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Le giornaliste / 2 – Lara e Serao, le prime “star”

Ritratti
Una galleria giornalistica di ritratti femminili legati all'Unità d'Italia. Donne protagoniste nell'economia, nelle scienze, nella cultura, nello spettacolo, nelle istituzioni e nell'attualità. Ogni settimana due figure femminili rappresentative della storia politica e culturale italiana passata e presente.

Le giornaliste / 2 – Lara e Serao, le prime “star”

La fragorosa risata e il chiassoso gesticolare della sgraziata Matilde Serao; gli occhi azzurri della contessa Lara che gioca, maliziosa animalista ante-litteram, con l’inseparabile topolino bianco nascosto nella manica. La cronista di razza che fugge da un anonimo lavoro da telegrafista, fonda e dirige giornali all’ombra del marito Edoardo Scarfoglio, che non la ama e la tradisce e, l’anno prima della morte, il 1926, con il Nobel per la letteratura a Grazia Deledda, vede sfumare ogni possibilità di vedere il suo “II Paese di cuccagna” diventare il simbolo della letteratura verista. La regina del bon ton che fugge dallo scandalo dell’amante ucciso dal marito bersagliere e finisce uccisa lei stessa con un colpo di revolver da un amante, di 20 anni più giovane, e le sue spoglie gettate in una fossa comune. Le due più famose giornaliste della neo Italia unita legate da vite tormentate. E da una stessa vena spregiudicata che impone le loro firme in un mondo dominato dagli uomini, quello di una nascente industria editoriale fiorente di talenti letterari in un paese in cui i due terzi della popolazione è analfabeta. La 26enne grassoccia Matilde, nel 1882, arriva da Napoli a Roma e conquista l’infaticabile Luigi Arnaldo Vassallo, alias Gandolin, anima della rivista Capitan Fracassa - cenacolo del nuovo giornalismo - e diventa l’esuberante Ciquita, cronista dei salotti e dei teatri, al fianco del giovane Gabriele d'Annunzio e dello spregiudicato Edoardo Scarfoglio, alias Papavero e poi Tartarin, incallito dongiovanni, che finisce per metterla incinta e quindi la sposa tre anni dopo, per non vedersi chiusi i salotti del bel mondo. Creando così un sodalizio lavorativo che gli permetterà di diventare il giornalista più innovatore del suo tempo. Nel 1881 la 31enne Evelina Cattermole si rifugia nella natìa Firenze dopo che il marito l’ha ripudiata. Porta con sé in uno scrigno le reliquie del suo amante, Giuseppe Bennati di Baylon, biondo e bellissimo nobile decaduto: le lettere, una ciocca di capelli, un brandello della camicia sul quale è caduto il sangue della sua ferita mortale. Il marito - figlio del giurista Pasquale Stanislao Mancini e di Laura Beatrice Oliva, poetessa del Risorgimento -, scoperta la tresca, lo ha ucciso con la sua abilità di ex capitano dei bersaglieri (fu alla breccia di Porta Pia) sparandogli un colpo al centro della fronte; l’altro neanche tentando di difendersi. Una romantica leggenda narra che si sia recisa i capelli per unirli alle ghirlande sulla tomba del suo amato. Si conforta dell’amicizia con Giselda Fojanesi, la bella moglie del poeta Mario Rapisardi (da poco diventata amante di Verga), firma il suo primo articolo sul neonato quotidiano "Fieramosca", con il “vedovile” di Lina di Baylon. Inizia così una carriera che la vede, tra le prime donne iscritte all’albo della stampa, scrivere oltre mille pezzi, regina assoluta della cronaca del bel mondo. E’ l’incontro nel 1883 con Angelo Sommaruga che la fa diventare la Contessa Lara. Lo pseudonimo ispirato al byroniano pirata spagnolo piace a quello che è il creatore delle più avanzate riviste del suo tempo - capaci di sfidare i piccoli imperi di Treves e Sonzogno -  come la Farfalla, la “voce” della Scapigliatura, l’elegantissimo quindicinale in stile liberty Cronaca Bizantina e il Nabab, il Figaro italiano, su cui scrivevano gli scrittori di cui era editore: