Sarenco sarà protagonista al CAMeC - Centro Arte Moderna e Contemporanea di La Spezia nel nome della “Poesia Totale”. S’intitola “La Platea dell'Umanità” la grande mostra antologica, curata da Giosuè Allegrini, che dal 31 marzo al 14 gennaio 2024 sarà allestita al primo piano del museo. Promossa dal Comune della Spezia, prodotta dal CAMeC e dalla Fondazione Sarenco, l'esposizione antologica racconta uno fra i più significativi interpreti del secondo Novecento italiano ed internazionale, con presenze a Documenta 5 di Kassel e a varie edizioni della Biennale di Venezia. Il percorso espositivo comprende circa 170 opere rappresentative di un percorso cinquantennale, a loro volta affiancate da immagini e documenti bibliografici e archivistici, rivelativi del particolare periodo storico vissuto (riviste di esoeditoria, manifesti, fotografie e locandine), molti dei quali estremamente rari e alcuni anche inediti. Esposta per l’occasione anche la serigrafia “La poesia è morta. È morto anche il poeta”, 1978 (NELLA FOTO. Courtesy l’artista e Fondazione Sarenco). L’esposizione sarà visitabile da martedì a domenica dalle 11.00 alle 18.00, chiuso il lunedì, aperto il lunedì di Pasqua e il 1° maggio, Natale e Capodanno. Nel corso della mostra, la Fondazione Sarenco pubblicherà un catalogo bilingue italiano e inglese a cura di Giosuè Allegrini, con fotoriproduzioni a colori delle opere e dei documenti esposti e saggi critici di vari autori: Giosuè Allegrini, Achille Bonito Oliva, Bernard Heidsieck, Oriano Mabellini, Enrico Mascelloni, oltre all'ultima intervista di Sarenco, rilasciata a Claudia Capelli. Poeta visivo, performer, esploratore, regista, editore, fotografo e organizzatore: Sarenco, al secolo Isaia Mabellini (Vobarno, 1945 - Salò, 2017), è stato fra le figure più dotate, attive, imprevedibili ed esplosive della ricerca artistica contemporanea in Italia e nel mondo. Frequenta il Liceo Classico “Arnaldo” di Brescia e studia Filosofia alla Statale di Milano. Nel 1961 inizia a scrivere le sue prime poesie lineari. A partire dal 1963 inizia ad occuparsi di ricerche poetico-visive stringendo i primi contatti con gli artisti del “Gruppo 70”, nel quale entrerà ufficialmente l'anno successivo. Servendosi delle tecniche del collage, dell’assemblage o della tela emulsionata, ottiene opere di forte impatto, utilizzate come strumento di lotta politica e culturale. Nel 1965 comincia la sua attività espositiva, avendo al suo attivo oltre 50 mostre personali e circa 1.000 esposizioni collettive. Fonda riviste fra cui “Amodulo” nel 1968 e “Lotta poetica” nel 1971 e case editrici quali Edizioni Amodulo nel 1969, SAR.MIC nel 1972 e Factotum Art nel 1977. Fonda gruppi come il Gruppo Internazionale di Poesia Visiva (o Gruppo dei Nove) e i Logomotives. Dal 1982 Sarenco intraprende numerosi viaggi fra Asia e Africa, immettendo energie nuove nelle sue creazioni cariche di ironia. Da questo momento il continente africano diventa protagonista all'interno della sua produzione artistica. È stato organizzatore di quattro edizioni della Biennale Internazionale d’Arte di Malindi, in Kenya (2006-2008-2010-2012). Scrive il suo primo soggetto cinematografico nel 1968, che poi girerà nel 1984 con il titolo “Collage”. L’anno successivo viene invitato a presentare la pellicola al Festival del Cinema di Venezia. Ha pubblicato oltre quaranta libri e realizzato quindici film. È stato regolarmente presente nelle più importanti rassegne d’arte internazionali, fra cui quattro edizioni della Biennale di Venezia (1972, 1986, 2001 - curatore Harald Szeemann, con Sala Personale - e 2011), Documenta Kassel (1972), la Biennale di Siviglia (2004, insieme a Cattelan), Stedelijk Museum di Amsterdam (1970), Centre Pompidou di Parigi (1989-1994), Museum of Modern Art di New York (1986), MART di Rovereto (2007-2013-2015), Museo del Novecento di Milano (2013). Nel 2018 alcune sue opere sono state esposte al CAMeC di La Spezia nell’ambito della mostra “Poetry and Pottery. Un’inedita avventura fra ceramica e Poesia Visiva”, a cura di Giosuè Allegrini e Marzia Ratti. (gci)
