L’ondata di maltempo che si è abbattuta in questi giorni su alcune zone dell’Italia centrosettentrionale ha caratteristiche eccezionali. Lo dicono gli esperti e non c’è motivo di dubitarne. Fiumi che straripano invadendo campagne e città, ponti che crollano, frane che minacciano piccoli centri abitati, case che si sbriciolano, strade interrotte, attività paralizzate, scuole chiuse, servizi a singhiozzo: le cronache di tutto questo contendono sui giornali le prime pagine al conflitto mediorientale e, in non pochi casi, confermano la tendenza alla ripetitività di questi fenomeni sulla quale sarebbe necessario fare qualche riflessione per non consegnarsi alla facile dannazione del “piove governo ladro”.
Che a ben vedere poi potrebbe non essere una dannazione se, superata l’emotività del momento, si provvedesse una volta per tutte ad affrontare seriamente le cause che da lungo tempo rendono fragile il territorio nazionale. A cominciare dall’ubicazione dei luoghi interessati a questi fenomeni che, a differenza di quanto si potrebbe pensare, non sono sempre quelli considerati più a rischio geologico, a conferma della più generalizzata e più antica assenza di una politica di difesa del territorio. Sarebbe pertanto opportuno esaminare come sono stati spesi i soldi stanziati per precedenti eventi, sempre che siano stati spesi e non dirottati verso altre finalità.
La processione di sindaci, presidenti delle regioni e rappresentanti di governo pronti a invocare lo stato di emergenza per un’eccezionalità che spesso non è tale servono a ben poco. Quando si scopre -e accade spesso- che gli investimenti stanziati per calamità recenti e passate, dal terremoto ad altri eventi non solo naturali, non sono stati attivati o ancor peggio sono stati destinati ad altro, o finiti nel buco nero di qualche ruberia, allora ci si rende conto di quanto siano improduttive e pretestuose le lamentazioni postume.
Si eviterebbe di dover affrontare costi maggiori e di dover prendere atto con tristezza che migliaia di cittadini sono stati trasformati in eterni sfollati perché impossibilitati a rientrare nelle loro case mai ricostruite. Uno spettacolo, questo, deprimente che in molti casi mostra l’assenza di piani regolatori o una loro non sempre incolpevole permissività. Case costruite nelle golene e in prossimità delle spiagge, capannoni industriali tirati su senza rispettare le norme di sicurezza, strade a ridosso di aree soggette a smottamenti e loro manutenzione approssimativa, spazio sottratto al verde, non possono che rendere sempre più pesante il bilancio del maltempo. Inutile dire che gli effetti di queste negligenze saranno sempre più gravi fino a quando sindaci e presidenti delle regioni, che puntualmente invocano stati di emergenza non avvertiranno il dovere di rivedere il loro operato in materia di difesa del territorio con le relative opere spesso promesse e mai messe cantiere o realizzate non come sarebbe stato necessario fare.
Accadrà anche questa volta? Si vorrebbe poter dire di no, ma ciò presuppone un cambio di passo radicale sul quale l’esperienza consiglia di non scommettere. In attesa di essere smentiti non c’è che augurarsi almeno l’attuazione degli interventi d’urgenza necessari ad alleviare i disagi delle zone devastate dall’ultimo maltempo. E per il dopo attivarsi sapendo che un’adeguata politica di difesa del territorio avrebbe costi inferiori a quelli sinora affrontati senza alcun risultato.