“Un po’ me la sono cercata. Perché, nel momento di massima forza, ho sbagliato a pensare che i fatti fossero più importanti del modo in cui uno si dovesse porre. Io vedevo i risultati, e i risultati c'erano. E mi dicevo: come fanno ad attaccarmi se ho aumentato di un milione i posti di lavoro - perché Berlusconi lo diceva, ma io l'ho fatto - come fanno ad attaccarmi se abbiamo varato la prima misura contro la povertà, la legge sull'autismo, la riforma del Terzo settore, la legge sulle unioni civili. Pensavo, sbagliando, che queste cose fossero più importanti del mio modo di essere. E quindi sì, sono stato arrogante. Forse c’entra anche che ero giovane, il più giovane premier d'Italia. Ma c'entra pure il fatto che ero convinto di avere diritto a una vita fuori dalla politica. Cioè: io sapevo che il giorno in cui avessi smesso, avrei ricominciato un'altra cosa. E quindi mi sentivo libero”. Lo afferma Matteo Renzi in una intervista al Venerdì di Repubblica intervistato da Natalia Aspesi dal titolo “C’è un mostro a casa mia” con riferimento al libro “Il Mostro” dell’ex premier. “Vivevo in uno stato d' animo libero. E sentendo crescere attorno a me un malumore che non capivo, pensavo: beh, se non mi vogliono peggio per loro. E questo è un atteggiamento di arroganza vergognoso” aggiunge il leader di Italia Viva. La verità è che forse per la prima volta nella mia vita, quando ho lasciato Palazzo Chigi dopo aver perso il referendum costituzionale, non voglio dire che ho perso lucidità, ma ero davvero molto combattuto. Io volevo smettere del tutto. E oggi sono convinto che se lo avessi fatto per me personalmente sarebbe stato molto meglio. Gentiloni, che stava diventando presidente al posto mio, mi disse: se smetti, non sai che cosa ti faranno. Ma non è stato questo decisivo. Decisivo è stato il fatto che in quei giorni arrivarono 27 mila email che mi chiedevano di restare. Così come me lo chiedevano tutti i miei amici. E poi il referendum io l'ho perso, ma quelli che avevano detto Si alla riforma erano stati comunque 13 milioni di italiani. Voglio dire: così come tanti mi odiavano, una parte minore, ma comunque rilevante, mi voleva bene. Ma può anche darsi che queste fossero soltanto scuse che mi sono dato. Resta il fatto che mi sono fatto convincere che il mio mondo avesse bisogno di me, e invece non era vero niente”. E ancora: “Una sera stavo giocando con i miei figli alla playstation, e passandomi accanto mi disse: guarda che il referendum lo perdi - e badi che in quel momento tutti i sondaggi mi davano vincente. Quella sera persi anche alla play, ma questa è un'altra storia, forse meno grave. Come si può immaginare non sono stati anni facili per noi, ma una delle cose che ho apprezzato più di mia moglie in questi anni è stata la sua fermezza nel contrastarmi quando sapeva di aver lei ragione e io torto. Nessuno ci crede, ma davvero nel febbraio del 2014, quando dissi a Letta ‘Stai sereno’, ero sicuro che Napolitano l'incarico l'avrebbe dato a lui. Poi comincio a pensare che forse no, e una settimana prima che la notizia diventi ufficiale dico ad Agnese: si parte, si va a Roma, tutti quanti, io tu e i ragazzi. E lei, con assoluta fermezza, mi risponde: no, io resto qui, i ragazzi restano qui, non li sottopongo a questo stress. Ero molto arrabbiato, e ho molto insistito. Ma non c'è stato niente da fare, e la mia famiglia è rimasta nel paesino tra Firenze e Pontassieve”. Cosa avrebbe fatto se avesse deciso di smettere di far politica? “Avevo delle offerte per andare a lavorare in America, a lavorare nel mondo della finanza, come sempre in questi casi. Andare a fare un po' di soldi, insomma, e un'esperienza all'estero. Col senno di poi è stato un grosso errore”. (23 dic - red)
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