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Salvini e la “bestia” di Morisi, veleno che viene da lontano

Salvini e la “bestia” di Morisi, veleno che viene da lontano

di Michele Mezza

Paradossalmente la gravità del caso Morisi sta impedendo alle forze politiche di approfondirlo. Il non voler infierire, a differenza di quanto la bestia di Morisi ha fatto invece contro i suoi avversari, come ha spiegato Renzi, sta facendo rimuovere anche aspetti che invece devono essere indagati. Sia per evitare che nuove esperienze possano alterare visibilmente gli orientamenti elettorali di un intero paese, sia per cogliere varchi nella sicurezza nazionale in cui potrebbero essersi inseriti gruppi esterni al paese. Il nodo in discussione è come un partito che è stato al governo abbia avuto la necessita di appoggiarsi a forze e competenze estere e, come i suoi protagonisti abbiano potuto essere condizionati o ricattati per le proprie “debolezze”.
Banalizzare quanto si è dispiegato sotto i nostri occhi, rimuovere quel processo che ha portato in poco tempo un ristretto nucleo dirigente a guidare un partito che dal 4 % era arrivato nelle aspettative a superare il 30 %, apprestandosi a riorganizzare l’insieme delle istituzioni ed a pretendere “pieni poteri”, non solo sarebbe sbagliato ma accrediterebbe la normalità del fenomeno.
Quanto è accaduto non ha nulla di pura intraprendenza digitale da parte di un gruppo che ha potuto sfruttare l’impreparazione generale. Si è trattato di una strategia con rilevanti risvolti internazionali, con palesi insidie alla sovranità istituzionale del nostro paese, con l’obbiettivo esplicito di alterare e forzare le strutture democratiche del sistema repubblicano.
L’epilogo , che la mitologia politica, fa coincidere con le smargiassate del Papeete, dell’agosto del 2020, e che invece è connesso ha bel altri meccanismi e interventi, non può farci ignorare lo spessore del fenomeno.
Intanto per i suoi aspetti globali. Salvini avvia l’esperienza con Morisi esattamente alla fine del 2013, qualche mese dopo la pubblicazione sul Military-Industrial Kurrier, una testata del dispositivo militare industriale russo, del capo di stato maggiore dell’esercito di Mosca Valerij Gherassimov che spiegava come la nuova guerra si combatteva con l’“interferenza nelle piscologie dell’opinione pubblica dell’avversario “. Siamo alla nascita di Cambridge Analytica e alle manovre di Steve Bannon per consolidare la candidatura di Donald Trump alla Casa Bianca. Negli stessi mesi iniziano anche a stringersi le relazioni fra il Cremlino e l’entourage affaristico di Salvini, con gli incontro all’Hotel Metropol di Mosca dell’associazione Lombardia-Russia di Savoretti. Morisi entra in attività nell’ambito di questo gorgo di relazioni, soldi e input che arrivano a Milano. La bestia è una dependance di Cambridge Analytica, non un fulgido esempio di geniale artigianalità digitale. Lo spiega direttamente Bannon quando venendo in Italia annuncia che l’intesa fra Lega e 5S è il più avanzato esempio di convergenza di populismi di destra e di sinistra contro quelli che chiamava i “limousine liberals”.
Lo strumento di questa convergenza è proprio la capacità di raccogliere e elaborare dati predittivi sui comportamenti elettorali di specifici gruppi sociali, al confine fra le aree contigue o più deboli dello scacchiere politico, dove concentrare il fuoco di fila dei social, manovrati da Morisi. Si raccolgono dati di rete e si combinano con data set recuperati nei modi più acrobatici dalle amministrazioni pubbliche che si controllavano e da alcune compagnie telefoniche.
Il meccanismo lo illustra dettagliatamente Christopher Wylie,il giovane e luciferino talento della profilazione arruolato da Bannon nel primo team di Cambridge Analytica, che poi ha cambiato campo mettendosi a disposizione delle indagini contro le intrusioni digitali, che nel suo libro Il Mercato del Consenso (Longanesi, Milano, 2019) scrive che per interferire sugli scenari elettorali la ricetta che veniva diffusa da Bannon era “quando si cerca di hackerare la mente di una persona è necessario individuarne le distorsioni cognitive ……..In psicologia questo fenomeno si chiama priming, o innesco. Ed è cosi, in sintesi che si trasformano i dati in armi : si scopre quali informazioni mettere in primo piano per influenzare lo stato d’animo di una persona , ciò in cui crede e il modo in cui si comporta “. Questa è stata la strategia della bestia. Con quali dati intimi degli elettori che si sono raggiunti ? con quale supporto dall’estero? La campagna elettorale del 2018 è stato un vero catalogo di queste intromissioni, con operazioni mirate nei collegi contendibili. Migliaia di bot furono lanciati alla conquista dell’attenzione degli elettori incerti. Esemplare l’operazione che fu gestita nei due collegi elettorali di Roma, usando come pretesto il capodanno cinese che veniva citato come prova di “un’invasione culturale “ nella capitale dove era stato invece sospesa la tradizionale ricorrenza del carnevale romano. Almeno 6 mila agenti intelligenti spararono messaggi mirati che denunciavano l’arrivo dei mongoli.
Certo che questa strategia era l’acceleratore di un processo che si basava su motivazioni socio-economiche concrete. Ma, lo abbiamo visto in Inghilterra con la Brexit e negli USA con Trump, una cosa è un a tendenza che produce radicalizzazione sociale, un’altra è un’azione concertata con dati mirati e sistemi digitali altamente personalizzati che interferiscono nella psicologia di milioni di elettori. Su questi aspetti forse sarebbe il caso di aprire una indagine parlamentare. Esattamente come è stato fatto negli stati Uniti e in 48 degli stati federati, in cui sia repubblicani che democratici hanno indagato sulle forme di intromissioni sui rispettivi sistemi elettorali.
La fragilità, e dunque ricattabilità, di alcuni dei personaggi chiave, come Morisi, ci dice che durante la sua permanenza al ministero degli interni, al seguito del ministro Salvini, informazioni sensibili sono state esposte al rischio di essere, volontariamente o meno, trasmesse a soggetti esterni. Gli stessi soggetti che hanno fornito il supporto tecnologico e professionale per allestire la macchina elettorale del leader della Lega.
Due sono dunque gli aspetti che il caso Morisi dovrebbe far emergere : le modalità di interferenza nei comportamenti elettorali, mediante l’uso di soluzioni che espongono, per altro il sistema istituzionale a intromissioni estere: e le conseguenze di un possibile condizionamento di un personaggio chiave nella gestione di apparati pubblici, come è stato Luca Morisi, da parte di gruppi esterni in grado di usare la sua debolezza.

(© 9Colonne - citare la fonte)