Capuana, d’Annunzio, Carducci, de Amicis. Ed anche la Contessa Lara, con le sue poesie, entra nella sua “scuderia”. E le sue rubriche di moda, arte, piccola posta sono richieste dai maggiori giornali del tempo: il “Fanfulla della Domenica” che vede alla direzione anche Luigi Capuana e in redazione Vamba, il creatore del giornalino di Gian Burrasca; il Secolo di Edoardo Sonzogno, il più importane quotidiano milanese (e del paese dopo La Nazione di Firenze, il primo grande quotidiano nato in Italia, nel 1859 ad opera di Bettino Ricasoli, lo stesso anno in cui esce il New York Tribune, il primo giornale che titola le interviste, seguito dal New Morning Herald, che si inventa le edizioni straordinarie e i corrispondenti esteri ed il New York Times, primo giornale “bipartisan”). Ma Eva firma anche sul Corriere della Sera, fondato da Eugenio Torelli-Viollier, voce del liberalismo moderato, il primo quotidiano italiano ad usare le rotative e sull’altrettanto neonato Messaggero di Roma. E sui settimanali preferiti dagli italiani (insieme alla Domenica del Corriere), “L'Illustrazione italiana” di Treves e “La tribuna illustrata”, sui quali le signore dell’alta borghesia seguivano assidue le sue rubriche “Cronaca femminile” e "Il salotto della signora", dispensatrici di consigli di bellezza e di stile. Lei che, trasferita dal 1886 a Roma, riuscì in un giovane redattore del Nabab, il siciliano Giovanni Alfredo Cesareo (che divenne poi senatore) a frenare una certa esuberanza sessuale della quale avevano tratto godimento Verga, Capuana, D’Annunzio (che le dedicò una lasciva poesia). I due vissero insieme per una decina di anni, il loro salotto romano era vicino piazza del Popolo poi, nel 1894, l’incontro, lei ormai 45enne - quando il direttore De Gubarnatis le affida la rassegna di moda della rivista “Vita Italia” - con il 25enne napoletano Giovanni Pierantoni, ex impiegato delle ferrovie che si propone come illustratore. E’ amore, poi - quando De Gubernatis lo licenzia - è dipendenza morbosa del giovane che prende a sfruttare Eva, forse anche a picchiarla. Fino all’ultimo tragico litigio, la sera del 30 novembre 1896. Lei chiede la rottura, lui impugna il revolver che lei tiene nel comodino e le spara. Agonizzerà per un giorno, morendo tra le braccia della sua migliore amica, la 37enne Olga Ossani, alias Febea, già amante di D'Annunzio una decina di anni prima, poi lasciato per sposare Luigi Lodi, alias Saraceno, uno dei maggiori giornalisti dell’epoca. Tra i crisantemi della camera ardente sospirò tutta la Roma che contava, anche Capuana e Pirandello. Il processo a Pierantoni, difeso da Salvatore Barzilai, un principe del foro, fu uno dei più eclatanti dell’Itala unita: sarà condannato a 11 anni con l’attenuante della “grave provocazione”. Intanto i beni della Contessa Lara, per la notevole cifra di 72mila lire, scompaiono, forse per mano del notaio testamentario, insieme al suo archivio privato ed ai soldi raccolti con una campagna stampa per dare degna sepoltura alla regina della cronaca rosa. E le sue spoglie finiscono così in una fossa comune del cimitero romano del Verano. Quando la Contessa Lara muore, Matilde Serao vive la stagione di maggiore successo al Mattino di Napoli, il giornale che insieme al marito ha fondato quattro anni prima. I vecchi aristocratici ed i nuovi borghesi leggono tutto d’un fiato la sua rubrica “Mosconi “ nella quale l’arguzia, la vivacità letteraria e la curiosità da almanacco si fondano in un prodotto editoriale unico. In quello che era uno dei giornali d’opposizione più innovativi, con le prime rotative, la concessionaria esterna di pubblicità, i corrispondenti esteri, i romanzi a puntate: dai Fratelli Karamazov di Dostoevskij a L’Innocente di Gabriele D'Annunzio che era corso da Searo e Scarfoglio quando il suo romanzo era stato rifiutato da Treves per ragioni di moralità. Curiosa l’amicizia