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Soccorsi umanitari in mare
Ecco perché sono doverosi

di Piero Innocenti

Singolare la visione del ministro dell’interno Piantedosi sulle navi ong che, da molti anni, soccorrono in mare i migranti in pericolo per trasferirli, poi, in un porto sicuro. Singolare ma in perfetta sintonia con quella del suo “amico” ( così indicato dallo stesso Piantedosi nella intervista sul Corriere della Sera del 2 novembre scorso) ex ministro dell’Interno Salvini ( attuale ministro delle Infrastrutture da cui dipende pure la Guardia Costiera) di cui Piantedosi è stato Capo di gabinetto quando furono adottate analoghe restrittive misure nei confronti di navi umanitarie, obbligate a lunghe permanenze in mare aperto con il “carico umano” composto, come sempre, per lo più, di donne, bambini, minori non accompagnati, in attesa di un “porto sicuro” ( che non è necessariamente quello più vicino).
Tutta gente fuggita da paesi e da situazioni drammatiche di carestie, conflitti tribali, guerre, persecuzioni.
Tornando ai casi odierni, autorizzati (anche dopo le garbate sollecitazioni della Francia disponibile all’accoglienza di parte dei migranti) gli attracchi delle navi nel porto di Catania, per consentire lo sbarco delle persone ritenute “vulnerabili” e bisognose di cure mediche, è stato impartito, quindi, l’ordine al comandante della nave Humanity 1 di riprendere il largo con i naufraghi rimasti a bordo. Il comandante, però, si è opposto a tale ordine e la stessa situazione si profila per le altre tre navi ferme nel porto, la Geo Barents di Medici senza Frontiere, la tedesca Rise Above di Mission Live Line e la norvegese Ocean Vikings di Sos Mediterraneèe. Si tratterebbe, a mio parere, di una espulsione collettiva e, quindi, il comandante fa bene a non ubbidire. Le espulsioni collettive, vietate dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE ed in contrasto con l’art.78 del TFUE ( Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea), riguardano qualsiasi provvedimento che obblighi una pluralità di persone a lasciare il territorio di un paese in qualità di gruppo e (questo il punto dirimente) in mancanza di un preventivo esame ragionevole e oggettivo della situazione personale di ciascuna persona.
Le questioni connesse alla immigrazione illegale, respingimenti, soccorso in mare, devono essere affrontate in un’ampia prospettiva che tenga conto del quadro normativo di riferimento, ove sono da ricomprendere anche le fonti che sono poste in altri ordinamenti e che, comunque, dispiegano la loro efficacia nei singoli Stati. Generici, per esempio, i motivi formulati nella nota verbale inoltrata nei giorni scorsi all’ambasciata norvegese dal nostro Ministero degli Affari Esteri su input del Ministero dell’Interno, con cui della Ocean Vikings, nave battente appunto bandiera norvegese, si diceva che era in navigazione “..con intenti non genuinamente ispirati a quelli definiti dalle Convenzioni internazionali ( non indicate, ndr) in materia di soccorso in mare e non in linea con lo spirito (quale? ndr) delle norme europee in materia di sicurezza e controllo delle frontiere..”.
Sul punto non si può che richiamare la Convenzione di Montego Bay del 10 dicembre 1982, fonte primaria del diritto internazionale del mare, in base alla quale ogni Stato deve obbligare i comandanti delle navi che battono la sua bandiera – sempre che ciò sia possibile senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri – a prestare assistenza a naufraghi trovati in mare o a portarsi immediatamente in soccorso di persone in pericolo quando si abbia notizia del loro bisogno di aiuto. Il soccorso in mare, lo ricordiamo, può riguardare persone in possesso dei requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato. Caposaldo della protezione internazionale dei rifugiati è il principio di non-refoulement affermato all’art. 33 della Convenzione relativa allo status dei rifugiati firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 e a cui si riferisce il primo comma dell’art.19 del Testo Unico sull’immigrazione vigente in Italia che, all’art.2 comma 1 riconosce allo straniero comunque presente in frontiera ( quindi anche a tutti quelli non sbarcati presenti sulle navi nel porto di Catania), i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti.

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