Il Corriere della Sera pubblica un’intervista esclusiva con Sergio Mattarella a 700 anni dalla morte di Dante, padre dell’identità italiana. Il Capo dello Stato invita a “non attualizzare a tutti i costi” l’Alighieri in quanto “il suo lascito morale è eterno”. “Non mi ha mai convinto – afferma infatti Mattarella - il tentativo di attualizzare personaggi ed epoche storiche diverse. Eviterei, quindi, analogie tra l’Italia di Dante, uomo del Medioevo, e l’Italia di oggi. Ci separano settecento anni, un tempo incommensurabile”. “Anche per questo motivo – ricorda il presidente -, nel discorso dello scorso ottobre, ho parlato dell’universalità di Dante. Cioè della sua capacità di trascendere il suo tempo e di fornire indicazioni, messaggi e insegnamenti validi per sempre. Dante è stato punto di riferimento e di ispirazione per generazioni di italiani a prescindere dalle specifiche situazioni di secoli ed epoche differenti. Pensiamo, per esempio, alla riscoperta da parte dei romantici, al vero e proprio “culto” civile di cui fu oggetto durante Risorgimento o all’esaltazione retorica che ne fece il fascismo. Proprio la sua fortuna lungo l’arco del tempo dovrebbe indurci a riflettere di più sul lascito — artistico, culturale, morale, quindi unificante — del sommo poeta”. C’è però un aspetto della vita del poeta che potrebbe insegnare qualcosa ai politici di oggi? “Vale per chi è impegnato in politica – risponde Mattarella - ma vale per tutti: la sua coerenza. Sappiamo quanto a Dante sia pesato l’esilio dalla sua Firenze, la nostalgia per la sua città. C’è un episodio illuminante della sua vita. Un amico fiorentino, di cui non conosciamo il nome, gli scrive che sta cercando di ottenere, dopo ben quindici anni, la revoca per il suo provvedimento di esilio e della conseguente condanna a morte. Per ottenere il ‘perdono’ dalla sua città Dante dovrebbe pagare una discreta somma e ammettere, in una pubblica cerimonia, colpe non commesse. La risposta, negativa, di Dante è, insieme, sdegnata e accorata: ‘Le spere del sole e degli astri, non potrò forse contemplarle dovunque? Non potrò in ogni luogo sotto la volta del cielo meditare i dolcissimi veri, se io prima non mi renda spregevole, anzi abietto al popolo e alla città tutta di Firenze?. . .”. (25 MAR - red)
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