Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

REPORTAGE: ITALIANI
IN ROMANIA E LA GUERRA

di Simone Santi

Il 24 febbraio, giorno dell'inizio ufficiale dell'invasione russa in Ucraina, un Sukhoi dell'Aeronautica militare ucraina è stato intercettato da due aerei Falcon romeni nel nord della Romania, scortato fino all'atterraggio nell'aeroporto di Bacau, e fatto ripartire al più presto. "Era l'inizio della guerra, amici e famigliari in Italia mi dicevano di tornare a casa, c'era un po' di agitazione" racconta Giovanni Palmieri, che vive e lavora proprio tra Bacau e Iasi dal 2016. "Poi però la situazione si è normalizzata. Come vedi la vita in città è molto tranquilla". Iasi, cuore culturale e polo tecnologico della Romania, dista pochi chilometri dal confine con la Moldavia, due ore d'auto da Chisinau, poco di più dal confine ucraino e dalla Transnistria, che è un po' il Donbass moldavo: autoproclamatasi repubblica, apertamente filorussa e russofona, la regione sud-orientale della Moldavia geograficamente potrebbe essere la saldatura dell'avanzata dell'esercito russo sul mar Nero, nel caso in cui le mire espansionistiche di Putin davvero non intendessero fermarsi all'Ucraina, a dispetto delle ultime avvisaglie di retromarcia. In Moldavia, dove i profughi ucraini sono già centinaia di migliaia, un po' di preoccupazione c'è; nell'est della Romania, dove la pressione migratoria comunque si sente (sono quasi 600mila le persone transitate da qui in un mese) per il momento no. "La vita scorre tranquilla, non è cambiato niente a Iasi - dice Giovanni - Da pochi giorni sono state anche tolte le ultime limitazioni per il Covid, la gente ha voglia di sfogarsi". Con un però: Iasi non è Siret, non è Suceava, le cittadine del nord più vicine al confine con l'Ucraina in guerra, ma anche qui il flusso di profughi si è fatto sentire quasi subito: "Venivano inizialmente da Mikolayev, Zaporihzha, Kharkiv, adesso soprattutto da Odessa" spiega Vlad, un giovane studente moldavo di 19 anni, che fa il volontario in un centro di accoglienza improvvisato in uno degli edifici di un centro commerciale in città, messo a disposizione da un imprenditore romeno. "Abbiamo aperto tre settimane fa - racconta mentre altre due volontarie gli misurano la pressione ("non ho dormito stanotte, meglio controllare") - I primi giorni avevamo due piani pieni di persone, 2.500 ospiti, ora ne abbiamo chiuso uno perché anche il governo si è attivato per trovare altre soluzioni". Non per forza un bene, sottolinea Vlad "perché ovviamente c'è dietro il solito giro di soldi".

Con l'aiuto di associazioni di volontariato romene, polacche, moldave, il centro riesce a provvedere a tutte le prime necessità degli ospiti, che sono donne, bambini, perfino animali domestici. E ci sono anche degli uomini. "E' un posto pulito, riscaldato, ci sono cibo e medicine quando possiamo giochiamo con i bambini - spiega Vlad - riesco anche a studiare un po', ci diamo il cambio con gli altri volontari". La municipalità di Iasi per ora ha approntato un campo tendato in un campo di calcio in periferia, dove si allenano i giovani della squadra principale della città: al momento non ci sono ospiti, ma ne può ospitare all'occorrenza qualche centinaio. Ma si muovono anche i semplici cittadini, in forma privata: "Nella mia azienda, ho visto che alcuni colleghi romeni si sono organizzati con i turni per andare a Siret a portare beni di prima necessità" racconta Giovanni Palmieri. E anche per tornare indietro direttamente con famiglie di ucraini da ospitare: lo spiega un altro italiano residente a Iasi, Domenico Martellone, direttore generale della VS Communication, una società di facility management per aziende italiane desiderose di investire in Romania: è qui dal 2006 e ha visto cambiare la città "in maniera incredibile in questi anni: oggi è una citta tecnologica, completamente cablata, sede di terziario avanzato, dove moltissime multinazionali (da AMD ad Amazon) hanno messo radici e fatto impennare il mercato del lavoro. "I romeni, come noi italiani, hanno un po' il chiodo fisso della casa di proprietà, il terreno di campagna: quasi tutti ne hanno una qui, perché dopo le minuscole case popolari assegnate loro ai tempi di Ceaucescu vogliono altro. E molti oggi le usano per ospitare gli ucraini in fuga dalla guerra". Nessun malumore nella popolazione, almeno per ora, assicurano gli italiani residenti a Iasi, per l'improvvisa accoglienza di profughi dai quali sentirsi magari insediati nella ricerca di opportunità lavorative. "Assolutamente - assicura Martellone - I romeni sono persone accoglienti e con un grande carattere, e poi il mercato del lavoro è molto aperto: a Iasi ci sono 7 università, il raccordo con le imprese è eccellente". Al punto che il governo romeno è già intervenuto con un decreto per semplificare le procedure di assunzione di cittadini ucraini, senza che nella popolazione questo abbia creato finora malumori. "Ci sono anzi aziende ucraine che si stanno spostando nella regione di Iasi - ci documenta Martellone - : Haskov, un'azienda che produce trattori, ha già spostato la sede in città, un'azienda di software di Odessa ha già spostato i primi dei suoi 400 dipendenti. Nel frattempo, a un'ora e mezza di distanza, sull'altro confine di Husi sorge un importante hub in cui confluiscono i profughi in arrivo dalla Moldavia, in attesa di essere smistato nel resto d'Europa: l'altra faccia di un territorio saldamente coi piedi dentro l'Unione Europea ma con la punta delle scarpe così vicine alla guerra: al punto che l'aeroporto di Iasi, per ogni evenienza, è sempre pronto a trasformarsi in aeroporto militare qualora le circostanze lo rendano necessario. "Ma se la Romania venisse coinvolta - chiosa Domenico Martellone -, tutta l'Europa lo sarebbe". (28 mar)

(© 9Colonne - citare la fonte)