di Paolo Pagliaro
Per dimezzare il numero di chi percepisce il reddito di cittadinanza, basterebbe pagare decentemente quegli 850 mila lavoratori che ne usufruiscono perché i loro salari non bastano a metterli al riparo dalla povertà. Lo ha detto Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp, l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, che oggi ha presentato un rapporto sulla principale misura di welfare varata negli ultimi anni. Oltre 814 mila cittadini, in rappresentanza di altrettante famiglie, hanno percepito il Reddito di cittadinanza già da prima dell’emergenza Covid19, pari al 45% dei percettori. Poco più di 1 milione di famiglie (il 55%), invece, ha iniziato a percepire il RdC durante la crisi sanitaria. Complessivamente la platea di percettori di RdC è stata di circa 1,8 milioni di famiglie. A questi beneficiari si aggiungono circa 1,6 milioni di famiglie che intendono fare richiesta della misura di sostegno a breve e 1,4 milioni di nuclei la cui domanda non è stata accolta. “Il Reddito di cittadinanza – ha detto Fadda - ha rappresentato un’ancora di salvezza per 1,8 milioni di famiglie, ma va notato che circa il 46% dei percettori risultano occupati (552.666 standard e 279.290 precari) con impieghi tali da non consentir loro di emergere dal disagio e da costringerli a ricorrere al RdC per la sussistenza”.
Un’ulteriore conferma della grande debolezza e parcellizzazione del mercato del lavoro italiano viene dai motivi addotti per il rifiuto delle (poche) proposte di lavoro pervenute ai beneficiari del RdC: il 53,6% indica attività non in linea con le competenze possedute, il 24,5% attività non in linea con il proprio titolo di studio, l’11,9% lamenta una retribuzione troppo bassa. Solo il 7,9% indica la necessità di spostarsi come causa prevalente del rifiuto. Insomma, obiezioni non proprio da bamboccion.