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NASIM, L’ATLETA RIBELLE
IN UN PODCAST RAIPLAY

NASIM, L’ATLETA RIBELLE <BR> IN UN PODCAST RAIPLAY

“Nasim, Iran Verticale”, il nuovo podcast online dal 2 marzo, prodotto da RaiPlay Sound, è un inno alla libertà che arriva da una delle voci più rappresentative ed iconiche del popolo iraniano. Protagonista è Nasim Eshqi, 39 anni, un passato da kickboxer, da 13 anni prima scalatrice iraniana, che ha fatto dell’intera sua vita un manifesto della lotta all’oscurantismo del regime islamico radicale del suo paese. Nata e cresciuta a Teheran, sin da piccola, si è ribellata alle imposizioni durissime a cui sono sottoposte le donne in Iran, rifiutando l’hijab e coltivando la sua passione per le arti marziali contro il volere della società iraniana che considerava questi sport non adatti alle donne. Diventa una professionista e comincia anche a gareggiare a livello internazionale. Ma quando le viene chiesto di competere con il velo, cresce in lei la frustrazione per un’imposizione che non ha mai sentito sua. Nasce da qui la passione per l’arrampicata, uno sport che la porta a misurarsi con se stessa, a superare i suoi limiti, ma che le consente anche quella libertà che ha sempre cercato.

La sua storia di ribellione e di lotta è oggi raccontata in un podcast di 5 puntate prodotto da quella Francesca Borghetti che su Nasim Eshqi aveva già realizzato nel 2020 il documentario “Climbing Iran”, finalista ai David di Donatello e Premio del Pubblico al Trento Film Festival, disponibile su Rai Play.

L’Iran che ci viene proposto è quello contemporaneo, reduce da mesi di lotte e repressioni, dopo la tragica uccisione di Masha Amini da parte della polizia morale del regime di Teheran. Nasim e la sua personale guerra all’hijab hanno quindi anticipato i principi di libertà che poi si sarebbero diffusi in tutto il paese.

Nasim Eshqui, in questo podcast lancia un grido di aiuto all’Occidente, affinché non abbandoni il popolo e, soprattutto, le donne iraniane.

La sua “compagna di vita” è la Natura, vera alleata di Nasim, che ha lasciato tutti gli sport, compreso il kick boxing per riaffermare la forza delle donne e la loro pari dignità, di fronte alla maestosità e all’asprezza rocciosa delle montagne che scala.

Nella prima puntata del podcast, dal titolo “Questa è una rivoluzione”, Nasim Eshqi racconta proprio l’inizio delle proteste in Iran, quel 16 settembre 2022, quando il popolo scese in piazza per protestare contro l’uccisione della studentessa, diventata ormai simbolo della ribellione contro il regime.

“Una bambina ribelle”, invece, narra cosa voglia dire nascere nella Repubblica Islamica e crescere per quasi 40 anni sotto un regime oscurantista e violento.

“Controcorrente” tratteggia il percorso che ha portato Nasim a scegliere il kick boxing come strumento di lotta, mentre in “Una Nuova Via” l’ormai affermata atleta iraniana ci racconta la ragione che l’ha portata a scegliere di scalare le montagne: riappropriarsi di quel senso di uguaglianza e del sapore di una libertà che non ha nella vita ordinaria, una sensazione che la fortifica e di cui non può più fare a meno.

Infine, in “Ad alta voce”, il podcast che chiude la serie, Nasim Eshqi spiega la sua presa di coscienza dell’importanza della sua testimonianza affinché un altro Iran sia possibile.

Nasim Eshqi, nell’intervista che ha rilasciato per 9 Colonne, ci racconta: “La decisione di non indossare più l’hijab risale a molto tempo fa, quando facevo kickboxing”. “Non ho voluto continuare a partecipare alle competizioni internazionali proprio perché dovevo coprire i capelli e non ho mai voluto fare pubblicità al regime islamico”. Ricorda con orgoglio. Ovviamente, questo ha comportato dei rischi: “Ho cercato di rimanere nell'ombra, così avevo la possibilità di lasciare scoperto il capo. Solo in pubblico, a Teheran che è molto pericolosa, ho accettato di indossare il velo. Ma non appena mi trovavo in un luogo dove non c'era polizia e non c'era controllo, toglievo l'hijab”. 

