di Paolo Pagliaro
Il metano che galleggia nel Baltico è un’altra immagine del prezzo che l’ambiente sta pagando alla guerra. Quel gas non è tossico e ci si consola pensando che i danni sarebbero stati ben più gravi se gli uomini rana o i sommergibili che hanno sabotato il NordStream avessero piazzato le loro cariche esplosive sotto un oleodotto.
In attesa del peggio, registriamo – tra le conseguenze della crisi – la progressiva riabilitazione di sistemi di approvvigionamento energetico che l’Europa aveva messo al bando giudcandoli ecologicamente insostenibili. Fra questi non ci sono solo le centrali a carbone ma c’è anche il fracking, ciè quella tecnica estrattiva – molto diffusa negli Stati Uniti e in Russia - che consiste nel produrre molte micro-fratture nella roccia argillosa che contiene il gas, permettendogli di risalire in superficie. La fratturazione è possibile attraverso l'immissione nella roccia di acqua ad alta pressione miscelata con additivi. I rischi sono la contaminazione delle acque sotterranee , l’inquinamento causato dal gas naturale sprigionato durante la perforazione e soprattutto l’impatto sismico. In Inghilterra, durante le perforazioni nel sito di Blackpool erano state registrate più di 120 scosse e anche questo aveva indotto il governo britannico a sospendere le licenze.
Qualche giorno fa il divieto di fracking è stato però revocato e questa mattina il quotidiano economico Handelsblatt chiede al governo tedesco di fare altrettanto. L’Italia ha scelto altre strade, a cominciare dai rigassificatori, e occorre rallegrarsene.