del Vate con la coppia, nata nei giovanili anni romani del Capitan Fracassa. E che aveva resistito anche ad un colpo di pistola di Scarfoglio che aveva rischiato di ucciderlo. Quando le diffamazioni a mezzo stampa si risolvevano con i duelli: nel 1886 “La Tribuna” aveva pubblicato il volume di poesie di D’Annunzio “Isaotta Guttaddauro”. E il Corriere di Roma, fondato l’anno prima dai neo-sposi Serao-Scarfoglio aveva risposto sarcastico pubblicando il poema “eroi-comico” di tale Raphaele Panunzio dal titolo “Risotto al pomidauro”. D’Annunzio aveva replicato con una lettera tonante e il sanguigno Scarfoglio lo aveva sfidato a duello il 23 novembre 1886 fuori Porta Pia, ferendolo alla terza scarica. Ma il poeta risponde subito alla chiamata, nel 1888, quando Serao e Scarfoglio sono a Napoli alla guida del Corriere di Napoli del banchiere Schilizzi che poi lasciano per dissidi politici (la coppia tende a sinistra) con una mega liquidazione di 100mila lire che permette loro, il 16 marzo 1892, di fare uscire il primo numero del Mattino. Anche qui Matilde è il direttore ombra che permette alla stella di Scarfoglio di brillare. E di collezionare conquiste amorose. L’anno della fondazione del Mattino è anche quello dell’inizio della sua relazione con una “chanteuse” francese, Gabrielle Bessard, da cui nasce una figlia illegittima. Ma Scarfoglio rompe e l’attricetta, il 29 agosto 1894, arriva davanti alla casa Scarfoglio insieme alla figlioletta e si spara un colpo di pistola. Tre giorni dopo la notizia compare sul Corriere di Napoli, infrangendo l’omertoso silenzio sceso sul fattaccio. Il giorno dopo il Mattino è costretto a pubblicare un articolo dal titolo “Il fatto della Bessard e le bassezze del signor Schilizzi”, scritto dallo stesso Scarfoglio. La francese muore il 5 settembre. Matilde decide di allevare la bambina, chiamandola addirittura Paolina, come la madre, accudendola come una figlia, lei che era già madre di 4 figli maschi. Poi, nel 1901, l’amarezza dell’inchiesta del senatore Giuseppe Saredo sulla corruzione nell'amministrazione cittadina che investe anche Scarfoglio e Serao. Il marito difende così la moglie dalle accuse: “Crede il Saredo sul serio che Matilde Serao si sia fatta pagare 200 lire da una guardia municipale per una raccomandazione ad un assessore? No, egli sa che le sarebbe bastato un articolo al ‘Figaro’, per risparmiarsi quest'avvilimento! E crede che abbia venduto a un suonatore di clarinetto per 2.000 lire un impegno problematico? No. Egli sa che dieci giornali di quelli che con più acre ingenerosità gli han fatto coro, gliene offrono di più per un piccolo romanzo, opera di poche notti!”. Tuttavia Matilde non regge allo scandalo. Si dimette dal Mattino e si separa anche dal marito. Ma non molla. Nel 1904, accanto al nuovo compagno, che le dà altri 4 figli, l'avvocato Giuseppe Natale, fonda Il Giorno, che dirige fino al 1927, anno della sua morte, nel quale Matilde riversa tutto la sua sagacità. Scarfoglio risponde, nel 1904, con la raffinata rivista femminile “Regina”. Collaboratori Pascoli, Beltramelli, Di Giacomo. Serao è solo la più importante delle figure di donne al timone dei giornali della Belle Epoque che, a cavallo tra i due secoli, con tripudi di francesismi, toilette e grafiche liberty allietavano le letture femminili, con articoli di moda, novelle, poesie, cronache teatrali. Nel 1871 a Modena Adele Woena fonda la rivista letteraria “L’Aurora” e figura alla guida de “La moda italiana”. Ha 25 anni Maria Antonietta Torriani quando nel 1871  insieme all’amica femminista Anna Maria Mozzoni organizza a Milano un ciclo di conferenze per parlare della condizione femminile. Insegnante, è già stata nel cuore di Carducci, (che le ha dedicato Autunno romantico: “O Jole, Amiam l'ultima volta”). In questo periodo l’incontro con il 33enne Eugenio Torelli-Viollier, napoletano, già