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direttore Paolo Pagliaro

TUMORI, BOLDRINI:
HO PREGATO DIO

“Ho una cicatrice di 35 centimetri che da metà coscia prosegue fino all'anca, poi piega verso destra... Camminare non è più un piacere come prima, ma con un rialzo sotto l'altra gamba, la sinistra, riesco a farlo. Quando sono tornata a Montecitorio mi hanno applaudita anche gli avversari: mi ha fatto piacere. Voglio battermi per i malati, per chi vive uno stigma che perdura dopo la guarigione, e non riesce ad accedere al credito, a fare un mutuo, a chiedere una polizza sulla vita, ad adottare un bambino. Al Senato c'è una proposta di legge della mia omonima Paola Boldrini sul diritto all'oblio: dopo dieci anni, quando non sei più a rischio, la tua malattia non deve più essere menzionata” Laura Boldrini racconta del suo tumore in una intervista al Corriere della Sera la sua battaglia contro il tumore che affronta anche in un libro: “Meglio di ieri”, in libreria dal 12 aprile. E confessa di avere pregato prima dell’operazione: “Ho avuto una formazione molto cattolica. Mio padre era legato a un cattolicesimo tradizionalista. Ho preso le distanze da tante cose sue, incluso quel modo di concepire la religione. Ma l'esperienza di entrare in sala operatoria ti mette a contatto con le tue fragilità, le tue ansie; e nonostante la razionalità di cui disponi, a un certo punto ti ritrovi a pregare. Sì, in quel frangente è uscito anche questo rivolgermi a Dio come all'aspirazione ultima della salvezza”. 

“Non avevo mai concepito l'idea di poter avere un tumore, nonostante la familiarità. Mia mamma ne è morta. La mattina l'ho accompagnata fino all'ascensore per la camera operatoria, ed è stata l'ultima volta che le ho potuto parlare: è andato tutto male, è finita in rianimazione, è rimasta attaccata alle macchine per due settimane, ha esalato lì l'ultimo respiro. Poi mia sorella... Lucia se ne è andata a 46 anni. Era molto religiosa, ha deciso di lasciare che avvenisse la volontà di Dio. Una dimensione punitiva della fede, che ho contestato sino alla fine; ma mia sorella non ha ceduto di un millimetro. Ha rifiutato anche le cure palliative. Ho sempre pensato che questo non mi riguardasse. E non riuscivo a prendere atto della realtà. Forse è un errore, pensavo, non sono i miei esami; o forse l'errore lo sta facendo il medico. Invece tutte le analisi hanno confermato che era davvero un tumore… Ho cominciato a cercare informazioni on line; e a pensare a quel che poteva succedermi. Restare zoppa. Perdere la gamba. Rimanere inchiodata in un letto. Un paradosso, dopo una vita sempre improntata al movimento, le missioni in zone di guerra... Ora avevo mille ipotesi davanti a me. E mi facevano tutte orrore”. Perché ha deciso di rendere pubblica la notizia? «Perché ho capito quanto pesano i vecchi retaggi sul tumore, che non è considerato una malattia come le altre, da cui si può guarire; è ancora un tabù, un errore di fabbricazione, una macchia indelebile. Ma la malattia è una condizione della vita. Non avevo nulla di cui vergognarmi. E ho pensato che fosse giusto parlarne, per tre motivi”. Quali? “Contribuire a scardinare il pregiudizio che dà tanto disagio alle persone. Condividere la condizione con chi l'ha vissuta, anche per incoraggiare altri a non stare in silenzio: il silenzio isola, il silenzio deprime. Trasformare la battaglia contro la malattia in una battaglia di civiltà”. (10 apr – red)

 

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