A PAVIA LE MERAVIGLIE DELLA WUNDERKAMMER
La tradizione delle wunderkammer torna in auge a Pavia. “Mnemosyne. Il teatro della memoria”, la mostra che ricostruisce nella Sala del Collezionista del Castello Visconteo di Pavia una delle celebri wunderkammer, le “camere delle meraviglie” che si diffusero in Europa a partire dal XV secolo, è stata prorogata al 25 aprile. Visto il grande apprezzamento da parte del pubblico, anche scolastico, i Musei Civici di Pavia e il curatore, lo storico dell’arte Paolo Linetti, hanno deciso di tenerla aperta ancora per un mese. La mostra sarà visitabile tutti i giorni, eccetto il martedì, con orario continuato dalle 10 alle 18, restando aperta anche nei giorni di Pasqua e Pasquetta, domenica 9 e lunedì 10 aprile e, eccezionalmente, martedì 25. “Mnemosyne” ripercorre la storia del collezionismo, a partire dagli studioli rinascimentali, quegli ambienti estremamente intimi e privati, destinati ad attività intellettuali, in voga soprattutto nella Firenze di Lorenzo il Magnifico, fino ad arrivare alle “camere delle meraviglie”, le antenate dei moderni musei, in cui monarchi, principi, aristocratici e uomini di cultura collezionavano esemplari di storia naturale, strumenti, invenzioni meccaniche, carte geografiche, rarità archeologiche, monete, cammei e molto altro, cercando di raccogliere in un unico ambiente tutte le meraviglie del Creato e la storia dell’umanità. In queste stanze, le pareti e gli allestimenti erano di fondamentale importanza, avevano lo scopo di ambientare le opere esposte e metterle in dialogo l’una con l’altra, come attori su un palco. Con l’avvento dell’Illuminismo, le wunderkammer scomparvero progressivamente. Come nelle antiche “camere delle meraviglie”, la mostra espone “Artificialia”, ovvero le creazioni dell’uomo, “Naturalia”, esemplari dal mondo naturale, “Scientifica”, strumenti e opere dell’ingegno umano, ed “Exotica”, manufatti provenienti dal lontano Oriente oppure dalle terre al di là delle Colonne d'Ercole. Attraverso tre sezioni chiamate “Atti”, si succedono nel percorso espositivo conchiglie e fossili, oggetti particolarmente gettonati nelle forme di collezionismo primitivo, opere d’arte, statue, gioielli e dipinti a tema religioso, che non potevano mancare in quelle straordinarie collezioni rinascimentali e barocche, reperti archeologici, animali impagliati, manufatti esotici e rari oggetti da collezione giunti in Italia a seguito della riapertura del Giappone all’Occidente, nella seconda metà del XIX secolo, come la preziosa Scatola porta tè di Nagasaki, in legno laccato, madreperla e oro, risalente al 1870, stampe e raffinate porcellane. In mostra anche meraviglie di oggi, come le creazioni del collettivo R.E.M.I.D.A., che ripropongono in chiave contemporanea lo splendore e la simbologia delle vanitas seicentesche, gli stupefacenti mobili e lampadari della designer Valentina Giovando, straordinari esempi di “Artificialia” moderni, e le opere di Elena Carozzi, carte da parati e tappezzerie di lusso dipinte