segretario di Alexandre Dumas al quotidiano “L'Indipendente” (battezzato da Garibaldi), quindi al Secolo di Sonzogno, diretto da Ernesto Teodoro Moneta, uno dei Mille, primo e unico Nobel per la Pace italiano (nel 1907). La sposa nel 1875 e con lei, l’anno dopo, fonda il Corriere della Sera. Nasce così la famosa firma della Marchesa Colombi non solo come giornalista ma anche prolifica scrittrice (il suo “In risaia” del 1878, con al centro il dramma di una mondina, ispirerà la legge per la tutela del lavoro femminile del 1902). Il matrimonio di Maria Antonietta con Torelli fallisce in pochi anni. Complice il suicidio della nipote adolescente che si getta dalla finestra della sua casa milanese, sembra dopo essere stata sgridata dalla sorellastra del marito, che gli era morbosamente attaccata, per la simpatia che l’uomo dimostrava per la ragazzina. La moglie di Giuseppe Treves, fratello dell'editore Emilio che edita la rivista illustrata Margherita, la 23enne Virginia Tedeschi, nel 1878 prende le redini della rivista che schiera i maggiori nomi della casa editrice: De Amicis, Pascoli, D'Annunzio, Serao, Ada Negri. Con il nome di Cordelia e la crescente fama di scrittrice (il suo Piccolo eroi conta ben 58 edizioni) la dirigerà fino alla sua morte, nel 1916 (e la testata le sopravviverà solo 5 anni). Il suo credo: “Una donna deve avere l'eroismo di fare della casa il centro delle sue aspirazioni”. Tra i collaboratori di Margherita anche Neera, pseudonimo di un’altra scrittrice e giornalista, molto nota al suo tempo, Anna Zuccari Radius che, nel 1890, fonda a Milano il settimanale Vita intima. Espressamente rivolto alle “giovinette italiane”, cui intende offrire una lettura leggera ma educativa, è “il foglio settimanale” Cordelia, tra i più longevi rivolti al mondo adolescenziale (uscito nel 1881 finirà le pubblicazioni nel 1942). Il nome è quello della figlia di Re Lear, è anche quello della figlia del suo fondatore, Angelo de Gubernatis, instancabile promotore di eventi ed iniziative culturali (anche se l’idea della rivista è della sorella Teresa, una istituzione del mondo scolastico torinese, direttrice con il marito giornalista Michele Mannucci della rivista La Famiglia, edita dal 1869 al 1970). A dare l’anima a Cordelia sarà, dal 1884 e per 27 anni la maestra fiorentina Ida Baccini (autrice del bestseller “Le memorie di un pulcino” e de “La fanciulla massaia”, su tutti i banchi di scuola). Grazie alle sue trovate - “la palestra delle giovinette”, la “pagina delle maestre”, la “piccola posta” - nel 1911, anno della sua morte, le cordeliane erano arrivate ad essere 10mila e tale era il successo della pagina di consigli letterari che si tenevano correzioni dei manoscritti per corrispondenza ed ogni maestra consultava sempre la rivista per preparare le sue lezioni. Sarà proprio una delle scoperte editoriali della rivista, Jolanda, a far sopravvivere la fortuna della rivista alla morte della sua direttrice. Anche lei scrittrice di successo di romanzi per fanciulle (“Le tre Marie” vende oltre 100mila) ma anche di un sorprendente “Eva Regina”, manuale di consigli per le “sposine” che tratta di temi sessuali e anche di divorzio. Alla prima stagione di Cordelia collabora assiduamente Sofia Albini Bisi, che nei suoi articoli si firma Donna Conny, pedagogista milanese, cui si deve il battesimo letterario di Ada Negri con un suo articolo sul Corriere della Sera del 1891 e la prefazione a “Fatalità” (considerato il primo romanzo femminile operaio): nel 1893, 37enne, tenta un esperimento simile fondando a Milano la Rivista per le signorine, sulle quali firmano Grazia Deledda e l’amico Antonio Fogazzaro; quindi nel 1907 Vita femminile italiana. Nel 1914 entrambe le testate vengono fuse in La nostra rivista, che cesserà le pubblicazioni nel 1919, anno della morte della loro fondatrice. Si ricorda anche la docente di