In questa sua ribellione, ha sempre avuto l’appoggio materno: “Anche mia madre non ha mai accettato l'hijab. Ha potuto farlo perché è cresciuta in una famiglia che lavorava nell'esercito. Nessuna donna metteva il velo, forse solo mia nonna, perché era più anziana. Ma tra le nuove generazioni, nessuno lo portava”.

I problemi, naturalmente, arrivano quando s’instaura il regime islamico radicale: “Dopo la rivoluzione del 1979, - ci racconta Nasim - tutte le donne sono state obbligate ad indossare l'hijab, e anche mia madre perché era un'insegnante. Se non l’avesse fatto, avrebbe perso il lavoro, ma questo ovviamente la rese infelice. Non era una ribelle come me”. 

Gli anni del regime sono stati molto difficili: “Mio padre è nato in un villaggio molto piccolo. All'epoca della rivoluzione, i contadini credevano alle parole di Khomeini, perché pensavano di poter migliorare la loro condizione, ma sono stati solo ingannati. All’inizio, anche mio padre si fece convincere. Quando però si rese conto di quello che c’era dietro, si convinse come noi che l’obbligo dell’hijab era sbagliato”.

Le abbiamo chiesto se sia in contatto o partecipi all’opposizione al regime iraniano al di fuori del suo paese, ma Nasim ci fa capire che è sola nella sua battaglia. “Esistono alcuni gruppi organizzati che stanno facendo qualcosa di concreto in Svizzera in Germania e in Italia – ci spiega – Io sono in contatto con alcuni giornalisti, ma per quanto riguarda la pianificazione di azioni di opposizione, non vi ho mai preso parte. Come nello sport, mi piace agire in solitaria”.

Nasim è convinta che la lotta del suo popolo sia una lotta per la libertà di tutti gli esseri umani: “Tutte le persone nel mondo devono essere supportate, quando difendono diritti umani e libertà, che siano in Iran, in Afghanistan o in Italia. I dittatori diventano più forti con il silenzio. Per questo, le donne iraniane non lottano solo per loro stesse, ma stanno consentendo che il fondamentalismo non si diffonda anche in Occidente. Quella iraniana è una rivolta dell’intero genere umano contro gli oppressori“.

Quando le chiediamo se il documentario prima e il podcast ora potranno essere utili a diffondere meglio il suo messaggio di ribellione e libertà, Nasim non ha dubbi: “Assolutamente sì. Il documentario parla approfonditamente della situazione delle donne iraniane. Lo abbiamo girato quando vivevo in Iran, mentre il podcast è stato realizzato ora che sono fuori dal paese. Quindi, il documentario risale al periodo in cui vivevo nascosta, ed è stato più difficile da realizzare”.

Il podcast, invece, rappresenta proprio il periodo del riscatto, quando Nasim ha deciso di uscire allo scoperto e raccontare la sua storia: “Volevo parlare di tutto. Così abbiamo avuto la possibilità di dire tutto ciò che non potevo dire nel film. Io sono un’atleta, lo sport non deve avere confini e userò la mia voce per sensibilizzare l'opinione pubblica. Questo è il mio piccolo segnale. Arriverà poi quello di un pittore, di un attore, di un regista. E saranno tanti piccoli segnali che insieme potranno fare la differenza”.

L’ultimo messaggio che ci lascia è proprio per il grande valore simbolico che può avere lo sport: “Posso essere una persona forte, un’atleta vincente, ma se resto in silenzio, le mie imprese sportive non saranno valse a nulla”. (6 MAR - alp/peg - Foto Agi per Rai)

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