di Paolo Pagliaro
A Roma, nel rione Esquilino, i genitori dell’istituto Manin-Di Donato da quasi 20 anni hanno le chiavi della scuola e ne gestiscono alcuni spazi tutti i giorni dopo le 16.30, il sabato, la domenica, d’estate. Molti anni fa un preside ha avuto fiducia nei genitori che volevano fare qualcosa per la scuola del proprio quartiere, ha scritto un progetto insieme a loro e ai docenti, affidando poi a quei genitori la responsabilità della sua realizzazione. Si tratta di un’ esperienza di amministrazione condivisa che non si è mai fermata anche se in 20 anni sono passati 7 dirigenti scolastici e 4 generazioni di genitori. Definire questa esperienza straordinaria non sarebbe più appropriato, perché nel frattempo in Italia sono fiorite a centinaia le storie di scuole gestite come beni comuni e diventate strumento di inclusione sociale, educazione ambientale, formazione continua.
Un primo bilancio di questo nuovo modo di fare scuola è stato proposto oggi da Labsus, l’associazione nata per promuovere l’attuazione del principio costituzionale di sussidiarietà, che impone di favorire l'autonoma iniziativa dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale.
I 40.000 edifici scolastici sono la più grande infrastruttura pubblica e il naturale avamposto per contrastare la povertà educativa, diventata un’emergenza dopo il terremoto del covid.
Ma per farlo devono spalancare le porte, come sta accadendo un po’ ovunque e soprattutto in Puglia e Piemonte, in Liguria e Lombardia. Il Rapporto di Labsus è un catalogo delle esperirnze più significative, alcune delle quali andrebbero suggerite al legislatore nazionale. Una per tutte, quella dell’Istituto "Don Andrea Gallo” di Savona, che usa i suoi tempi supplementari per addestrare i ragazzi all’utilizzo consapevole delle tecnologie. I ragazzi e ovviamente i genitori.