Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

La vera storia
di Martia Basile

Libri
Ogni settimana uno scaffale diverso, ogni settimana sarà come entrare in una libreria virtuale per sfogliare un volume di cui si è sentito parlare o che incuriosisce. Lo "Speciale libri" illustra le novità delle principali case editrici nazionali e degli autori più amati, senza perdere di vista scrittori emergenti e realtà indipendenti. I generi spaziano dai saggi ai romanzi, dalle inchieste giornalistiche, alla storia e alle biografie.

MAURIZIO PONTICELLO RACCONTA “LA VERA STORIA DI MARTIA BASILE”

Lo scrittore e giornalista napoletano Maurizio Ponticello pubblica per Mondadori “La vera storia di Martia Basile”, un romanzo storico basato su un fatto di cronaca realmente accaduto, con al centro una straordinaria protagonista femminile nella Napoli del XVII secolo. Tra luci e ombre quasi surreali, sensualità, tempeste, epiche battaglie contro i turchi e spionaggio internazionale, l’opera è ispirata alle vere vicende della donna, e si cala nelle pagine più autentiche della città di Napoli che già si stava preparando alla rivolta di Masaniello. Martia Basile è uno dei simboli della condizione femminile tra Rinascimento ed età barocca, eppure è di un’attualità sconvolgente. L’autore. giornalista e scrittore, è stato corrispondente di testate radiofoniche e televisive, redattore di vari quotidiani e cronista de “Il Mattino”. È autore di diversi libri, tra i quali: “La nona ora” (Bietti, 2013) e “I Pilastri dell’anno. Il significato occulto del Calendario” (Edizioni Mediterranee, 2013). Tra gli altri per la Newton Compton, ha pubblicato: “Misteri, segreti e storie insolite di Napoli” (con Agnese Palumbo, 2012); “Forse non tutti sanno che a Napoli…” (2015); “Un giorno a Napoli con san Gennaro. Misteri, segreti, storie insolite e tesori” (2016) – dal quale è stato tratto un documentario – e “Napoli velata e sconosciuta” (2018). Ha avuto vari riconoscimenti tra cui il premio Domenico Rea. È presidente della storica associazione di giallisti Napolinoir. Pubblica nel 2020 per Mondadori il suo primo romanzo storico “La vera storia di Martia Basile”.

 

CESARE SECONDO NAPOLEONE, UNA STORIA SEMPRE ATTUALE

Dal presidente brasiliano Bolsonaro a quello francese Macron, l'etichetta di "cesarismo" viene affibbiata (più o meno giustamente) a personaggi dalle radici politiche più disparate, in questa congiuntura variabile e confusa stretta tra l'ondata dei sovranismi e la pandemia globale. Il celebre dizionario della lingua francese Littré definisce il "cesarismo", neologismo ottocentesco, "la dominaziione dei príncipi portati al governo dalla democrazia ma rivestiti di potere assoluto", come ricorda Luciano Canfora, autore di una prefazione e di una postfazione a "Le guerre di Cesare" di Napoleone Bonaparte, curato da Annalisa Paradiso e ripubblicato da Salerno editrice. Nei primi mesi del 1819, nel definitivo esilio di Sant'Elena, l'Imperatore detta nel corso di lunghe notti insonni la sua visione di Cesare al fedele segretario Marchand, che quest'ultimo pubblica nel 1836. "La natura del mio servizio, che non mi consentiva di allontanarmi dall’Imperatore - racconta lo stesso Marchand - mi ha concesso l’onore di leggergli qualche pagina o di scrivere sotto la sua dettatura. È cosí che le note sui Commentarii di Cesare mi sono state dettate interamente e quasi incessantemente nelle lunghe veglie durante le quali – diceva – il lavoro portava sollievo alle sofferenze e spargeva qualche fiore sul cammino che lo conduceva alla morte". Se la storia romana è sempre stata centrale nell'orizzonte culturale di Bonaparte, e più in generale degli uomini della Rivoluzione, è però con l'esilio forzato di Sant'Elena che Napoleone ripensa alla propria vicenda misurandola con quella di Cesare. Un Cesare che dalla campagna di Gallia del 58 a.C alle Idi di Marzo del '44 non fa altro che combattere. La Gallia per Cesare è come la campagna d'Italia per Napoleone, l'anticamera della presa del potere: da qui inizia l'auto-identificazione, da qui iniziano le "vite parallele". Prima, pochi elementi in comune come rileva Canfora: da un lato Napoleone, uomo venuto dal basso, dall'altro Cesare, rampollo di una delle più aristocratiche genti romane. Alla fine della sua analisi, Napoleone rimarca la legittimità della "dittatura democratica" di Cesare: "Immolando Cesare, Bruto cedette ad un pregiudizio dovuto alla sua formazione, un pregiudizio ch’egli aveva assunto nelle scuole greche. Nella sua testa, Bruto assimilò Cesare a quegli oscuri tiranni delle città del Peloponneso che, godendo del favore di alcuni intriganti, usurpavano l’autorità nelle loro città. Non volle vedere che l’autorità di Cesare era legittima: legittima perché necessaria e protettrice, perché salvaguardava tutti gli interessi di Roma, perché era il risultato dell’orientamento e della volontà del popolo".

