Con l’aumento dell’immigrazione clandestina si è andata sviluppando una crescente attenzione, da parte degli apparati di sicurezza e dei ricercatori, verso il fenomeno della tratta di esseri umani e delle organizzazioni criminali che lo gestiscono. Un traffico che si sviluppa, in genere, dove ci sono guerre e povertà; è lì che ci sono uomini, donne e bambini comprati e venduti. Nell’espressione “traffico internazionale di persone” sono ricomprese, di norma, due situazioni distinte. Da un lato abbiamo il “traffico” (in Italia “tratta”) finalizzato allo sfruttamento delle persone che ne sono oggetto (“trafficking of human beings”), dall’altro abbiamo il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (“smugglings of migrants”, letteralmente “contrabbando di migranti”).
Entrambe le espressioni figurano anche nei protocolli della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale firmata a Palermo il 12 dicembre 2000. Nello smuggling l’attivazione del canale parte dagli stessi migranti che disponendo di un capitale proprio o di persone che lo forniscono, si rivolgono ai trafficanti sapendo che questi sono in condizioni di garantire il viaggio (è la situazione che riguarda, in generale, il nostro paese e quelli della UE). Nel trafficking, invece, le persone vengono reclutate dai criminali con la violenza, con l’inganno e trasportati per soddisfare la domanda di mercato costituito dal “lavoro nero”, dalla prostituzione, dall’accattonaggio, dal traffico di organi umani. Oggi il contrabbando e il traffico di migranti è diretto, per lo più da organizzazioni di criminali di libici, tunisini, egiziani, turchi, nigeriani, pakistani, cinesi ma un tempo, nel 1650, furono gli Olandesi, i Francesi e Inglesi, sviluppando intense piantagioni nelle Americhe, a dare inizio al commercio dei “neri d’Africa”, che forti e robusti garantivano almeno un decennio di duro lavoro.
Toccò poi ai Portoghesi attivare un gigantesco mercato che vedeva il Golfo di Guinea ( ribattezzato il “golfo degli schiavi”) come l’epicentro delle esportazioni di “merce umana” attraverso l’Atlantico alla volta di Haiti, Cuba, Brasile, Santo Domingo. Legati nelle stive di queste navi negriere si dice che un’alta percentuale di schiavi (il 50%) non arrivasse a destinazione a causa delle terribili condizioni in cui venivano trasportati e venivano, così, gettati in mare.
Alcune ricerche scientifiche avrebbero evidenziato come le rotte più seguite dagli squali nei loro trasferimenti oceanici corrispondessero perfettamente a quelle delle navi negriere. La massima espansione del traffico di persone si registrò nella seconda metà del Settecento, il periodo storico coincidente con la diffusione dell’Illuminismo. Ma gli schiavi interessavano poco le nuove idee e persino Voltaire, filosofo francese e simbolo di quel periodo, investiva buona parte dei suoi guadagni nelle compagnie schiaviste. La rivoluzione francese abolì la schiavitù ma pochi rinunciarono agli affari tanto più che il prezzo degli schiavi, in un mercato vietato, crebbe notevolmente.
Fu Napoleone a ripristinare lo schiavismo mentre con il Congresso di Vienna (1815) gran parte degli Stati europei si impegnarono solennemente ad abolirlo. Trascorreranno ancora cinquanta anni (1869) per assistere all’ultimo “carico” di schiavi in partenza per le Americhe ed un altro mezzo secolo (1926) per la dichiarazione ufficiale della fine della tratta e dello schiavismo da parte della Società delle Nazioni.
Anche al nostro Paese, agli inizi del secolo scorso (1902), fu assegnato dal congresso internazionale di Parigi contro la tratta delle bianche, il primato vergognoso di migliaia di bambini e bambine comprati in Italia e trasferiti clandestinamente oltreoceano nelle mani di girovaghi e in quelle di tenutari di bordelli di Algeri, Tripoli e Porto Said.