a mano, che decorano le pareti della wunderkammer del Castello Visconteo proprio come accadeva nelle antiche “camere delle meraviglie”. L’ultima sezione del percorso espositivo è dedicata al declino di queste vere e proprie stanze delle curiosità, smembrate per creare gli odierni musei di storia naturale, geologia, preistoria, pinacoteche e gipsoteche, dove gli oggetti erano classificati e catalogati secondo rigorosi criteri scientifici. Visitando la mostra è possibile ammirare opere d'arte mai esposte prima, provenienti dai depositi dei Musei Civici di Pavia, modelli botanici dell’Orto botanico dell’Università di Pavia, opere di tassidermia del Museo Kosmos, opere africane gentilmente concesse dalla Fondazione Frate Sole e numerosi prestiti dal Museo della Scienza di Milano e dal Museo d’arte orientale Mazzocchi di Coccaglio. (gci)
“SHOWBOAT”: A MILANO LE OPERE DI GIOVANNI FRANGI
Oscillando tra sperimentazione e documentazione, tra immagini e testi, la mostra “Showboat. Andata e ritorno” esporrà le opere di Giovanni Frangi a Milano, nel Castello Sforzesco, dallo scorso 29 marzo fino al 25 giugno. Dopo otto anni, l’artista torna a esporre nel cuore di Milano con un progetto espositivo a cura di Giovanni Agosti. L’esposizione si snoda attraverso due ambienti d’eccezione entro le mura del Castello Sforzesco, tracciando un itinerario cronologico che restituisce un inedito scorcio della ricca produzione artistica di Giovanni Frangi. In mostra per l’occasione oltre cento lavori, presentati in un percorso espositivo che affianca l’ampia produzione grafica dell’artista a un corpus di volumi che ne documentano l’attività espositiva dagli anni Ottanta a oggi. Le sperimentazioni visive e tecniche esplorate nel corso del tempo sono completate e arricchite dalla costante attenzione che l’artista riserva nei confronti della documentazione del proprio lavoro, costruendo una potente riflessione per immagini e testi e restituendo preziose testimonianze della propria storia. Il fil rouge del progetto espositivo prende forma nella realizzazione dei due volumi “Andata” e “Ritorno”, pubblicati dalla casa editrice Magonza. I libri, realizzati per l’occasione, ripercorrono il percorso tracciato dalla mostra “Showboat” e ne restituiscono riflessioni, tematiche e frammenti visivi. Giovanni Frangi nasce a Milano il 12 maggio del 1959. Studia all’Accademia di Belle Arti di Brera, esordisce nel 1983 alla galleria La Bussola di Torino. Del 1986 l’esposizione alla Galleria Bergamini di Milano: il catalogo contiene un testo di Achille Bonito Oliva. Seguono numerose personali. Sue opere si trovano nelle collezioni pubbliche del Gabinetto dei Disegni del Museo degli Uffizi di Firenze, della Camera dei Deputati a Roma, del Mart a Rovereto, dell’Istituto Nazionale della Grafica a Palazzo Poli a Roma, dei Museo Civici di Rimini, del Camec di La Spezia, della Galleria d’arte moderna di Udine, di Palazzo Forti a Verona, di Palazzo Fabroni a Pistoia, del Museo Diocesano a Milano e del Palazzo del Quirinale a Roma. (gci)
A ROMA L’OMAGGIO A PERICLE FAZZINI