IN ORIGINE. "Parlando di Cesare e dei suoi emuli, i due termini 'dittatura' e 'democrazia', considerati conflittuali da chi trascura l’origine battagliera e di parte del termine greco 'democrazia', coniato da chi considerava la democrazia una sopraffazione, si intrecciano molto strettamente" spiega Canfora nella prefazione. Il termine "cesarismo" fa la sua comparsa nel linguaggio politico europeo dopo la Primavera dei Popoli del 1848-49, da Mommsen a Mazzini, usato con spirito celebrativo o di condanna. "Il fatto - scrive Canfora nella prefazione - è che il fallimento della rivoluzione non dà necessariamente, come esito, il ripristino degli ordinamenti precedenti. C’è anche un’altra uscita. Appunto, un forte potere personale, accettato e di mediazione, non immemore però delle premesse da cui la rivoluzione era partita e che non aveva saputo salvaguardare. Che la rivoluzione produca, per non estinguersi, forme di potere personale, è esperienza costante: da Cromwell in avanti. Robespierre, che si è ritratto dinanzi al riproporsi di questa dinamica, ne è rimasto schiacciato. Il primo Bonaparte, che esordisce come robespierrista prima di diventare egli stesso il 'Cesare' post- giacobino, trae le conseguenze estreme da quella sconfitta e ripercorre, nella sua fulminante carriera, entrambe le fasi: quella repubblicana del Consolato e quella 'cesariana dell’imperium". Nell’ottica di Napoleone, inoltre, Cesare è l'opposto di un capopartito popolare: "Dopo i trionfi di Farsalo, di Tapso, di Munda – detta l 'Imperatore a Marchand – il partito di Pompeo era distrutto: allora il partito popolare e i vecchi soldati risollevarono la testa, fecero sentire la loro voce. Cesare ne fu turbato. E fece ricorso alle principali casate per tenerli a freno. Nei popoli e nelle rivoluzioni l’aristocrazia esiste sempre: eliminatela nella nobiltà, ed eccola rispuntare nelle casate ricche e potenti del Terzo Stato; eliminatela anche qui, ed essa sussiste nell’aristocrazia operaia e nel popolo. Un príncipe non ci guadagna nulla da questo dislocarsi altrove dell’aristocrazia. Al contrario egli rimette tutto a posto se lascia sopravvivere l’aristocrazia nel suo stato naturale, ricostituendo le vecchie casate sotto i nuovi princípii".

