di Paolo Pagliaro
Il 3 dicembre entra in vigore la legge sulla parità salariale tra uomo e donna. Alle aziende con più di 50 dipendenti sarà chiesto di certificare ogni due anni quali sono i criteri con cui vengono decisi inquadramenti e retribuzioni. Solo chi garantirà questa trasparenza potrà usufruire di uno sgravio contributivo.
Non ci saranno salari uguali per legge, perché questo è già previsto dai contratti nazionali oltre che dalla Costituzione. Ma ci sarà invece un incentivo a rimuovere gli ostacoli che impediscono alle donne di essere assunte e di fare carriera. Come ha spiegato Chiara Saraceno, un’organizzazione del lavoro che, ad esempio, chieda di essere inderogabilmente in ufficio o in fabbrica prima dell’ orario di apertura del nido o della scuola, può sembrare neutrale ma non lo è.
In Italia lavora il 53% delle donne, contro il 72% degli uomini. Le disuguaglianze aumentano con l’aumentare delle responsabilità.
Su 600 mila dirigenti d’azienda, le donne sono solo il 18%, secondo i l’Osservatorio sul mercato del lavoro dell’associazione 4 Manager, che ha analizzato i dati di circa 17mila imprese. Ancor meno, il 12%, sono le donne Presidente o Amministratore delegato.
Susy Matrisciano, la deputata 5 Stelle che presiede la commissione Lavoro della Camera, pensa che gli incentivi previsti dalla nuova legge promossa dalla sua compagna di partito Tiziana Ciprini, contribuiranno a ridurre il divario salariale tra uomini e donne, che supera il 30% nel caso di mansioni che richiedono una laurea. Ma aggiunge che il vero obiettivo è quello di mettere le donne nella condizione di non dover più scegliere se essere madri o lavoratrici.