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direttore Paolo Pagliaro

Schlein, quella sorpresa
che sorpresa non è

di Salvatore Tropea

Il rischio lo aveva avvistato già tanto tempo fa José Ortega y Gasset avvertendoci acutamente che “il persistere dello stato di sorpresa può trasformarsi in stupidità”. Figlio di una signora proprietaria di un giornale di Madrid (El imparcial) e del  direttore del medesimo, filosofo e sociologo spagnolo della prima metà del Novecento, Ortega y Gasset era anche giornalista e dunque frequentatore e conoscitore del milieu dell’informazione dei suoi limiti e vizi, a partire dall’abitudine diffusa di contagiarsi nel prendere una deriva senza avere analizzato attentamente i fatti che potrebbero averla determinarla. Una strada che, per ricondurci all’attualità politica italiana, può portare come in effetti è avvenuto, a definire in maniera diffusa e insistita una sorpresa la vittoria di Elly Schlein su Stefano Bonaccini.
E pensare che il tempo della loro corsa alla guida del Pd dopo la sconfitta elettorale del 25 settembre era stato più che sufficiente per chi avesse avuto la curiosità di guardare con attenzione lo stato di confusione e di spaesamento di un partito impantanato nella calviniana “grande bonaccia” e infine naufragato in un surreale congresso durato cinque mesi. Così facendo si sarebbe evitato di dover rifugiarsi nella sorpresa per spiegare un risultato che era prevedibile per quanti non si fossero illusi che una comparsata fugace ai cancelli della Mirafiori, tanto per fare un esempio, avrebbe potuto colmare un vuoto di consensi e di appartenenza di lunga data.
 Avrebbe visto senza tanta fatica che la Schlein a differenza del suo antagonista non aveva esitato a muoversi coraggiosamente su terreni trascurati da un Bonaccini autoasserragliato dentro l’area sempre più ristretta del partito, prigioniero degli apparati e di quelle lotte tra correnti che erano e sono alla base della crisi del partito stesso. Allora perché sorprendersi se un elettorato di sinistra non militante per dire non iscritto al partito, si scopre essere nell’urna delle primarie più numeroso del popolo fidelizzato e controllato dal vecchio apparato? E perchè insistere sull’effetto sorpresa anche dopo l’esito di domenica?
Dovrebbero essere sufficientemente chiare le ragioni della sconfitta di Bonaccini così come la strada che ha davanti la nuova leader del partito per la quale si tratta di continuare a muoversi sul terreno da lei scelto ancor prima della contesa congressuale con l’obiettivo di recuperare consensi e spirito di appartenenza dissipati da una gestione distratta del partito. Non dovrebbe essere neppure questa una sorpresa a meno che il vento nuovo non si riveli così forte da produrre piccole o grandi lacerazioni.
 Schlein si è imposta perché ha provato a uscire dallo steccato del vecchio partito (il tempo dirà con quanto successo) mentre Bonaccini ha commesso l’errore di restarne rinchiuso. Era del resto velleitario pensare di rifondare il partito (perché di questo si tratta) senza un’interruzione di continuità. E non è un caso che il ribaltone o la rivoluzione come l’ha definita Schlein è stata decretata dalle primarie alle quali ha partecipato un popolo molto più numeroso di quello che frequenta normalmente i circoli. I gazebo hanno fatto la differenza perché a mettersi in fila davanti ad essi c’era una sinistra o se si preferisce un elettorato che vuole un segretario del Pd in grado di coniugare pragmatismo e diritti con una legittimazione più ampia di quella assicurata (peraltro sempre meno) dai militanti . La novità è tutta qui e non è poco. Sicuramente è quanto basta per non dover rifugiarsi al riparo di una sorpresa che sorpresa non è: si tratta semplicemente di un prevedibile cambio di passo che dovrebbe servire a chiudere la lunga stagione di crisi del Pd.  

(© 9Colonne - citare la fonte)