inglese del Magistero femminile di Roma, Fanny Salazar Zampini, che nel 1887 fonda La rassegna degli interessi femminili e Jole Bersellini Bellini che dal 1902 è la proprietaria del quotidiano Il Sole - l’attuale Sole 24 Ore - fondato nel 1865 dal padre, il mazziniano Pietro Bragiola Bellini. E tutta femminile è la nascita del fortunatissimo Corriere dei Piccoli. L’idea viene da una delle due figlie di Cesare Lombroso, Paola - collaboratrice all’Avanti!, al Secolo e al Piccolo di Trieste -, che nel 1905, 34enne, la presenta al direttore del Corriere della Sera, Luigi Albertini . Il “corrierino” nascerà tre anni dopo ma Paola non figurerà tra i suoi ideatori e dovrà intervenire un suo influente amico, Filippo Turati, per farle riconoscere almeno un incarico di collaborazione, ma anonimo, con lo pseudonimo di Zia Mariù. Dal 1911 preferirà dedicarsi alle "Bibliotechine rurali", un'iniziativa lanciata dal Corriere dei Piccoli ma osteggiata dalla direzione. Del 1886 è la fondazione ad opera di Bice Miraglia della rivista La Mammola, che durerà 4 anni. Lei è la figlia di una curiosa figura di patriota e giornalista che nel 1848 partecipò alla lotta armata in Calabria anche dirigendo i giornali Il Calabrese e L'Italiano delle Calabrie e l’anno dopo, garibaldino, combattè per la Repubblica Romana (del quale fu storico). La figlia di un altro garibaldino, l’ungherese Stefano Turr, Stefania, è allo scoppio della Grande Guerra la prima corrispondente di guerra in Italia, sul mensile Madre italiana, che sostiene gli orfani della guerra, da lei fondato nel 1917. Del 1917 è il suo libro “Alle trincee d’Italia. Note di guerra di una donna”. Sempre del 1917 è il libro “Il germanesimo senza maschera” di Amelia Cottini Osta, alias Flavia Steno (da cui il regista Stefano Vanzina trarrà il celebre pseudonimo), autrice di popolari romanzi di appendice, inviata in Germania dal quotidiano genovese Secolo XIX. Con la figura di Laura Cantoni, scrittrice ebrea, autrice della fortunata collana "Storie della storia del mondo", si entra nella storia del fascismo. Nel 1896, con il marito Angiolo Orvieto, aveva fondato fondatore del periodico culturale fiorentino Il Marzocco (nome suggerito da D’Annunzio), supporter dell’opera di Giovanni Pascoli, quindi schierato con l’impresa di Fiume. Eppure negli anni delle persecuzioni razziali verrà salvata e nascosta da un frate. Il marito nel 1950, insieme a Giorgio La Pira, fonderà la prima associazione di dialogo ebraico-cristiano in Italia ed una delle più antiche anche a livello europeo, la Fondazione della Amicizia Ebraico-Cristiana di Firenze. Nel 1928 Mussolini afferma: “Il giornalismo italiano è libero perché serve soltanto una causa e un regime”. Un anno dopo la rivista Rassegna femminile italiana, diretta da Elisa Majer Rizzioli, cade in disgrazia perché poco ortodossa (redattrice capo è Maria Grazia Zopegni che fino al 1943 dirige anche la rivista cattolica La Donna italiana, antesignana di Famiglia Cristiana). Gli subentra, quale nuovo organo dei Fasci femminili, Il Giornale della Donna, diretto da Paola Benedettini Alferazzi. Nel 1926 viene emanata una circolare nella quale si dissuade le donne dalla sua lettura perché ritenuto “quanto di più democratico e socialisteggiante e massonico esista nel mondo femminile”. Sotto il fascismo nascono le testate femminili di intrattenimento più famose del secolo: nel 1919 Lidel, tra i primi rotocalchi, con sgargianti pubblicità a colori e copertine d’artista, nel 1925 Mani di Fata, nel 1927 Sovrana, l’attuale Grazia, nel 1930 Rakam, nel 1933 Lei, l’attuale Annabella. Infine una curiosità: a fine ‘800 un uomo, Angelo Scolari, dirige due riviste di ricamo - Il moderno disegnatore per le ricamatrici e La ricamatrice novella - con lo pseudonimo femminile di Carolina Goles.

(Marina Greco)  

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