di Paolo Pagliaro
In questi anni Giorgio Parisi è intervenuto spesso nel dibattito pubblico sui temi dell’istruzione e della ricerca. Nel 2016, con una lettera alla rivista Nature, lo scienziato romano premiato ieri con il Nobel fu tra i promotori di una petizione perché i governi europei, e quello italiano in particolare, mantenessero i finanziamenti alla ricerca oltre il livello di sussistenza. Più recentemente Parisi è stato trai firmatari del Piano Amaldi che chiedeva di inserire nel Pnrr uno stanziamento straordinario di 15 miliardi con il reclutamento di 25.000 nuovi ricercatori
Sono temi di cui si torna a discutere in questi giorni grazie a un testo di radicale contestazione dell’attuale sistema di rapporti tra la ricerca pubblica il mondo delle imprese Lo ha scritto Massimo Florio, che insegna Scienza delle Finanze a Milano, e lo pubblica Laterza con il titolo “La privatizzazione della conoscenza” .
Ricorda Florio che secondo stime dell’Unesco ci sono nel mondo quasi 8 milioni di ricercatori. La maggior parte di loro lavora nelle università e in altre istituzioni pubbliche o no profit. Ogni anno vengono prodotti milioni di articoli pubblicati su decine di migliaia di riviste scientifiche. A questo patrimonio attingono le imprese, con il paradosso per cui ciò che a monte nasce come bene pubblico – finanziato dalla collettività – viene privatizzato a valle.
Le imprese private fanno naturalmente il loro mestiere, che è fare soldi per gli investitori. Spetterebbe però agli stati – osserva Florio - arginare oligopoli, rendite e disuguaglianze, creando grandi imprese pubbliche sovranazionali, in grado di far prevalere l’interesse generale nel campo, ad esempio, dell’innovazione biomedica, della transizione ecologica, del governo dei big data. E’ il contrario delle privatizzazioni, l’ideologia che ha causato molti degli attuali disastri.