TRA COMUNISTI E FASCISTI. L'interesse di Napoleone per Cesare sta proprio nella "terza via" che il cesarismo viene a rappresentare tra regime oligarchico e regime popolare. Per gli uomini del XX secolo, il "bonapartismo" sostituisce il "cesarismo", come modello da celebrare o da combattere. La figura di Cesare, però, è sempre tenuta bene in vista nei casi di potere carismatico e autoritario dell'età contemporanea, come emerge nella interessantissima postfazione di Canfora, dal titolo "Cesare per comunisti e fascisti". Per il fascismo, che si autorappresenta come una rivoluzione incentrata su un capo, Cesare è un punto di riferimento ben presente. Più volte, anche dall'estero, la sua figura è accostata a quella di Mussolini, prima che con la fondazione dell'Impero il regime prediliga la figura di Augusto, come dimostrano le celebrazioni del bimillenario augusteo del 1937. Nel mondo comunista, lo stesso Marx esprime grande ammirazione per Cesare (condannando invece senza appello il più cronologicamente vicino "bonapartismo" ) anche per via, come rileva Canfora, di un rapporto "senza complessi" con la dittatura. Gramsci distingue invece tra cesarismo "progressivo" (come quello dello stesso Cesare e di Napoleone I) e "regressivo", incarnato invece da figure come Napoleone III e Bismarck. Il cesarismo, quindi, è stato nel Novecento un modello sia per la destra che per la sinistra. E tutt'ora, come un fiume carsico, riemerge nella nostra contemporaneità, suscitando entusiasmo o riprovazione. Un problema tuttora aperto, non consegnato alla storia, quello dei "dittatori democratici", a patto di non risolvere il problema come De André, pensando che alla fine "non ci sono poteri buoni". (Roc)

EDIZIONI CURCI - UNA STORIA ITALIANA DA 160 ANNI

È disponibile nelle librerie fisiche e online il libro “Edizioni Curci - una storia italiana da 160 anni” (Edizioni Curci – AA.VV. – 240 pagine – 29.90 euro), un volume imperdibile che percorre la vita, dalla fondazione nel 1860 fino ai giorni nostri, delle Edizioni Curci, una delle realtà indipendenti più importanti e rinomate nel panorama dell’editoria musicale italiana. Il libro è anche disponibile in versione inglese. Questo volume, arricchito da foto, riproduzioni di manifesti e lettere d’epoca, racconta sia 160 anni di una famiglia che, con cura e passione, ha trasmesso di padre in figlio i valori e le abilità imprenditoriali alla base del grande successo della casa editrice, sia la storia di un Paese di cui le Edizioni Curci hanno saputo interpretare e tradurre in musica l’identità e la cultura, scommettendo sempre con entusiasmo sulla creatività e sul futuro. Quattro le macro-sezioni in cui è suddiviso il libro: 1.  Un vivace debutto (1860/1910); 2.  La svolta editoriale (1910/1960); 3.  Un lungo successo (1960/2010);  4.  La Curci oggi (2010/2020). Ogni sezione presenta inoltre un’introduzione a firma, nell’ordine, di Angelo Foletto (Presidente Associazione nazionale critici musicali), Luca Ciammarughi (pianista e critico musicale), Gianpietro Quiriconi (Avvocato) e Andrea Laffranchi (giornalista e critico del Corriere della Sera). La direzione delle Edizioni Curci è affidata al Dott. Alfredo Gramitto Ricci che, nel pieno rispetto della tradizione passata, ha saputo rinnovare l’azienda reinterpretandola con taglio moderno, anche grazie alla preziosa collaborazione dei suoi direttori generali: Claudia Mescoli per la sezione dedicata alla Musica Leggera e Laura Moro per la divisione di Musica Classica. Arricchito di anno in anno, il roster delle Edizioni Curci oggi vanta autori e interpreti appartenenti ai più svariati generi musicali. Pur svolgendo una proficua attività nell’ambito del genere classico, operistico e didattico, infatti, le Edizioni Curci sono universalmente conosciute per aver dato voce alla tradizione di musica leggera e popolare in Italia con brani divenuti successi internazionali e senza tempo. Da Domenico Modugno a Giovanni D'Anzi, da Pino Donaggio ad Astor Piazzolla, da Toto Cutugno a Giorgio Gaber passando per Vasco Rossi, Tiziano Ferro, Pacifico, Daniele Silvestri e Diodato e con un catalogo in continua espansione comprendente i repertori di Claudio Baglioni, Antonello Venditti e Francesco Renga, le Edizioni Curci sono la casa dei più importanti nomi della musica di ieri, oggi e domani.

