che permetterà di evidenziare il passo a cui il dipinto fa riferimento. L’appartenenza della giovane donna a un rango elevato è dimostrata, inoltre, dalla composta eleganza degli abiti, dalla sobria presenza di gioielli, dall’elaborata decorazione dell’acconciatura: si tratta di forme tipiche della moda femminile dei primi del Cinquecento, ma trattate con grande originalità. I tentativi di individuare la donna sono iniziati presto, e vi si cimentò per primo Roberto Longhi, uno dei più importanti storici dell’arte italiani, che volle vedere nella dama di Correggio la poetessa Veronica Gambara; altri studiosi, anche di recente, hanno proposto strade diverse per individuare la gentildonna.

TORINO: IL PIEMONTE DI AUGUSTO CANTAMESSA
La mostra fotografica “Atmosfere piemontesi”, fino al 6 marzo a Palazzo Lascaris, sede del Consiglio regionale del Piemonte, nell’ambito delle celebrazioni per il 50mo anniversario dell’istituzione della Regione Piemonte, presenta un nucleo di una trentina di immagini in bianco e nero realizzate dal fotografo torinese Augusto Cantamessa (1927-2018) che ipercorrono la storia di oltre mezzo secolo della regione e restituisce immagini colme della bellezza del territorio che nel tempo muta e si trasforma insieme ai suoi abitanti. Tanti sguardi su innumerevoli paesaggi, sulle campagne e sui paesi della provincia e anche su Torino con le sue prestigiose piazze, i suoi quartieri caratteristici, le luci dei Luna park, i giochi dei bambini sulla neve e le zone periferiche avvolte dalla nebbia. Gli scatti di Cantamessa raccontano un universo di vita vissuta in Piemonte, dagli anni Cinquanta ad oggi, da cui si percepisce una forte appartenenza ai luoghi, attraverso la rappresentazione del paesaggio, di intensi ritratti di contadini, donne e bambini, di operai alle prese con l’edilizia popolare ma anche di persone che passeggiano per le strade della città.

MILANO, I “FRAMMENTI DA BISANZIO” DI MARIANI
Le Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo, a Milano, ospitamo, nella sede di piazza Scala, fino all’1 marzo, una personale di Umberto Mariani, a cura di Francesco Tedeschi, che segue le recenti da lui realizzate a Ravenna e Roma nel 2018 e all’Ermitage di San Pietroburgo nel 2019, tutte intitolate “Frammenti da Bisanzio”, nelle quali l’84enne artista milanese ha voluto rimarcare le relazioni della sua opera con la tradizione culturale e figurativa proveniente dal mondo dell’Oriente bizantino. Mariani, autore di opere fondate su un principio di composizione del colore e della materia che prende forma dalle pieghe dei fogli di piombo con cui da tempo opera nella serie denominata La forma celata, considera la sua opzione per la monocromia come un modo di rivelare, attraverso la combinazione dei colori e delle forme, una concezione astratta, trascendente e simbolica. A rimarcare questo dialogo a distanza, avviato nelle pagine del catalogo della mostra di San Pietroburgo lo scorso anno, nella Sala delle Colonne delle Gallerie d’Italia in piazza Scala le opere di Mariani sono affiancate da alcune delle più belle e originali icone russe della importante raccolta presente nella sede di Vicenza dei musei di Intesa Sanpaolo. L’opera di Mariani è rappresentata anche da due opere della serie concepita negli anni ’70, “Alfabeto Afono”, in cui le lettere “fasciate” rinunciano al loro valore di segno per essere parte di una silenziosa forma di negazione della parola, e da un grande dittico, “Teorema. Grazioso e antigrazioso”, in cui due diverse modalità di usare il monocromo nero introducono un confronto con il vuoto di una tradizione metafisica che dall’Oriente si rispecchia nella cultura contemporanea”.

MILANO: DE LAZZARI E I SEGRETI DELLA NATURA
Fino al 6 marzo la Fondazione Adolfo Pini di Milano presenta “Giorni segreti” di Giovanni De Lazzari, progetto site- specific che mette a confronto i diversi nuclei intorno a cui si sviluppa la ricerca dell’artista. Accanto a disegni, collage, opere pittoriche e scultoree, sono esposti una selezione di taccuini, attraverso i quali è possibile ricostruire le diverse tappe del lavoro dell’artista, frutto di una lunga meditazione solitaria a partire dal 2008, seguono il filo conduttore della relazione con la natura. Attraverso il tratto della matita, lo strumento più assiduamente utilizzato dall’artista, immagini e testi prendono forma come miniature nelle pagine dei taccuini che De Lazzari realizza in una pratica quotidiana, fino ad arrivare alla scala architettonica nel wall-drawing realizzato per la mostra. Gli elementi vegetali e animali, ricorrenti nei lavori esposti, stabiliscono un dialogo inedito con le decorazioni e gli arredi della casa-studio, oltre che con i dipinti del pittore Renzo Bongiovanni Radice. È il caso del trittico di disegni Abbracci (2013), in cui l’intreccio tra due serpenti crea un’immagine potente sospesa tra amore e morte. Fulcro della poetica dell’artista è una riflessione sul significato delle immagini, che egli riporta alla radice etimologica del termine. “Pensando alla zoologia mi piace paragonare lo sviluppo delle immagini a quello di alcuni insetti, per i quali lo stadio conclusivo della loro metamorfosi è definito imago”, afferma l’artista.

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