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Ora sappiamo che si può
negoziare l’algoritmo 

Ora sappiamo che si può <br> negoziare l’algoritmo 

di Michele Mezza

(10 dicembre 2020) Il battito d’ali nella Silicon valley è diventato tsunami nel mondo. Il Ceo di Google, dopo 48 ore di silenzio è intervenuto sul licenziamento da parte del gruppo tecnologico della sua responsabile delle questioni etiche Timnit Gebru. Il caso sta facendo molto rumore. La Gebru, una scienziata di aspetti etici dei sistemi di intelligenza artificiale, che da poco più di un anno lavorava per Google, nel corso di una sua ricerca accademica, che coinvolgeva altri dipendenti del principale motore di ricerca del mondo, aveva messo in dubbio, svelandone chiaramente le manomissioni, la trasparenza e l’equilibrio dei sistemi semantici che Google utilizza per far parlare i suoi dispositivi automatici, come i bot o i sistemi professionali che si sostituiscono a figure umane. In pochi giorni le considerazioni dei ricercatori coordinati dalla Gerbru hanno spinto i responsabili della sezione di Intelligenza artificiale prima a chiederle dei ritirare la sua firma alla ricerca, poi , dinanzi al suo rifiuto, l’hanno dimessa. Subito si è scatenata una reazione che ha attraversato sia le università californiane che gli stessi centri di ricerca di Google: 3000 docenti e scienziati hanno firmato petizioni per denunciare la re3pressione nei confronti del team di Gebru. 
Ora scende in campo direttamente il massimo dirigente di Google, Sundai Picchiai, per altro esperto di intelligenza artificiale che non può certo ignorare un conflitto che si sta allargando nel suo campo di competenza. Picchiai, per la prima volta nella storia del gruppo fondato da Sergey Brin e Larry page proprio con lo slogan Don.t Be Devil, non fare il male, ammette che qualcosa non ha funzionato. Scrive il CEO: ”Ho sentito la reazione alla partenza del dottor Gebru forte e chiara: ha seminato dubbi e ha portato alcuni nella nostra comunità a mettere in dubbio il loro posto in Google. Voglio dire quanto mi dispiace per questo e accetto la responsabilità di lavorare per ripristinare la tua fiducia” .
 Si riconosce non solo che la Gebru non ha torto ma che le sue ricerche hanno inevitabilmente scosso la fiducia in Google. Picchiai tocca un aspetto strategico del successo del suo gruppo. Nonostante inchieste e contestazioni, prevalentemente da parte di enti statali, Google rimane nell’immaginario di miliardi di persone un sistema affidabile e sufficientemente trasparente nelle sue azioni. Proprio questo capitale permette al motore di ricerca di ingaggiare e vincere le battaglie contro i governi nazionali in nome di una libertà e di una autonomia che il gruppo, contrariamente a quanto farebbero i governi, assicura ai propri utenti. Ora Picchiai comprende che la sassata della Gebru ha incrinato, se non proprio frantumato la vetrina di questa reputazione . E infatti aggiunge nella sua dichiarazione “dobbiamo assumerci la responsabilità del fatto che un prominente leader nero, donna con immenso talento ha lasciato Google infelicemente. Questa perdita ha avuto un effetto a catena su alcune delle nostre comunità meno rappresentate, che hanno visto se stesse e alcune delle loro esperienze riflesse in quella del Dr. Gebru. È stato anche molto sentito perché il Dr. Gebru è un esperto in un'area importante dell'etica dell'IA su cui dobbiamo continuare a fare progressi - progressi che dipendono dalla nostra capacità di porci domande impegnative.” Molto più di una giustificazione di facciata. Qualcosa che assomiglia ad una precipitosa retromarcia per limitare i danni. Se le comunità, in questo caso quelle etniche, cominciano ad accampare problemi e critiche sui dispositivi di Google, allora si apre, per la prima volta nella storia della Silicon Valley, una nuova stagione. I sistemi algoritmici, la potenza di calcolo, non è più un dispositivo neutro, oggettivo, deterministico, che assicura efficienza in base all’unica soluzione per risolvere quel problema. Ma ogni modello di intelligenza artificiale diventa uno specchio in cui si riflette l’immagine del suo proprietario, o almeno l’impronta del suo programmatore. I numeri rientrano così nella sfera della relatività, diventano fatti di quella materia di cui sono fatti i conflitti sociali e i negoziati politici: opposti interessi. 
Le smart Cities diventano così non più inevitabili mercati per i prodotti delle Big Tech che privatizzano gli spazi pubblici in nome di una promessa efficienza, ma comincerebbero ad animarsi con tavoli negoziali per adattare le opportunità tecnologiche ai bisogni e alle necessità della comunità urbana. 
Lo stesso accadrebbe per giornalisti o medici, che potrebbero ritrovare spazio e ruolo nel processo di automotizzazione ,che sta omologando redazioni ed ospedali con una strategia di riprogrammazione e di controllo valoriale dei software gestionali. SI apre una nuova stagione che aprirebbe spazi al momento non accessibili anche nella strategia contro il virus, rendendo i sistemi sanitari controparti di un’azione di ridisegno dei sistemi tecnologici e soprattutto di accesso ai data base predittivi che sono al momento di esclusivo controllo dei gruppi monopolistici. 
Non ci sono più alibi: negoziare l’algoritmo si può. Anzi , dice la Gebru, si deve.

(© 9Colonne - citare la fonte)