“A COSA SERVE LA STORIA DELL’ARTE” SECONDO LUCA NANNIPIERI

La storia dell’arte ha bisogno non soltanto di studi specifici su singoli artisti, movimenti, stili, secoli, geografie, tendenze, ma anche di libri che meditino sulle fondamenta, sulle questioni fondative, sulle domande prime: a cosa serve la storia dell’arte? Qual è il compito dello storico dell’arte? Perché si conservano i manufatti e le opere? Cosa muove le comunità e i popoli quando preservano o distruggono i simboli e le testimonianze ricevuti dal passato? In “A cosa serve la storia dell’arte” (Skira, 2020, pp. 217, 19 euro), approfondendo il rapporto tra patrimonio storico-artistico, persona e comunità, Luca Nannipieri riflette sulla responsabilità sociale dello storico e del critico d’arte, mettendo a confronto il suo pensiero non solo con i fondatori o punti di riferimento della disciplina, da Johann Joachim Winckelmann ad Arnold Hauser, da Alois Riegl a Erwin Panofsky, da Max Dvořák, Bernard Berenson e Heinrich Wölfflin, ma anche con gli storici direttori di alcuni dei più autorevoli musei italiani ed europei, come Palma Bucarelli, Franco Russoli, Ettore Modigliani e Fernanda Wittgens, così come con figure, come il soprintendente Pasquale Rotondi, che sono rimaste nella storia per i capolavori che hanno salvato dalle distruzioni e dalle guerre. Dunque un libro di teoria dell'arte e di militanza. Luca Nannipieri, critico e storico dell'arte, ha pubblicato con Skira i libri "Capolavori rubati" (2019) e "Raffaello" (2020); dalla rubrica televisiva su RaiUno, "SOS Patrimonio artistico", Rai Libri ha pubblicato il volume "Bellissima Italia. Splendori e miserie del patrimonio artistico nazionale". Tra gli altri suoi libri, ricordiamo quelli allegati al quotidiano Il Giornale, come "L'arte del terrore. Tutti i segreti del contrabbando internazionale di reperti archeologici", "Vendiamo il Colosseo. Perché privatizzare il patrimonio artistico è il solo modo di salvarlo", "Il soviet dell'arte italiana. Perché abbiamo il patrimonio artistico più statalizzato e meno valorizzato d'Europa". Dirige Casa Nannipieri Arte, curando mostre e conferenze, da Giacomo Balla a Keith Haring.

PERCHE’ TANTI UOMINI INCOMPETENTI DIVENTANO LEADER?

La casa editrice Egea offre in catalogo “Perché tanti uomini incompetenti diventano leader? (e come porvi rimedio)” di  Tomas Chamorro Premuzic (psicologo, saggista, che insegna Psicologia aziendale all'University College di Londra)  con un'introduzione di Severino Salvemini, professore di Organizzazione aziendale presso l’Università Bocconi. Se siete al lavoro, guardatevi intorno; se siete a casa – e per molti di noi in questo periodo è così - accendete la tv o la radio: gli opinion maker e i cosiddetti leader... sono maschi. Ma essi sono competenti? In questo saggio provocatorio pubblicato originariamente dalla Harvard Business School Press, Tomas Chamorro-Premuzic – professore di psicologia all’University College di Londra e alla Columbia di New York - pone due domande “scomode”: la prima è perché sia così facile per gli incompetenti conquistare posizioni di leadership, e la seconda perché sia così difficile per le persone competenti – specialmente se sono donne – farsi largo. Mettendo in campo decenni di rigorose ricerche, l’autore sottolinea come gli uomini costituiscano la maggioranza dei leader, sebbene molte ricerche testimonino che essi ottengano spesso risultati inferiori rispetto alle donne. Il motivo di questa realtà, sotto gli occhi di molti anche in Italia, è legato al fatto che le organizzazioni tendono a identificare il potenziale di leadership con alcuni tratti della personalità tipicamente maschili: l’eccessiva sicurezza di sé, l’autorità e il narcisismo, per esempio. Questi tratti aiutano quando si tratta di essere selezionati per un ruolo di vertice, ma risultano spesso controproducenti e distruttivi una volta conquistata la posizione di leader. Il risultato è un sistema profondamente distorto che premia l’arroganza più dell’umiltà e l’azzardo più della saggezza. Come sottolinea Severino Salvemini, professore di Organizzazione aziendale presso l’Università Bocconi, nella Prefazione: “Poiché tutti noi desideriamo una migliore classe dirigente, non dobbiamo abbassare gli standard quando selezioniamo persone di genere femminile per dare loro uguali opportunità: dobbiamo invece alzare l’asticella quando selezioniamo il genere maschile, in modo che nulla venga dato per scontato”.

(© 9Colonne - citare la fonte)