Le opere di Pericle Fazzini, “lo scultore del vento”, come lo definì il poeta Giuseppe Ungaretti, tornano in mostra a Roma dopo trent'anni, in occasione del 110° anniversario della sua nascita. Dallo scorso 25 marzo fino al 2 luglio, il Museo Carlo Bilotti - Aranciera di Villa Borghese a Roma ospiterà la mostra “Pericle Fazzini, lo scultore del vento”, a cura di Alessandro Masi, in collaborazione con Roberta Serra e Chiara Barbato, e i contributi in catalogo di Bruno Racine, Claudio Strinati e Salvatore Italia. L'esposizione, promossa da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e dalla Fondazione e Archivio Storico “Pericle Fazzini”, presenta una selezione di circa 100 opere dell’artista tra sculture, bozzetti, disegni e grafiche. L’ingresso al museo è gratuito, i servizi museali sono di Zètema Progetto Cultura. La mostra ripercorre l’intera vita creativa del maestro marchigiano, attraverso sculture di piccola e grande dimensione, fra legni, bronzi, gessi, disegni e opere grafiche: dalle prime prove degli anni Trenta e Quaranta come “Donna nella tempesta” (1932) e “Sibilla” (1947) fino ai bozzetti originali della “Resurrezione” della sala Pier Luigi Nervi in Vaticano, ultimo cantiere di un artista unico dopo la Cappella Sistina di Michelangelo. Di particolare interesse sono il “Ritratto di Anita” (1933), il “Giovane che declama” (1937-38), il “Ritratto di Sibilla Aleramo” (1947), l’“Uomo che urla” (1949-50) e il “Profeta” (1949), quest’ultimo raramente esposto. Il percorso dell’artista, autore tra i più apprezzati della “Scuola romana”, nato a Grottammare (AP) il 4 maggio del 1913 e morto a Roma il 4 dicembre del 1987, si inserisce tra le più alte testimonianze dell’arte sacra del XX secolo. Il suo anelito alla bellezza come svelamento del Divino segna una svolta nella ricerca plastica contemporanea traducendo il testo sacro delle Scritture in una forma dialogante tra Fede e Arte. Figlio di un povero falegname piceno, Pericle Fazzini conobbe la sua fama grazie al poeta Mario Rivosecchi, che lo introdusse negli ambienti della Roma dei Mafai, Scipione, Mazzacurati, Ziveri e della gallerista Anna Laetitia Pecci Blunt (Galleria La Cometa), che impressero una svolta all’arte in senso espressionista e antiretorico contro ogni forma d’arte di regime e celebrativa del fascismo. Conservate nei maggiori musei di tutto il mondo, le sculture di Fazzini trovano spazio in importanti collezioni private e pubbliche come il Moma di New York, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, la Guggenheim Collection di Venezia, il Centre Pompidou di Parigi e il Momat di Tokyo. Un ricco e informato catalogo (De Luca Editori d’Arte) riporta i testi di Alessandro Masi, Bruno Racine, Claudio Strinati, Salvatore Italia, Roberta Serra e Chiara Barbato. Legato all’evento espositivo e di prossima pubblicazione anche un secondo volume, dedicato agli scritti di Fazzini, a cura dello storico della lingua italiana Giulio Ferroni. (gci)
“CASE DI VITA”: A FERRARA ESPOSTA LA CULTURA EBRAICA IN ITALIA
Un approfondimento innovativo e originale che riflette sull’aspetto architettonico, rituale e sociale della sinagoga e del cimitero ebraico. Dal 20 aprile al 17 settembre il Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah - MEIS di Ferrara ospiterà la mostra “Case di vita. Sinagoghe e cimiteri in Italia”, a cura di Andrea Morpurgo e Amedeo Spagnoletto. La press Preview è prevista per il 19 aprile alle ore 15.00. Si tratta di un percorso che affronta la specificità di questi due spazi e, parallelamente, le vicende dell’ebraismo italiano, che vanta oltre duemila anni di storia. Il percorso espositivo intreccia storie di città e umanità, attraverso l’esposizione di numerosi progetti architettonici, preziosi documenti provenienti dagli archivi statali e dalle comunità ebraiche, oggetti che si tramandano di famiglia in famiglia e prestiti prestigiosi come l’Aron ha-Qodesh, l’armadio sacro della Comunità Ebraica di Vercelli. (gci)
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