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La direttrice dell’IIC La Valletta, alla scoperta di nuovi linguaggi

La direttrice dell’IIC La Valletta, alla scoperta di nuovi linguaggi

Serena Alessi, direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura a La Valletta, racconta a 9colonne la sua esperienza a Malta, tra nuovi linguaggi e una popolazione che cambia.

Da qualche mese è direttrice dell’istituto italiano di Cultura a La Valletta. Come è iniziato questo percorso?
“È iniziato con la mia scelta di richiedere La Valletta come sede, dove ora sono direttrice da dieci mesi. Chiaramente prima sono stata alla Farnesina per qualche tempo, dal momento che noi siamo funzionari e funzionarie dell’area della promozione culturale. Da quando sono a La Valletta stiamo cercando di fare il possibile insieme alle mie colleghe: c’è tantissimo da fare e forse Malta, mai come in questo periodo, si trova in una fase di particolare richiesta d’attenzione e di contenuti originali da parte della popolazione italiana presente sul territorio e, chiaramente, da parte della popolazione locale”.

Quella di Malta è anche una popolazione internazionale, formata specialmente da giovani. Ha degli strumenti particolari con cui rivolgersi alle nuove generazioni?
“Malta è un territorio particolare, molto piccolo ma, in quanto paese dell’Unione Europea, con una grande concentrazione di popolazione che viene da ogni parte del continente e che ne fa un territorio unico nel suo genere. Ci sono molti giovani e quello che noi cerchiamo di fare è di diversificare i contenuti. Bene e giusto rivolgersi a chi vede nell’Italia una gloriosa tradizione nei campi dell’arte e della cultura, però è necessaria anche un’attenzione ai nuovi linguaggi, quelli che usiamo per fare comunicazione: c’è attenzione quindi al design, alla moda, a quello che vuol dire essere italiani oggi, che è molto diverso da quello che voleva dire vent’anni fa. Così come Malta è un paese che è molto cambiato, anche l’Italia è un paese molto diverso da soli vent’anni fa.

Che tipo di strumenti aggiuntivi potrebbero aiutare nello svolgimento del suo lavoro e nel raggiungimento degli obiettivi?
“Quello di cui noi abbiamo bisogno sono sicuramente spazi, nel caso soprattutto di Malta. Noi abbiamo una bellissima sede, in un palazzo del ‘600, con un affresco del ‘700 che si trova nel centro della capitale La Valletta, nella piazza più importante e di fronte alla presidenza della Repubblica. È un posto incredibile, ed è anche un simbolo che, tra due anni, compirà 50 anni: il nostro istituto è stato aperto infatti nel 1974 da Aldo Moro. Siccome lo stiamo ristrutturando, noi siamo sempre alla ricerca di spazi e di partner che insieme a noi vogliano creare dei progetti. Questo può sembrare un problema, ma noi cerchiamo di farne anche una virtù: cerchiamo di proporci come esempio di cultura diffusa. Quello che noi vogliamo dire, e vogliamo che tutti ci aiutino a dire è che l’Istituto Italiano di Cultura a La Valletta è ovunque vi sia un evento che ha visto la nostra organizzazione, la nostra partnership, il nostro logo. Ovunque ci sia il logo dell’Istituto Italiano di Cultura c’è il nostro lavoro certosino, grazie alle esperienze di tutto il team che lo gestisce”.

Ha parlato della ristrutturazione della sede, dei progetti e dei nuovi linguaggi. Che obiettivo vorrebbe raggiungere da qui a un anno?
“Da qui ad un anno quello che vorrei provare a raggiungere è una cosa molto semplice ma, allo stesso tempo, complessa: la misurazione dell’impatto degli eventi. Non mi prefiggo nulla in termini quantitativi, non mi interessa fare tanti eventi, do per scontato però che il primo obiettivo, anzi il mio strumento, sia l’inclusività. Io e le mie colleghe, quando facciamo progetti, siamo inclusivi per tutto ciò che riguarda genere, background culturale, preferenze sessuali, con una grande attenzione ad ogni tipo di minoranza. L’obiettivo è misurare l’impatto dei nostri eventi: vuol dire cercare di capire cosa ha funzionato e, con molta onestà, cosa non ha funzionato. Per fare questo ogni evento deve essere organizzato con energia, con tempo; bisogna essere anche capaci di dire no. Si possono dire tantissimi sì e si può organizzare un evento al giorno, ma questo evento non sarà mai fatto con la cura che il pubblico dell’Istituto Italiano di Cultura a La Valletta ci richiede. Il mio obiettivo è quello di fare eventi di impatto culturale, che poi noi riusciamo a misurare con un momento di confronto post evento. Secondo me è necessario per fare davvero programmazione culturale, e per farla in anticipo. Gli eventi si organizzano con anticipo se si vogliono organizzare bene e se si vuole offrire ai partner che lavorano con noi tutte le attenzioni che meritano”.

Questa è la cifra del suo essere una “nuova generazione”?
“Non so se è un fatto generazionale; stiamo celebrando il primo Istituto Italiano di Cultura che ormai ha cento anni e l’ultima generazione di direttori e direttrici cammina sulle spalle di giganti. Non so quanto sia una questione generazionale, perché chiaramente si può lavorare bene o male anche a prescindere dall’età. Io credo che sia la cifra sicuramente di un ruolo, ci tengo a ribadirlo, iper-specializzato: noi funzionari dell’area della promozione culturale siamo direttori e direttrici quando andiamo all’estero, ma noi lavoriamo anche a Roma, e anzi non potremmo essere all’estero se non ci fosse qualcuno a Roma che ci supporti. Siamo professionisti con un percorso enorme alle spalle, molti di noi vengono dalla carriera accademica, siamo iper-specializzati, abbiamo dottorati, abbiamo postdoc e cerchiamo di mettere le competenze e le abilità che abbiamo acquisito a servizio di questa professione. Mettiamo chiaramente anche tanta passione, perché è quello che vogliamo fare. Questa è la cifra”. (PO / sab - 11 ago)

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